Il Messaggero, 21 dicembre 2025
Referendum, arriva il decreto Urne aperte per due giorni
La data precisa ancora manca, ma quel che è certo è che non sarà unica. Pronto ad approdare in Consiglio dei ministri, già domani, c’è il decreto che permetterà al governo di svolgere in due giorni il referendum sulla separazione delle carriere. Un copione che si ripete, in analogia con i pregressi appuntamenti elettorali, per cercare di “tamponare” l’astensionismo dilagante e mobilitare quante più persone possibili: l’unica strategia vincente quando – come nei referendum confermativi – non esiste quorum e basta un solo voto in più per vincere. Intanto il Guardasigilli pensa al prossimo passo: la riforma del processo penale.
Dalle parti di Palazzo Chigi lo definiscono un passaggio «tecnico», comunque indispensabile visto che la legge attuale prevede che le consultazioni elettorali e referendarie si svolgano solo la domenica dalle 7 alle 23. Come altri decreti Elezioni varati in precedenza, anche quello che approderà in Cdm domani permetterà di prolungare le operazioni di voto al lunedì. Non varrà solo per il voto sul referendum ma anche per tutte le altre elezioni che si terranno nel 2026 – suppletive incluse – destinando risorse in più per gli scrutatori. Ad anticipare questa mossa era stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, dopo la scelta di ritirare un emendamento analogo alla manovra (presentato da Maurizio Gasparri e riformulato dal governo) che, secondo le opposizioni, avrebbe consentito «di far svolgere il referendum in tempi diversi da quelli che la legge prevede» (cit. Francesco Boccia). «Non c’era nessun disegno nascosto per andare a votare al referendum prima», le replica fuori dalla commissione Bilancio del ministro meloniano che, giovedì, aveva preannunciato l’intenzione del governo di far approdare in Cdm un provvedimento ad hoc. Da qui lo sprint di Palazzo Chigi, e i contatti con le forze del centrodestra da cui è arrivato il placet all’estensione delle procedure di voto al lunedì. Anche perché il vero nemico da battere, per tutti, ha un solo nome: “astensionismo”. Un antipasto c’è stato già nelle ultime regionali, dove a votare è andata meno della metà dei cittadini. Il timore nella maggioranza è che questa percentuale possa scendere ancora, data la natura tecnica della materia e la scelta di non politicizzare eccessivamente la battaglia referendaria per evitare una debacle simile a quella di Matteo Renzi nel 2016 (quando l’allora premier legò la vittoria del sì alla riforma costituzionale alla sua permanenza a Palazzo Chigi). Per giunta, in base a una serie di sondaggi “informali” che sarebbero sottomano dell’esecutivo, l’idea che si sta facendo strada è che una consultazione spalmata su due giorni potrebbe favorire il sì: «È normale che a mobilitarsi prima sia chi è più contrario», riflette four di microfono un maggiorente meloniano. Certo, da sciogliere resta sempre l’altro nodo: quello della data in cui si andrà a votare. Ad Atreju, una settimana fa, il sottosegretario Alfredo Mantovano aveva assicurato l’intenzione di indire il referendum sulla Giustizia entro la fine dell’anno.
Se non domani, quindi, la deliberazione del Cdm dovrebbe arrivare il 29 dicembre, l’ultimo Consiglio dei ministri in programma per il 2025. Difficile, anche in questo caso, fare previsioni certe: servirà poi un decreto del presidente della Repubblica per indire formalmente il referendum fissandone la data. Il ritorno alle urne, per legge, è fissato tra il 50° e il 70°giorno successivo al decreto di Mattarella. Quindi, secondo quanto ipotizzano fonti vicine al dossier, la"data x” potrebbe essere tra metà e fine marzo. A meno che la nuova richiesta di referendum, depositata venerdì alla cancelleria della Corte di cassazione da parte di 15 cittadini, non prolunghi i tempi (quest’ultima richiesta presenta infatti un quesito in parte diverso da quello già approvato su richiesta dei parlamentari). Nel frattempo, a via Arenula si studiano già le prossime mosse: «Dopo il referendum sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere, il governo interverrà sulla riforma del processo penale», ha assicurato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, durante il videointervento al congresso di “Nessuno tocchi Caino”. Preannunciando un «nuovo codice di procedura penale» che «enfatizzi i momenti del garantismo» limitando il più possibile la carcerazione preventiva, «proprio in ossequio alla presunzione di innocenza».