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 2025  dicembre 21 Domenica calendario

Riccardo Di Segni: "È dovere di chiunque essere critici dei propri governi, ma ciò non significa essere ostili verso la nazione o lo Stato

Riccardo Di Segni è il rabbino capo di Roma e direttore della scuola rabbinica dal 2001.
Come è riuscito a far coesistere la sua carica di rabbino con il suo lavoro di medico radiologo?
«Nella storia giudaica italiana, molti rabbini erano stati anche medici, anche se ultimamente è meno frequente perché entrambe le attività sono piuttosto impegnative. Potrei rispondere di non essere sicuro di essere riuscito a svolgere bene entrambe».
Immagino avesse poco tempo libero.
«Il tempo libero è una opzione marginale. Da quando sono in pensione, sono stato totalmente assorbito dalle mie mansioni di rabbino».
Quella romana è la più antica comunità della diaspora, né ashkenazita, né sefardita.
«Gli ebrei romani sono i discendenti di quelli arrivati in Italia, a Roma, più di 2000 anni fa. Esiste una tradizione specificatamente romana, con una propria liturgia, alla quale poi si è aggiunto il costume dei sefarditi espulsi dalla Spagna. Dal 1967, Roma ospita anche la vasta comunità dei sefarditi libici».
Il suo ruolo è quello di far coesistere pacificamente le differenze?
«Il mio ruolo è quello di provarci».
Dopo la tragedia del 7 ottobre 2023 c’è stata una forte ripresa dell’antisemitismo?
«Non è la prima volta. Ci sono sempre stati episodi di ostilità antiebraica, che dopo il 7 ottobre si sono intensificati. Purtroppo il conflitto mediorientale aiuta a scoperchiare una serie di sentimenti che di solito rimangono più o meno sottotraccia».
Parliamo degli ebrei, ma sono un popolo, una cultura o una religione?
«Gli ebrei esistono da 35 secoli, quando le distinzioni religiose e nazionali avevano criteri diversi. Oggi distinguiamo chiaramente tra nazionalità e religione, ma quando si tratta di ebrei è come provare a mettere qualcosa in una scatola troppo piccola. Noi ebrei abbiamo diversi modi di identificarci: per qualcuno è un’affiliazione puramente religiosa, per altri è nazionale, altri ancora mischiano le due identità in molteplici modi. In Unione Sovietica, per esempio, gli ebrei erano una nazionalità, non una religione. In Italia, secondo la legge, siamo una minoranza religiosa della nazione italiana».
Se essere contro Israele e la sua politica non significa essere antisemiti, può questo servire a occultare l’antisemitismo?
«È dovere di chiunque essere critici dei propri governi, ma questo non significa essere ostili verso la nazione o lo Stato. Vedo però ogni giorno molte persone criticare il governo, lo Stato e il diritto di questo Stato a esistere, identificando certi comportamenti con la presunta natura malefica degli ebrei».
Perché rimane impossibile spiegare che, come in tutti gli altri popoli, esistono ebrei intelligenti e stupidi, buoni e cattivi?
«È uno dei problemi fondamentali, come reagire all’odio e al pregiudizio. Il problema è che anche un ebreo completamente staccato dalle sue radici storiche o religiose rimane per alcuni simbolo della diversità. È difficile spiegare a queste persone che non siamo tutti intelligenti né ricchi, non ci crederebbero comunque».
La differenza tra i cristiani e gli ebrei è che i primi hanno già avuto il messia, mentre i secondi lo aspettano ancora. I musulmani e gli ebrei hanno invece convissuto pacificamente in molti Paesi del Nord Africa?
«Dobbiamo essere cauti con le generalizzazioni e le mitologie. Il conflitto tra cristiani ed ebrei deriva dalle radici giudaiche del cristianesimo, e non è mai stato risolto, anche se negli ultimi decenni ci sono stati progressi. L’Islam invece include un’idea di dominio, secondo la quale i popoli del Libro, cristiani ed ebrei, possono venire tollerati se si sottomettono. L’atteggiamento verso gli ebrei nei Paesi musulmani è sempre stato quello di una relativa tolleranza con sottomissione».
La sinagoga di Roma è vicina al Vaticano, in che rapporti siete oggi?
«Abbiamo una consolidata tradizione di comunicazione con il mondo cattolico, a ogni livello, dall’uomo della strada al Papa. Il 7 ottobre però ha creato ostacoli e incomprensioni, stiamo lavorando con il nuovo Papa per allentare la tensione».
Crede che le comunità europee oggi corrano un grave pericolo?
«Siamo in una situazione rischiosa, con parti dell’opinione pubblica che esprimono ostilità aperta verso gli ebrei. Quanto sia una minaccia è discutibile. Ovviamente, dobbiamo essere vigili».
Molti intellettuali, anche ebrei, sono propalestinesi, e usano il termine “genocidio”, cosa ne pensa?
«Come ripeto, essere ebrei non rende esenti da errori. Nel mondo ebraico esiste una grande diversità di opinioni. L’uso del termine “genocidio” è una questione molto delicata e pericolosa, di cui abbiamo denunciato l’uso e abuso. Nasconde una operazione politicamente e psicologicamente pericolosa, che punta a banalizzare la Shoah e dimostrare che gli ebrei non vanno compatiti per il genocidio che hanno subito perché sono capaci di compierlo. Questa operazione non è iniziata due anni fa, ma molto prima. Nel giugno 1982, durante la guerra in Libano, a una manifestazione dei sindacati una bara venne messa davanti alla sinagoga. Il rabbino Toaff inoltrò una protesta a Luciano Lama, all’epoca segretario della CGIL, il quale rispose che era la reazione degli operai al “genocidio"».
Quanti ebrei ci sono a Roma?
«Dodici-quattordicimila, pochissimi, ma chiedete a qualcuno per strada e vi dirà che sono almeno 400.000».

Essere ebrei è difficile?
«Assolutamente. È una religione molto esigente, che regola ogni momento della vostra esistenza».
Fornisce delle risposte?
«Quante ne vuole, ma prevalentemente pone delle domande».
Cosa pensano gli italiani del mondo ebraico, secondo lei?
«Molte cose diverse, ma ultimamente è in corso una polarizzazione ostile».
Il problema è l’ignoranza?
«Non si tratta solo di ignoranza. La questione palestinese è diventata per alcuni movimenti politici il fulcro dello scontento, una bandiera da sventolare in assenza di altre idee che uniscano. Sono riusciti a ricreare l’unità e la coesione necessari a organizzare una protesta in piazza».