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 2025  dicembre 21 Domenica calendario

Migliaia con Askatasuna. Poi la marcia di Torino si conclude in guerriglia

Nessuno ha detto niente lungo il percorso. Non c’è stata una parola d’ordine, una chiamata alle armi. Ma già in via Vanchiglia, vedevi cambiare alcune persone accanto a te. Ragazzi in abiti diversi: giacche cerate, impermeabili, sciarpe nere, guanti. Si trascinavano dietro dei bidoni carichi di pietre. Alle 16.31, il rapper Willy Peyote si è staccato dal corteo per andare a vedere cosa succedeva all’orizzonte. Tutti avevamo la stessa curiosità. In corso Regina Margherita, ma ben prima del centro sociale Askatasuna, sgomberato per ordine del governo, un muro di poliziotti in tenuta antisommossa e mezzi pesanti bloccava la strada con il cannone dell’idrante già puntato sull’arrivo del corteo. Segnavano un limite. Era chiaro che sarebbe stato il giorno dello scontro totale.
I ragazzi con gli impermeabili sono passati nelle prime file, il cannone ha incominciato a sparare ancora prima di uno slogan, di un tentativo, di una provocazione.
Il tutto ha avuto un che di ovvietà. I ragazzi preparati alla battaglia sono andati avanti anche sotto l’acqua. A quel punto è partita una carica: manganellate dalla polizia, sassi e bottiglie dalle retrovie. Poi una pioggia di lacrimogeni: lacrimogeni sparati in ogni direzione, per più di venti lunghissimi minuti. Per fortuna molti avevano capito quello che sarebbe successo: via i bambini del quartiere, via gli anziani sostenitori di Askatasuna, via le famiglie solidali e i politici di Alleanza Verdi e Sinistra. A fronteggiare i poliziotti sono rimasti quelli più interessati alla battaglia, non pochi a dire la verità. Undici agenti sono rimasti feriti. C’era rumore di pietre, esplosioni e ferraglia. L’aria è diventata irrespirabile nel raggio di centinaia di metri.
Ieri le vecchie leve di Askatasuna erano al fianco delle nuove, in una specie di passaggio di consegne. Alla partenza del corteo, davanti a Palazzo Nuovo, sede dell’Università di Torino, Stefano Millesimo, 25 anni – uno degli indagati – ha detto: «Noi vogliamo attraversare liberamente le strade di questo quartiere. Non ci stiamo alla militarizzazione del governo. Questo è sempre stato un quartiere aperto, che unisce e non divide».
Da pochi giorni è cambiato il questore di Torino. È cambiato anche il modo di gestire l’ordine pubblico. Quello di ieri è stato il giorno della tolleranza zero, per i cultori del genere un bel giorno. Ma a vederlo dalla strada è stato un giorno molto pericoloso, in cui si sono viste anche delle crepe nel patto sociale che tiene insieme una comunità. Lacrimogeni fino alle finestre delle case. Una donna in sedia a rotelle che attraversava quella nube di gas. Un ragazzo che vomitava sorretto da un amico. Cittadini rabbiosi, urlavano contro i poliziotti: «Vigliacchi!». «Fascisti!» «Vi paghiamo noi lo stipendio!». «Dovete farvi schifo quando vi alzate alla mattina».
La battaglia si era spostata nelle vie limitrofe, bloccando ogni accesso al quartiere. Un quartiere che da tre giorni vive in condizioni speciali: c’è chi deve chiedere il permesso alla polizia per entrare e uscire da casa sua. Tutto è successo dopo Largo maresciallo Berardi, vittima delle Brigate Rosse. All’altezza del gasometro del vecchio quartiere operaio di Vanchiglia. Impossibile avvicinare il centro sociale Askatasuna, ora murato e chiuso.
Le reazioni della politica sono arrivate immediatamente. Il ministro Salvini: «Da una parte donne e uomini in divisa, che difendono la legalità. Dall’altra parte i soliti violenti, figli di papà frustrati e falliti. Lo sgombero di Askatasuna è solo l’inizio. Ruspe sui centri sociali covi di delinquenti». Il ministro Tajani: «Quello che è accaduto è la dimostrazione che Piantedosi ha fatto bene a ordinare lo sgombero. Se il centro sociale diventa il luogo dove si organizzano gli attacchi alle forze dell’ordine è giusto che il governo abbia preso una decisione ferma».
Il sindaco di Torino Lo Russo, che con Askatasuna aveva cercato di dialogare e adesso non sa cosa fare: «Desideriamo condannare con fermezza gli episodi di violenza che si sono verificati durante il corteo di oggi, esprimendo solidarietà e vicinanza alle forze dell’ordine coinvolte nei disordini, ai commercianti e a tutte le cittadine e i cittadini che hanno vissuto disagi, peraltro a pochi giorni dal Natale». La vicesegretaria della Lega Sardone: «Feccia rossa». Il sottosegretario Delmastro di Fratelli di Italia: «Ecco l’orrido volto di Askatasuna». A chi conviene lo scontro totale?
Era dai tempi della morte degli anarchici Soledad Rosas e Edoardo Massari detto «Baleno» che Torino non viveva una giornata così a ferro e fuoco. Ventisette anni fa. Nessuno ne sentiva la mancanza. Le ultime parole del corteo risuonavano al megafono, del gradino più alto del sagrato della chiesa della Gran Madre: «Ci ritroveranno in ogni angolo e in ogni piazza di questo paese. La casa di Askatasuna sono le strade e sono le lotte. Non abbiamo paura di fare paura. È venuto il momento di quello che noi chiamiamo contro potere, è arrivato il momento di formare le nostre istituzioni dal basso».
Qualcuno in mezzo alla strada li malediva per il caos che si era creato tutto intorno, altri invece applaudivano. Sembrava il primo giorno di una città del futuro.