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 2025  dicembre 21 Domenica calendario

Siamo tutti scacchisti della domenica

Spingitori di legno, che altro sono i giocatori di circolo? Che altro fanno, se non mandare i pezzi avanti, e vedere che cosa succede? Come in tutti gli sport, sotto i riflettori vanno i campioni, e nella memoria restano solo i fuoriclasse. I libri di scacchi sono pieni di sfide memorabili, di partite immortali, di match del secolo. Come in ogni altro sport, si vuol sapere chi sia stato il più forte di tutti. D’accordo, è difficile confrontare campioni vissuti in epoche diverse, e poi oggi c’è il computer, è tutt’altra storia; è vero, si gioca di più, il movimento scacchistico è molto cresciuto. Ma fatte le debite differenze: chi è il più grande? Bobby Fischer, Garry Kasparov o Magnus Carlsen? Si discute, si confrontano record, punti elo, classifiche, poi un arbitro chiede attenzione, dà un’ultima occhiata agli orologi, ricorda brevemente alcune regole (cellulari spenti, mi raccomando!), ed ecco: comincia il torneo. Dove giocano tutti gli altri. Dove giochiamo noialtri, gli spingitori di legno, i dilettanti, gli scacchisti della domenica, noi che ci lustriamo gli occhi quando vediamo le partite dei beniamini ma che, alla scacchiera, infiliamo vergognosamente uno strafalcione dopo l’altro, e però continuiamo a giocare.
Siete mai entrati in un circolo? Avete mai visto gli anziani, pensosi, stracciati da ragazzini impertinenti che non arrivano all’altezza del tavolo? Avete mai visto i giocatori più forti sorridere malignamente alle sviste dei più deboli? C’è quello pieno di tic che non dice una parola, poverino, quell’altro che, cavolo!, devi vedere questa combinazione, e subito si forma un capannello e ognuno crede di saperla più lunga; quello che conserva orgogliosissimo la memoria storica locale e snocciola aneddoti su aneddoti, e l’altro che spiega alle mamme che non si preoccupi, signora, il circolo è un posto normale, stia pure tranquilla; c’è quello che ha la macchina e offre passaggi (dividendo le spese, sia chiaro) e l’altro che chiede chi ci sarà al prossimo torneo blitz (e se ci va lui io non vengo).
Sono entrato in molti circoli, tra maestri e principianti, istruttori e allievi, giocatori alle prime armi e cariatidi ormai indistinguibili dalla tappezzeria: alcuni club hanno sedi prestigiose – come Torino: ho strabuzzato gli occhi per gli spazi che hanno a disposizione – e altri, devo dire, mi aspettavo di meglio – come a Roma, dove sono finito in un seminterrato, o a Milano, in centro: gran bella sede ma per giocatori di bridge, e pochi scacchisti ultracentenari relegati in una stanzetta. A Napoli ha aperto da poco una nuova sede che sembra un covo di pirati, ma è a due passi dall’università e si spera possa fare il pieno di studenti, mentre nella cittadina in cui vivo, Baronissi (vicino Salerno), la settimana prossima viene inaugurata la nuova sede, dopo anni di penitenza in una stanzaccia già adibita dalla parrocchia a magazzino di generi alimentari. È una storia a lieto fine: abbiamo giocato in un bar, coi tavoli di lato ai biliardi, poi stipati in un prefabbricato, poi in un centro sociale, con un ampio salone che un po’ toccava a ballerini del posto un po’ a noi (mentre a fianco furoreggiava la bocciofila), quindi il magazzino umido e senza riscaldamento: d’inverno si sta con giacconi e cappelli addosso, e in una valigia sdrucita si portano avanti e indietro giochi e orologi (perché va a sapere che fine fanno, se li lasciamo lì), e adesso, finalmente, in spazi messi a disposizione dal Comune. Ma sono tanti, gli scacchisti, e in continuo aumento. Non c’è bisogno di snocciolare statistiche, le app sui cellulari consentono a tutti di giocare, e così il gioco si è diffuso. L’ausilio del computer permette di seguire le partite importanti conoscendo le mosse migliori prima ancora che vengano giocate: magari non capisci bene perché, ma intanto puoi trepidare per vedere se alla scacchiera il giocatore farà davvero la mossa giusta, e l’aspettativa aumenta la tensione, e il piacere.
Ma resta il microcosmo del circolo il luogo dove tutto accade veramente. Dove Caissa, la dea del gioco, eleva o abbatte, esalta o mortifica. I genitori portano i figli perché gli scacchi aiutano certe capacità – prestare attenzione, calcolare mentalmente, intuire immaginativamente – ma il cuore nero di tutta la faccenda è un altro: a scacchi ci si fa male, vince il più forte e non ci sono scuse; per questo, gli scacchisti non fanno altro che inventarle, le scuse. «Odio perdere», confessava Kasparov, lui che poteva permetterselo, dal momento che vinceva (quasi) sempre. Ma a tutti gli altri tocca proprio perdere, e solo se sono disposti a perdere possono anche imparare a vincere (in the long run).
Nell’ultimo libro di Sally Rooney, Intermezzo, Ivan tiene una simultanea contro una decina di giocatori del circolo locale, dov’è invitato. La scrittrice deve raccontare la sua storia di giovane e brillante promessa che si è fermato un passo prima del professionismo, deve raccontare dei suoi amori e dei suoi dolori e così non ci dice quasi nulla sugli sfidanti: c’è una bambina a cui Ivan volentieri darebbe qualche lezione (le donne restano ancora troppo poche!), c’è il presidente del circolo che fa gli onori di casa, degli altri capiamo solo che sono persino felici di perdere, pur di stringere la mano all’ospite illustre, e magari andarsi a bere una birra insieme, dopo l’esibizione.
Chi offre, però? Piccola economia del gioco: ci sono i campionissimi, capaci di attirare finanziamenti, sponsor, pubblicità, e si contano sulle dita di una mano; dopo viene un certo numero di scacchisti professionisti, che mettono insieme corsi, esibizioni, incarichi in federazione e qualche ingaggio; c’è poi un’altra fascia più larga di giocatori quasi professionisti che un tempo sono stati forti e che ormai, però, s’arrabattano, racimolano premi nei piccoli tornei di provincia, dove rimangono i più ferrati, ma devono tirare la cinghia, viaggiare su treni regionali e farsi ospitare da amici. Infine, tutti gli altri, tutti noi, la strana fauna scacchistica che continua a ragionare di aperture e di finali, alfieri cattivi e sacrifici di qualità. Giocatori del tempo libero, spingitori arrugginiti, la cui gloria è anonima, il cui splendore è impersonale come ogni vera felicità su questa terra, come ogni indivisibile bellezza. Arte, sport e scienza: i loro scacchi sono un po’ al di sotto di tutte queste cose, ma posso giurarlo: ineliminabili dalle loro vite.