Corriere della Sera, 21 dicembre 2025
Sgomberare CasaPound. La «promessa» del Viminale e gli ostacoli che la frenano
Venerdì prossimo saranno 22 anni di occupazione. Per la quale il governo di centrodestra è stato accusato quest’anno di «doppiopesismo» dopo gli sgomberi del Leoncavallo a Milano e di Askatasuna a Torino, ma che è stata una spina nel fianco anche di quelli di centrosinistra e tecnici. Intanto però i circa cinquanta inquilini – donne, minori, ma anche alcuni attivisti – del palazzo in via Napoleone III, all’Esquilino, nel centro di Roma, rimangono al loro posto nel quartier generale del movimento di estrema destra CasaPound, forti anche del fatto che sotto Natale a Roma non si sgombera. Proprio ieri tuttavia, sul quotidiano Libero, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ribadito ancora una volta (lo aveva già fatto di recente ad agosto al Meeting di Rimini e poi a ottobre alla Leopolda a Firenze) che un intervento risolutivo potrebbe avvenire «quanto prima», insieme con realtà analoghe, rivendicando – come in altre occasioni – di aver inserito quel palazzo nella lista degli stabili da liberare quando era prefetto di Roma.
Attualmente l’edificio – per il quale la Corte dei conti ha chiesto a 9 dirigenti del Demanio e del Miur un risarcimento da 4,6 milioni di euro per danno erariale da mancati introiti a causa dell’occupazione – è al sesto posto di quell’elenco, davanti a un’altra storica occupazione romana e di tutt’altro segno politico, lo Spin Time di San Giovanni. Realtà, come le prime cinque nella lista (che non deve essere rispettata a tutti i costi), con migliaia di migranti, immigrati e italiani, che a differenza di Leoncavallo e Askatasuna – dove all’arrivo delle forze dell’ordine non c’era praticamente nessuno – non possono essere sgomberate senza fornire al tempo stesso una soluzione alloggiativa agli occupanti. Ma nemmeno fra gli esponenti del governo ci sono posizioni comuni. Il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha chiarito che su CasaPound «la penso come su Askatasuna: quel palazzo deve essere sgomberato»; mentre il suo collega della Cultura Alessandro Giuli ha sottolineato l’estate scorsa che «non è necessario un provvedimento del genere se CasaPound si allinea a criteri di legalità». E Piantedosi ha sintetizzato: «Credo che abbia detto che se si legalizza in qualche modo potrebbe non essere sgomberato. È successo già ad altri centri. Il Comune di Roma ha comprato addirittura delle strutture per legalizzarli, è successo anche in altre città». Insomma, una possibile strada per arrivare alla restituzione dell’edificio dove nel 2023 dieci attivisti sono stati condannati a due anni e due mesi per averlo occupato.
Ma anche da CasaPound, ad agosto, c’è stata un’apertura: «Vogliamo avere lo stesso trattamento dei centri sociali di sinistra – spiegò il portavoce Luca Marsella —: l’operazione milanese è stata un bluff per regolarizzare un’illegalità, non c’è stato sgombero, ma un accordo con il Comune per trasferirlo. Altrimenti da qui non ci muoveremo».