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 2025  dicembre 21 Domenica calendario

Eva Robin’s: "Il flop con Boncompagni mi ha segnato Col teatro sono rinata, anche se sono un po’ sgualcita"

Le chiama con garbo “telefonate inopportune”, quelle da cui tutti siamo perseguitati, ma la cosa bella è il modo con cui le respinge: «Sto tumulando il pitone». Oppure: «Sto allattando». Eva Robin’s è un fenomeno di simpatia, sincerità, trasparenza. Dalla casa bolognese arredata «come il set di una favola, a metà tra sogno e incubo», racconta sé stessa, dall’inizio alla fine, passando per delusioni e traumi, in uno slalom lucido e allegro. Talmente disinvolto da farle spiegare, in apertura dell’intervista, un retroscena che nessuna attrice rivelerebbe mai. Nell’opera seconda di Carolina Cavalli Il rapimento di Arabella (nei cinema), protagoniste Benedetta Porcaroli e Lucrezia Guglielmino, Eva Robin’s interpreta la diva circense Granatina, ma la sua presenza è frutto di una seconda scelta: «In realtà al mio posto avrebbe dovuto esserci Rossy De Palma, la “nasona” di Almodovar, poi è successo che Daniela Tartari, autrice delle acconciature del film e anche mia vicina di casa, abbia suggerito alla regista di prendere me. Il personaggio potrebbe essere tutto, anche una transessuale, d’altra parte i bambini piccoli sono sempre molto colpiti da noi. Intuiscono qualcosa che non sanno spiegarsi, capiscono che c’è un che di particolare, di luminoso, di fiabesco. E il mio personaggio ha proprio quella luce».
Lei si sente un po’ una favola?
«Sì, infatti ho costruito la mia casa proprio come se fosse un set da fiaba. Il soggiorno ricorda i tetti di Parigi, poi c’è un angolo che sembra Venezia…una volta Luciana Littizzetto è venuta a trovarmi, è rimasta un attimo sbigottita e poi ha gridato “Betlemme! “».
Con il cinema vive un rapporto ondivago, andate, ritorni, apparizioni. Come è andata secondo lei?
«Direi bene finché ho girato film come Belle al bar, I miei più cari amici …poi è arrivata la tv, con un flop e anche un trauma, e poi la rinascita, soprattutto con il teatro che, oggi, è il mio principale linguaggio di espressione. In palcoscenico posso essere tante cose diverse, personaggi sfaccettati, sul piccolo e grande schermo vengo sempre indirizzata verso ruoli che richiamano quello che io sono nella vita reale».
Qual è stato il flop televisivo?
«Il programma di Gianni Boncompagni, Primadonna, un fallimento, dove Gianni, a un certo punto, divenne il grande assente, forse deluso, fatto sta che non ha più investito su di me e io mi sono sentita ferita. Invece di cercare un accordo, abbiamo finito per chiuderci ognuno nel proprio orgoglio».
Ha rimorsi?
«Sì, ma sono di tipo venale, avrei potuto lavorare di più, in momenti in cui avevo un gran successo, e invece, dopo il trauma di Primadonna, mi sono ritirata in casa a leccarmi le ferite. Ne ero uscita a pezzi».
L’Italia in cui ha mosso i primi passi era molto diversa da quella di oggi. Più arretrata, più bacchettona. Pensa di averne subito le conseguenze?
«Non più di tanto, non ho mai avuto nessun rodimento, all’epoca per me era tutto oro quello che luccicava, mi sono adattata alle cose che mi proponevano, non ho mai preteso di avere di più. Ci si sente sottovalutati quando ci si sente migliori di quello che ci viene proposto, ma io mi sono adattata, tutto era un’occasione, anche le briciole. Dicevo di sì, tranne che a Tinto Brass, il quale, tra l’altro, mi trovava troppo secca, diceva che non avevo abbastanza polpa».
E adesso come va?
«Lavoro tantissimo, anzi, non ho mai lavorato tanto come adesso, anche se sono un po’ sgualcita, insomma, non più levigata, e il riscontro con lo specchio qualche difficoltà me la crea, però, va tutto bene, spero che duri. Insomma, per ora, questo grado di sgualcimento piace, poi, vedremo, magari daremo una stirata, con il sarto…».
Si è mai sentita discriminata?
«Forse una volta sì. Ci avevano chiamato per fare Domenica in sotto le feste di Natale, prima c’era stato un sì, poi è arrivato un no, probabilmente perché il tema del film di Benvenuti Belle al bar aveva creato qualche problema, anche se era un film delizioso, quasi educativo, pulito. Poi no, non ho subito discriminazioni e comunque non ho dato gran peso a quel genere di cose. Avevo le mie belle storie d’amore, le mie soddisfazioni private… grandi passioni, pezzi unici, e, con qualcuno, sono rimasta ancora in contatto».
La figura di Granatina, nel “Rapimento di Arabella”, evoca una certa tristezza, di rimpianto. Ci si ritrova?
«La vena malinconica ce l’ho dentro l’anima, viene da una tenerezza, da una forma di compassione, dall’età, dal tempo che passa, dalla dolcezza che può generare la vista di un filo d’erba che viene fuori dal cemento, di un bambino, di un anziano... Tutte cose che mi provocano nostalgia, mai tristezza però».
È stata amica di personaggi notissimi. Per esempio Paolo Villaggio. Che cosa vi legava?
«Paolo adorava i miei piedini, porto ancora la taglia 38 e direi che sono ancora graziosi, una volta me li sgranocchiavano tanto, adesso meno, lo fanno solo i cagnolini, loro continuano a baciarmeli.
Paolo era un grande intellettuale, non era affatto semplice come veniva giudicato. Parliamo di livelli alti, come quelli di Tomas Milian».
Che cosa ricorda di lui?
«Era venuto fuori con Bolognini, cinema di serie A, poi era diventato famoso con il Monnezza e questo gli provocava una grande pena, la gente si rapportava a lui solo attraverso quel personaggio, e invece Tomas era una persona sensibile, delicata. Era andato anche in India per cercare di guarire dal disagio psicologico che quella identificazione gli aveva provocato».
Ha mai ricevuto proposte indecenti?
«Ma magari! Niente, mai. Con Francesco Nuti è successo che una volta mi abbia chiamato di notte, era con Carole Bouquet, credo al termine di una notte brava, mi telefonarono insieme, dicevano “vieni, dai, vieni"…».
E lei che ha fatto?
«Ho risposto di no, che non potevo. “Mi spiace – ho detto –, ho un impacco d’olio sui capelli, sono impresentabile”. Non era una scusa, era proprio così».

Il suo trauma più grande?
«Ho visto molto poco mio padre, aveva lasciato mia madre dopo che lei lo aveva trovato a letto con la sua migliore amica. Continuava a venirmi a trovare, indossava sempre bellissimi cappotti di cammello, mi faceva salire sulla sua Porsche e mi portava a fare un sacco di giri, a grande velocità. Io però adoravo le bambole. Mio padre non aveva capito proprio nulla, cercava di incantarmi con le auto roboanti, ma non era il mio genere…».
E sua madre com’era?
«Una grande guerriera, fino a quando ho vissuto con lei, guardavamo la tv abbracciate. Ha sempre combattuto, era la pecora nera della famiglia perché era stata una ragazza madre».
Che rapporto ha con il mondo social?
«Non sono telematica, non possiedo nemmeno un computer, ho tutto sul telefono, le cose che mi servono le trovo lì, ma mai con accanimento. Se lo perdo è come se mi staccassero un braccio perché lì ho tutto, però non sono una che dipende dal cellulare. Una mia amica diceva sempre “a 20 anni il telefono bolle, a 40 lo senti, a 50 devi essere tu a chiamare"».
Quanto è importante l’amore nella sua vita?
«L’amore c’è in tutto, in ogni sfumatura delle cose che faccio ogni giorno, nel lavoro, nei rapporti con gli amici, con gli animali, con gli oggetti che mi piacciono.
Stamattina sono andata da “Humana”, uno dei negozi della catena vintage, mi sono presa un montone stampato con pagliuzze d’oro e collo di volpe, costo 30 euro, una meraviglia… Poi c’è una persona, la mia compagna, dormiamo in camere separate, abbiamo le nostre rispettive case, tra di noi c’è un grande affetto, lei è la mia alleata».
E il sesso?
«Via via è diventato sempre meno fondamentale, l’urologo mi raccomanda, “signora, eiaculi”, insomma, oggi faccio sesso più che altro per le ghiandole».

Sogno nel cassetto?
«Invecchiare decentemente, non stravolgermi, vincere il desiderio di rattopparmi rovinando tutto quello che la vita mi ha segnato sulla faccia».