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 2025  dicembre 21 Domenica calendario

Dal Quirinale un avviso sul decreto. I rischi di una misura «inopportuna»

La (quasi) crisi di governo sulla Manovra di bilancio può dirsi alle spalle. Le fortissime tensioni che hanno portato la maggioranza a un passo dal burrone si sono faticosamente allentate. E ai piani alti dell’esecutivo si ragiona, a mente più o meno fredda, su quello che è stato forse il passaggio più difficile per Giorgia Meloni sul piano della politica interna. Ore di nervosismo e di contatti elettrici tra Palazzo Chigi, via XX Settembre, Palazzo Madama e il Quirinale. Uno psicodramma tutto interno alla coalizione di governo, che in parte è andato in scena venerdì dietro le quinte dei saloni seicenteschi del Colle più alto, prima e dopo il discorso di Sergio Mattarella alle alte cariche dello Stato. Già, perché è toccato al presidente scongiurare il «blitz» con cui il governo aveva provato a scavalcare per decreto le lacerazioni tra i big della Lega e la minaccia di dimissioni di Giancarlo Giorgetti.
I meloniani ammettono che l’inquilino del Quirinale si è fatto informalmente sentire, «in maniera collaborativa e non impositiva». Se ha respinto l’idea partorita tra Mef e Ragioneria di un decreto ad hoc che contenesse le norme della discordia lo ha fatto, raccontano, per questioni «tecniche, politiche, giuridiche e costituzionali e non per rompere le scatole al governo». Le fonti chiedono l’anonimato e c’è da capirle. La tanto sbandierata stabilità ha vacillato nella notte di giovedì, quando la premier a Bruxelles stava chiusa con i leader dell’Europa a combattere su asset russi e Mercosur.
A tarda sera la Lega di rito salviniano parte all’attacco delle coperture identificate dal ministro dell’Economia, Giorgetti. Il Carroccio si spacca, Meloni è però irraggiungibile. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, chiama il sottosegretario leghista Federico Freni e poi il sottosegretario a Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano, che a sua volta sente Giovanbattista Fazzolari e il capo di Gabinetto, Gaetano Caputi. Con quale stoffa rattoppare il buco e placare l’ira di «Giorgia»?
L’ideona che vien fuori è stralciare le parti sulle pensioni che la Lega contesta e scrivere a tempo di record un decreto, ma serve il via libera del Quirinale. È un azzardo, visto anche il noto disagio del presidente e dei suoi collaboratori per la sciatteria con cui tante leggi sono scritte e il ricorso sistematico alla decretazione d’urgenza, in barba all’articolo 77 della Costituzione. Venerdì mattina, con la bozza del decreto sul tavolo, il «pontiere» Mantovano cerca il segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti. Passa qualche ora e il responso degli uffici giuridici e legislativi è un vigoroso no, che nel governo spiegano così: «Il presidente ha fatto capire che sarebbe stato inopportuno e forse anche incostituzionale presentare un decreto di bilancio, con la Finanziaria aperta». Se avesse forzato e tirato dritto su una strada che non ha precedenti, la maggioranza si sarebbe esposta a possibili ricorsi e conflitti, anche con la Consulta. Insomma, un decreto che contenesse stralci di manovra e la mettesse a rischio poteva essere «pericoloso per il sistema». Al Quirinale sdrammatizzano e non confermano, ma secondo voci parlamentari anche di questo avrebbero parlato (sottovoce) Mattarella, Meloni, Tajani e Salvini a margine del brindisi del presidente con le alte cariche.
Salvo miracoli natalizi, l’appello al dovere dell’unità, del dialogo e del confronto con gli avversari per il bene degli italiani cadrà nel vuoto. Ma Ciriani, dal punto di vista almeno formale, ha provato a raccoglierlo. Quando il governo ha trovato finalmente l’accordo sul nuovo emendamento, il ministro ha parlato con i capigruppo dei partiti di opposizione, ammettendo in sostanza che «stava saltando il banco» e illustrando la soluzione del rebus.