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 2025  dicembre 19 Venerdì calendario

100 anni di corazzata Potemkin

Arnoldo Foà ricordava con grande piacere il fatto di aver prestato la sua voce per leggere in italiano le didascalie di La corazzata Potemkin. «Tutto avvenne mentre stavo girando Yvonne la nuit, era il 1949, Totò ci teneva tantissimo perché non era un film comico ma drammatico, io facevo la parte di un senatore un po’ furbetto. Venne sul set un giornalista di cui non ricordo il nome, mi disse che veniva a nome del partito comunista e che voleva chiedere la mia voce per far rivivere un capolavoro che Hitler e Mussolini non avevano voluto far vedere. Toccò il tasto giusto perché io quei due li odiavo. Essendo ebreo, mi avevano eliminato e per lavorare dovevo fingermi un’altra persona, il mio nuovo nome era Puccio Gamma. Al Centro Sperimentale Umberto Barbaro parlava spesso di quel film, ma io non lo avevo mai visto. Volli vederlo, prima di accettare. E rimasi attonito. Era un film bellissimo, un grande capolavoro, quelle immagini mi restavano nella mente. E poi non c’erano tante didascalie da leggere, pensai che il regista aveva lavorato soprattutto sulle immagini e quindi tra l’altro il mio lavoro era minimo. Quella copia circolò clandestinamente nelle case del popolo, nelle sezioni comuniste. Però mi ha fatto sapere che mi hanno nuovamente cercato vent’anni dopo, quando invece il film è stato distribuito regolarmente con copie nuove di zecca stampate apposta per l’occasione. Credo di essere l’unico attore che ha doppiato due volte lo stesso film».
E tutti quelli che vedevano La corazzata Potemkin per la prima volta avevano la stessa reazione di Arnoldo Foà. Del resto, il regista Sergej M. Eisenstein sapeva molto bene come coinvolgere il pubblico. Lo chiamava “montaggio delle attrazioni”, ed era una teoria facile da spiegare ma molto difficile da mettere in pratica. In parole povere, il regista sosteneva che il montaggio doveva essere serrato, che si dovevano mostrare allo spettatore immagini forti che procurassero in lui le stesse reazioni che avevano i protagonisti del film. Bisognava spezzare continuamente il racconto, non far distrarre lo spettatore, non concedergli nessuna “comfort zone” come si direbbe oggi. Bisognava che i dettagli, i particolari venissero mostrati con forza, in modo provocatorio. Ed era indispensabile che nessuno potesse mai rilassarsi guardando i film, perché se questo avveniva si era passivi anche nei confronti della Storia, dei rapporti tra le classi sociali. E infatti, quando si vede che ai poveri soldati protagonisti di uno storico ammutinamento nel 1905 contro gli ufficiali dello Zar di Russia viene proposto come rancio delle gavette che ospitano pezzi di carne evidentemente rancida e pullulante di vermi, qualunque spettatore capisce che la misura è colma e non ci si può non ribellare per riconquistare una dignità umana. E quando si vede quella fragile carrozzina rotolare verso il basso sulla scalinata di Odessa, ci si indigna perché la repressione è davvero cruenta e spietata, priva di ogni umanità, utile solo per riaffermare un potere basato sull’ingiustizia e sulla violenza.
Del resto, quello era l’obiettivo di Eisenstein e del Goskino, l’organismo statale sovietico che gli aveva commissionato il film. Il regista prese molto sul serio quell’incarico, girò per tantissimo tempo, arrivò al 21 dicembre 1925, giorno della prima al teatro Bolshoi di Mosca, che non era ancora certo del montaggio finale, tant’è vero che modificò alcune scene del finale mentre la proiezione era già in corso. Ma fu accompagnata da un successo vero, e lo stesso accadde a Berlino qualche mese dopo. Era considerato il film migliore per spiegare il successo dei bolscevichi in terra russa: lottavano contro un potere violento e corrotto, erano stati capaci di intercettare il consenso popolare rovesciando la dinastia dei Romanov al potere da trecento anni. E, soprattutto, padroneggiavano la cinematografa che Lenin aveva subito definito «l’arma più forte», proprio come Mussolini farà dieci anni dopo inaugurando gli stabilimenti di Cinecittà.Paradossalmente, tutti i totalitarismi al potere nell’Europa degli anni Venti e Trenta investirono massicciamente nel cinema, ottenendo ottimi risultati e coinvolgendo i migliori intellettuali. Tale era certamente Eisenstein, che era stato a teatro l’allievo preferito di Meyerhold e che in seguito aveva letteralmente rivoluzionato il modo stesso di concepire il cinema. E proprio per questo Benito Mussolini, che pure aveva vietato il film, lo ammirava profondamente e non mancava d farlo vedere ai suoi collaboratori più stretti come un esempio che la cinematografa fascista a livello di linguaggio avrebbe dovuto seguire. Giuseppe De Santis, il futuro regista di Riso amaro che all’epoca frequentava il Centro Sperimentale e che conosceva bene Vittorio Mussolini, il figlio cinefilo di Benito che dirigeva la rivista Cinema, segnalava nei suoi ricordi che La corazzata Potemkin era una vera e propria ossessione per i Mussolini. «Dobbiamo fare un film come questo, che abbia come protagoniste le masse e non quattro attori pseudo intellettuali»: era una specie di mantra, un’ossessione.
Di Potemkin comunque si parla ancora e non solo per la divertente (e ingiusta) presa in giro di Villaggio nei panni di Fantozzi. Brian De Palma, che quando era giovane era soprannominato il Godard americano, lo cita in Gli intoccabili: «E l’ho fatto non per giocare, ma perché quelle immagini sono tra le cose più belle di tutto il Novecento. Ejsenstejn ci inchioda sulla sedia, e di fronte all’orrore che suscitano i generali dello Zar il mio Al Capone è solo un povero dilettante».