Corriere della Sera, 19 dicembre 2025
Cresce la distanza tra Roma e Berlino: le accuse e i sospetti sull’aiuto agli ucraini
Gelo no, forse è troppo. E parlare di muro contro muro evoca altre immagini della storia. Ma insomma a una certa ora della tarda sera la distanza fra Berlino e Roma, dunque fra Merz e Meloni, c’è e non si colma. Anzi si tocca. Ed è racchiusa in questa considerazione piovuta sui taccuini da fonti italiane intorno alle 20, mentre nella sala del Consiglio europeo si sta per iniziare a discutere con molta calma di cosa fare dei beni russi e di come – con quali soldi – continuare a sostenere l’Ucraina per i prossimi due anni. Discussione centrale affrontata però dopo la cena, altra occasione di confronto tra i leader. Alla fine si entrerà nel vivo della faccenda alle 21.40.
Il ragionamento della diplomazia italiana è il seguente: la Germania usa «l’argomento morale», quello cioè di punire la Russia di Putin per le malefatte della guerra, per nascondere altro. E cioè un calcolo economico, finanziario, politico. Ergo: non fare debito europeo per aiutare Zelensky. Debito: parola poco magica, considerata a Berlino alla stregua della Kryptonite per Superman.
Meloni resiste, tratta e rilancia. Gioca di sponda con gli sherpa, osserva la vera trattativa in corso. Quella fra il Belgio (che ha in pancia 185 miliardi di euro di beni russi congelati) e il resto dell’Europa, a partire dalla Germania, certo. Che – e qui sono ancora i pensieri delle feluche di Roma – sta facendo una «enorme pressione».
D’altronde i dubbi «tecnici e giuridici» della premier sullo scongelamento e l’utilizzo delle ricchezze di Mosca sono noti. Li ha esplicitati anche l’altro giorno in Parlamento, spinta da tutta la sua maggioranza, a partire dalla Lega, prima di atterrare qui per questo Consiglio europeo, decisivo e ballerino, dall’esito incerto e dagli orari che si allungano continuamente.
Tira aria di notte bianca. In sala stampa circola la sentenza: è il più complicato di questa legislatura. L’Italia accarezza un piano B, un prestito europeo con garanzie nazionali. Senza scongelare e quindi toccare gli asset russi, con il coinvolgimento solo degli stati che sono interessati. Un’ipotesi che piace anche agli Stati Uniti di Donald Trump, attivi in queste ore con i paesi europei più amici. Serve però il via libera di tutti i 27 leader. Viktor Orbán compreso, che potrebbe dire di sì senza agitare l’amata clava del veto, per poi fare un passo indietro e spiegare che l’Ungheria non farà la sua parte per Kiev. Ma senza ostacolare.
Dietro alle garanzie «esosissime» del Belgio per sbloccare i beni russi ci sono anche le perplessità casalinghe di Francia e Italia, si capisce. Secondo l’agenzia Ansa, anche se Palazzo Chigi non conferma, a margine del Consiglio ci sarebbe stato un trilaterale informale fra von der Leyen, Merz e Meloni. Visti entrare per ultimi in sala. Ma d’altronde quassù, si sa, tutti parlano con tutti.
La premier italiana e il cancelliere tedesco hanno vissuto questa prima giornata del Consiglio da fronti opposti. Quasi da duellanti: dal Mercosur agli asset. Sul primo dossier, il rinvio richiesto dall’Italia ha avuto la meglio. Con la presidente della Commissione che ha annullato il viaggio in Brasile e la presidente del Consiglio che ha spiegato a Lula il motivo di questo stop temporaneo. Un modo per tenere insieme le proteste del mondo agricolo italiano (solo della Coldiretti ieri è arrivata a Bruxelles una delegazione a bordo di undici charter, oltre a mille iscritti di Confagricoltura) e rapporti di buon vicinato. La Germania stava dall’altra parte del fiume e l’Italia si è potuta intestare il rinvio per migliorare l’accordo. Ma sul sostegno all’Ucraina la partita è ancora più grande e complessa. Nessuno – né Germania né Italia – vuole gioire delle disgrazie (schadenfreude) di Zelensky. Ma sul come aiutarlo si gioca la sfida fino a tarda notte.