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 2025  dicembre 18 Giovedì calendario

Alzheimer, lo studio rivela «Rischia di più chi vive nei Paesi del Nord Europa»

Perdere colpi. Dimenticare e ripetere, o viceversa. L’Mci è una condizione in cui la persona soffre perdite di memoria, problemi di concentrazione, di ragionamento, in maggior misura rispetto a quanto avviene nel normale invecchiamento. Non è la stessa cosa della demenza: alcune persone possono sviluppare la demenza, altre tornare al normale funzionamento cognitivo o rimanere stabili. Presentati a Roma i risultati del progetto europeo Ai-Mind. Circa il 10% dei soggetti con disturbo cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment, Mci) arruolati nello studio europeo Ai-Mind è progredito verso una forma di demenza nell’arco di 24 mesi mentre circa il 20% ha mostrato un declino cognitivo consistente, pur permanendo ancora in una condizione di Mci. Emerge dall’analisi di un campione di 1.022 soggetti seguiti in quattro centri clinici europei (Madrid, Oslo, Helsinki e Roma), presentati nella capitale in occasione dell’Assemblea generale del progetto europeo Artificial Intelligence Mind organizzata da Irccs Roma, Università Cattolica del Sacro Cuore (professoressa Rossella Di Bidino), Irccs Fondazione Policlinico Gemelli (professor Camillo Marra) e dalla start-up/spin-off accademico Neuroconnect (professor Fabrizio Vecchio). L’obiettivo è sviluppare strumenti predittivi basati sull’aiuto dell’intelligenza artificiale. «Il disturbo cognitivo lieve rappresenta uno stadio intermedio tra un normale, fisiologico invecchiamento del cervello e una degenerazione patologica come quella osservata nelle demenze – spiega il professor Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele – questa condizione configura un rischio nettamente aumentato di sviluppare demenza, ma solo in una parte dei soggetti, che varia tra il 30 e il 50%, si osserva una reale progressione negli anni successivi».
Il progetto Ai-Mind, avviato nel 2021 e finanziato dalla Commissione Europea con circa 14 milioni di euro nell’ambito del programma Horizon 2020, coinvolge 15 partner di 8 Paesi europei e oltre 100 ricercatori ed esperti di Health Technology Assessment, con la partecipazione di Alzheimer Europe. In Italia la condizione di Mci riguarda oltre 950.000 persone, in Europa si stimano circa 10 milioni di soggetti. «Poiché il quadro di Mci di per sé non implica una perdita di autonomia o deficit clinicamente rilevanti, sarebbe estremamente importante poter identificare il prima possibile chi ha un rischio elevato di sviluppare demenza e chi no», aggiunge Rossini. Tra il 2021 e il 2023, i soggetti arruolati – oltre 275 in Italia – sono stati sottoposti a valutazioni neuropsicologiche, genetiche e strumentali, inclusi i biomarcatori plasmatici dell’amiloide e un elettroencefalogramma ad alta densità, ripetuti ogni 8 mesi. «Un dato di particolare interesse viene dalle evidenti differenze osservate tra le popolazioni del Nord Europa e quelle dell’area mediterranea – evidenzia Rossini – differenze che riguardano i profili di rischio geneticamente determinati, la presenza di amiloide nel plasma, ma anche la definizione e la stadiazione clinica del Mci e l’organizzazione dei sistemi sanitari, con importanti ricadute sulla capacità di diagnosi precoce».
In particolare, nei Paesi del Nord Europa è più frequente la presenza di una variante genetica, l’Apoe 4, nota per aumentare il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. In queste popolazioni si riscontrano anche livelli più elevati nel sangue di alcuni biomarcatori associati ai processi neurodegenerativi. Sia la predisposizione genetica sia questi marcatori sono considerati indicatori di un rischio più alto di evoluzione verso l’Alzheimer. Queste differenze geografiche suggeriscono che, oltre al background genetico, entrino in gioco variabili legate al livello educativo, alle strategie diagnostiche e ai percorsi dei vari sistemi sanitari. «Osservazioni che rimarcano con forza l’importanza di armonizzare procedure e percorsi dei cittadini europei – conclude Rossini – per arrivare a una diagnosi precoce di una delle principali malattie del terzo millennio. La vasta mole di dati raccolti sarà sottoposta ad analisi mediante algoritmi avanzati di intelligenza artificiale. Ci aspettiamo l’identificazione di caratteristiche in grado di individuare con precisione i soggetti ad alto rischio di sviluppare demenza in generale e malattia di Alzheimer in particolare»