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 2025  dicembre 21 Domenica calendario

Quando Mussolini arruolò San Francesco

Cento anni fa San Francesco divenne fascista: ce lo dimostra Davide Recchi in un bel libro che ripercorre la storia della strumentalizzazione politica del Poverello in occasione delle celebrazioni del settimo centenario della sua morte: Santi in camicia nera. Il medioevo francescano nella propaganda fascista, pubblicato dalle edizioni Biblioteca Francescana. Per la verità, non era la prima volta che il misero abbigliamento di Francesco veniva attualizzato per accordarlo a qualche idea politica: glielo avevano tinto di rosso, a inizio Novecento, per accostarlo a Garibaldi, e D’Annunzio gli aveva messo sul capo il casco di legionario per farne il protettore della guerra di Libia, contro i turchi, come citazione del viaggio a Damietta, letto come evento colonialista.
La macchina organizzativa del settimo centenario si mette in moto per tempo, nel 1924, ma, altrettanto precocemente, sull’evento comincia a mettere la mani il Partito nazionale fascista, con Mussolini il quale, nel 1925, scrive che l’Italia, pur se “trattenuta ancora nel rude travaglio medievale”, con Francesco si avvia alle gentilezze dell’Umanesimo. Nel 1926, Franco Paladino (l’editore di Mussolini, come si definisce) commissiona a don Paolo Ardali (al quale fa scrivere anche un opuscolo su Mussolini e Pio XI) una biografia parallela su San Francesco e Mussolini. In Mussolini – argomenta il camerata in tonaca – c’è, anche fisiognomicamente, Francesco: il suo volto “mi richiama alla memoria una pittura di Francesco d’Assisi di scuola senese del secolo XIII: identica vivezza nello sguardo, identica nobiltà di atteggiamento, manca solo l’aureola”.
Ma il protagonista più importante di questa operazione di iscrizione di Francesco al Pnf è senz’altro il podestà di Assisi, Arnaldo Fortini (1889-1970), avvocato, francescanista, ricostruttore dal 1927 della festa del Calendimaggio. Sarà lui a ottenere dal Duce che il 4 ottobre venga proclamato festa nazionale (poi derubricata e oggi, in clima di sensibilità più vicine a quelle di Fortini, nuovamente riproposta). A guerra finita, il suo passato fascista non gli impedirà di essere nominato titolare della cattedra di Studi francescani all’Istituto storico italiano.
Il podestà è un convinto sostenitore dell’endorsement di Francesco sulle imprese del regime. Nel 1935, in un radiomessaggio alle truppe in partenza per la guerra d’Etiopia, invoca su di loro il viatico del Santo (anch’egli soldato, anch’egli votato al sacrificio) che le proteggerà “per le strade segnate dalle orme sanguinose dei missionari francescani”. Altrettanto, nel 1942, nel saluto ai combattenti in partenza per il fronte, ricorderà il “santo dalle virtù eroiche [che esprime] il nostro credo che si compendia in un solo presagio, in una sola parola, in un solo grido: VINCEREMO!”.
La radio fa il suo ruolo, con le prediche radiofoniche di fra’ Vittorio Facchinetti (“frate Microfono”) e altrettanto lo fa il cinema. Nel 1927 il regista Giulio Cesare Antamoro firma Frate Francesco, film (ovviamente muto: il sonoro arriverà in Italia nel 1930) della durata di 110 minuti, con Alberto Pasquali (1882-1929) nelle vesti del Santo.
La fascistizzazione del Poverello va avanti sulle colonne dell’ex Cremona Nuova, diventato Il Regime Fascista, che ne parla come del “fascista dell’Italia feudale”. Ma non ci si stupisca: il regime sta arruolando mezza storia medievale e protorinascimentale nella Milizia. Vengono accreditati come precursori del fascismo Francesco Ferrucci e Giovanni dalle Bande Nere, e si stacca una roboante tessera del Pnf per Dante Alighieri. Per non dire del fatto che perfino alla Madonna viene fatta metaforicamente indossare la camicia nera. Nella Madonna del Fascio, opera realizzata con 398 piastrelle di ceramica da Leopoldo Battistini, donata nel 1927 a Mussolini e da questi destinata all’asilo Santa Rosa di Predappio, si vedono infatti ai piedi della Vergine due angioletti che le presentano un pesante fascio littorio. Non ci si ferma nemmeno qui, perché – sottolinea Recchi – a Vibo Valentia (che ancora non si chiama così) nasce l’immagine della Madonna del manganello, protettrice dei fascisti, dove si vede Maria che con la sinistra regge Gesù mentre impugna a destra il robusto randello con il quale minaccia (l’evidentemente sovversivo, antifascista) Satana.
Di fronte a questa esuberante fascistizzazione di un pezzo di Paradiso la Chiesa si mantiene cauta: su Civiltà Cattolica, padre Enrico Rosa mostra un prudente scetticismo e lo stesso papa Pio XI, nell’enciclica Rite expiatis del 1926, che prende spunto proprio dalle celebrazioni, invita a non forzare retoricamente la storia di Francesco, ammonendo a non creare “paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane [che] non riescono di nessun vantaggio e sono ingiuriosi verso Dio autore della santità”, ribadendo, nelle conclusioni, il monito a esaminare “l’immagine genuina di questo grandissimo animatore di Cristo”.
Tuttavia, questa lettura va avanti impavida, rafforzata, anzi, dalla promotio di Francesco a Patrono d’Italia (“il più italiano dei Santi, il più Santo degli italiani”), da parte di Pio XII, nel 1939, insieme a Caterina da Siena, modello di coscienza unitaria civile e religiosa in cifra di italianità della Chiesa. In quest’occasione, anzi, il regime si appropria di entrambi in chiave di difensori della razza italica contro l’infedele “orientale” bolscevico.
Sono in buona compagnia, i due santi: il fascismo – argomenta Recchi – tessera anche il francescano Bernardino da Feltre, promotore dei Monti di Pietà, arcinemico degli ebrei prestatori, che nasce nel 1439, giusto per festeggiare i suoi settecento anni all’indomani delle leggi razziali del 1938. Così come arruola la francescana Santa Chiara che caccia da San Damiano (1241; e ancora un settimo centenario da celebrare mentre l’Italia entra in guerra contro i nuovi “infedeli”, i bolscevichi) prima i saraceni di Federico II e poi i suoi empi sgherri. Solo dopo il 1943 a Francesco viene finalmente restituito il suo saio originale. Al quale, tuttavia, non si è smesso, nei decenni, di attaccare ulteriormente qualche medaglia e distintivo. L’ultimo, quello di profeta dell’ecologia. Va bene, ma non dimentichiamo che il Cantico delle Creature non è, né poteva essere, un “manifesto dell’ecologia” (termine e concetto che non avevano alcun senso nel Duecento) e che è, nella sua potente poetica forza di lode a Dio, prima di tutto un manifesto, sì, ma antiereticale, contro la dottrina dei Catari (a quel tempo arrembanti e temuti) che presentavano il Creato come un solo, infame, inganno di Satana.
Gli ottocento anni dalla morte sono sottolineati da alcune nuove letture della vita di Francesco. Aldo Cazzullo (Francesco. Il primo italiano, HarperCollins) lo fa in cifra di racconto “popolare”; Alessandro Barbero (San Francesco, Laterza), analizza, con rigoroso metodo da storico, fonte per fonte e restituisce a ciascuna di esse la sua peculiare narrazione della figura dell’assisiate. Va bene tornare a ricordare la grandezza di Francesco, ma che lo si faccia, possibilmente, depurata da vecchie o nuove “passioni partigiane”, di qualsiasi tipo esse siano. Come raccomandava cent’anni fa papa Pio XI.