la Repubblica, 19 dicembre 2025
Quello che le donne dissero finalmente grazie a Boccaccio
La fatica che si dovrebbe fare in occasione degli anniversari, è quella di cercare delle motivazioni contemporanee a un autore classico di molti secoli fa. Senza rendersi conto che nell’esigenza stessa di ricordarlo, sta il fatto che abbia ancora una vitalità; e senza voler considerare che i classici sono nient’altro che questo: delle opere, o degli autori, capaci di rispondere a delle domande fatte molti secoli dopo. Quindi la contemporaneità di un classico è la definizione stessa di classico.
Se poi si tratta di Giovanni Boccaccio, è tutto più semplice. Lo abbiamo tirato fuori durante il covid, lo possiamo tirare fuori a ogni condizione: l’amore, il sesso, la libertà, la trasgressione, il clero, i vizi e le virtù, i viaggi, i tradimenti, le vendette, gli inganni, le beffe. Gli omicidi e i suicidi. La grandezza del Decameron sta nel racconto del quotidiano, in un’umanità calata dentro le giornate del proprio tempo, e questa perfezione del presente è durata e continuerà a durare per tutto il tempo futuro. Quindi, quasi a caso, si può tirare fuori un argomento che dice: quanto ci parla ancora! Ma se c’è una grandezza più evidente delle altre, è il racconto delle donne, dove il Decameron è perfetto: Boccaccio è stato il primo scrittore che ha dedicato gran parte delle sue pagine a personaggi femminili, con grandi protagoniste anche al di fuori del Decameron, come donna Fiammetta o la vedova del Corbaccio. Ha perfino scritto il De mulieribus claris, una raccolta di 106 biografie di donne famose.
Ha scritto delle donne in modo conflittuale, spesso, a causa di alcuni suoi dolori che negli uomini poi sono fonte di creatività vendicativa, nel 1300 come oggi. Ma ha dato complessità, psicologia, coraggio e furbizia, e molta libertà ai personaggi femminili. E a proposito del sesso, che spesso viene visto come protagonista del Decameron, ha dato licenza di desiderio. E, nella sostanza, anche una intelligenza superiore – anche questo, però, lo ha fatto non solo in modo ammirato ma anche incazzato. Le ama e le denigra, le ammira e le detesta. Ma dà alle donne un ruolo potente nelle varie novelle, quel ruolo da protagoniste che ancora oggi le attrici del cinema, per esempio, sono costrette a recriminare con rabbia.
Il Decameron è dedicato alle donne, e nel proemio Boccaccio spiega perché: esse sono spesso costrette a stare chiuse in una stanza, a far passare le ore, ad annoiarsi; non possono, diceva, come gli uomini, «andare attorno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare o pescare, cavalcare, giucare e mercatare»; è così che gli uomini combattono sia le sofferenze sia la noia; e allora Boccaccio viene in soccorso delle sofferenze e soprattutto della noia delle donne raccontando delle storie che hanno per protagoniste, spesso, proprio loro; e poiché le storie si occupano di loro, le raccontano sette donne su dieci giovani che si sono rifugiati fuori Firenze a causa della peste (insomma, è il lockdown come avremmo sognato di viverlo).
La varietà di racconti e di personaggi femminili è tale che è difficile qui sintetizzarla. Ghismonda rappresenta forse la lotta più esplicita per l’emancipazione, anche se finisce come poteva finire nel Trecento: con il suo suicidio, ma dignitoso e silenzioso, contro le imposizioni e anche le morbosità di un padre che uccide il suo amante e le fa recapitare il cuore per distruggerla. Ghismonda lotta per sé stessa, ed è già questa una grandezza impensabile per un personaggio letterario fino a quel momento (sono narrazioni che Dante e Petrarca sono lontanissimi dall’immaginare).
La vittima più feroce, ma anche la donna più eroica, è Alatiel. Vaga per il mediterraneo, e ogni uomo che incontra la possiede con un atto violento, ma quando torna a casa riesce con armi affabulatorie a convincere il padre della propria verginità e ad andare in sposa. La sua debolezza è sottolineata dal narratore, che è un maschio stavolta, ma la sua salvezza è opera del suo ingegno.
Giletta di Narbona è figlia di un medico e riesce a far guarire il re di Francia, che le accorda in cambio di sposare il ragazzo che lei desidera, Beltramo conte di Rossiglione, il quale è inorridito di aver sposato una donna medico e scappa al fronte per non consumare il matrimonio. Diletta governa da sola, risana il feudo, fa felici i sudditi, e fingendo di essere un’altra donna inganna Beltramo e alla fine lo fa anche innamorare di lei.
Questo elenco di grandi personaggi femminili nel Decameron potrebbe non finire mai. Alibech è uno splendido esempio, come ce ne sono parecchi, della sfrenatezza sessuale: ingannata ragazzina da un prete malefico che le dice come si fanno gli esorcismi, mettendo il diavolo in Inferno, poi ne vuole così tanti che lo sfinisce e lo fa disperare. Qui sta molta della grandezza di Boccaccio: il sesso come inganno carpito a qualcuna che non sa nemmeno di cosa si tratti, e che poi viene accolto come un’eccitazione a cui si ha diritto quando si vuole; e nessuno può intralciare il desiderio. Il sesso è espressione di libertà, di rivoluzione. Ma è soprattutto il luogo della libertà. È con questo sentimento molto chiaro che Pasolini ha affrontato l’opera nel suo film, nel 1971, allargando soprattutto alle povere genti la forza espressiva e liberatoria del sesso, l’espressione dell’umanità nel suo modo più autentico, la carnalità. Da questo film, così essenziale nell’avvicinamento a Boccaccio, è scaturito poi il filone boccaccesco del cinema erotico italiano: Decameron proibitissimo (Boccaccio mio statte zitto), Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti, Decameroticus, tutti film usciti l’anno dopo, e sono solo titoli esemplari tra altre decine. Pasolini ne era sia inorridito sia divertito, aveva addirittura previsto (come al solito) questa deriva; e chissà, forse in cuor suo, non ne era troppo dispiaciuto. Ecco come le onde si propagano nei secoli.
Quello che Boccaccio ha avuto voglia di raccontare, alla fine, è soprattutto il peccato senza ricerca della redenzione: il senso di colpa è per i dominanti, i ricchi e i potenti, per gli uomini che vanno a caccia e pesca; per tutti gli altri è pressoché sconosciuto, o fintamente coltivato.