Corriere della Sera, 18 dicembre 2025
La scelta (non casuale) di partire dalla «reggia» di Berlusconi. Quei vertici sui divani Luigi XIV
Intanto, il luogo: Palazzo Grazioli, quindi proprio dentro certi ricordi sepolti che ora però riaffiorano irresistibili, in un miscuglio di stupore e forse persino di bislacca nostalgia, mentre s’imbocca la scalinata con la guida rossa e si va su al piano nobile, diventato la sede della Stampa estera, ma che per fantasmagorici venticinque anni fu abitazione e studio e anche luogo di svago del Cavaliere, reggia del potere politico ed economico di questo Paese, talvolta bunker e ring, dove nell’immaginario collettivo veniva comunque amministrata la gloria ed era concessa la grazia: e dove adesso, all’interno d’una sala presa in affitto, piena di parlamentari e di berluscones indomiti, con amministratori delegati di rango e alte cariche istituzionali, più la solita folla di portaborse e questuanti che annusano la novità e spingono, permesso, tanto per vedere chi c’è, sta nascendo questa corrente, anzi questo correntone di Forza Italia guidato da Roberto Occhiuto, il governatore della Calabria, e benedetto – «Ovvio, se siamo tra mura così evocative» – da Marina e da Pier Silvio (Berlusconi).
Una luce grigiastra filtra dai finestroni rigati dalla pioggia. Lo sguardo scorre sul cortile e il cancello dell’uscita secondaria. Tutte le sere andavamo a metterci lì davanti. Un gin tonic al bar Doria e poi subito in appostamento. Lui, il Cavaliere, era qui. La politica era qui.
Arrivavano dal vicolo buio. Una volta spunta la mercedes nera di Denis Verdini: che scende con la sua chioma da leone, ai piedi le babbucce di velluto, l’orologio d’oro massiccio. E subito, a passi veloci, sparisce. Quindi ecco pure Renato Brunetta, che salta giù da un’altra blindata, parlando nervosamente al cellulare. Umberto Bossi è già su. Ed è proprio il Senatùr che ci racconterà di aver improvvisamente sentito urla prima tremende, e poi, pian piano, soffocate. Corre a vedere: e trova Verdini che ha perso la pazienza, ha afferrato Brunetta al collo e, dopo averlo alzato, l’ha attaccato al muro.
Quel muro. Perché questa è la stanza dove Berlusconi teneva le riunioni riservate (ai bei tempi, quando tutto cominciò, il livello era francamente notevole: intorno al tavolo sedevano Antonio Martino e Giulio Tremonti, Gianni Letta, Giuliano Urbani e un giovane Giuliano Ferrara). Ora sono spariti anche i capitelli e le consolle dorate, i broccati, i divani in stile Luigi XIV su cui saltava Dudù, il leggendario barboncino introdotto a corte da Francesca Pascale. Personaggio sublime. La prima volta, in occasione di non ricordo più quale sentenza giudiziaria, fu avvistata giù, davanti al cancello. T-shirt bianca con la scritta «Meno male che Silvio c’è»: e se la cantava pure, saltando entusiasta – diciamo così – con i fotografi scatenati. Meno di un anno dopo era salita, era in cucina, nel ruolo della fidanzata napoletana che controlla i conti di casa: «Guaglio’, siete pazzi? No, fatemi capire: qui sul serio i fagiolini li pagate 80 euro al chilo?». Che tempi. Hanno cambiato anche la cucina. Ne scorgo una industriale, da ristorante (e, in effetti, in fondo a destra hanno davvero aperto un piccolo bistrò). Il mitico cuoco Michele si muoveva invece tra fornelli anni Ottanta (raccontò le regole del «dottore»: «Vietati aglio o cipolla, vietato il pesce, in occasioni speciali solo l’aragosta. Da evitare pollo, frattaglie, selvaggina. Ma gradite le quaglie con polenta e funghi. Non si sbaglierà mai preparando un risotto»).
Diciamo che adesso c’è un forte odore di broccolo, le pareti sono tutte bianche, il parquet è chiaro. Sono rimasti solo gli affreschi al soffitto. Occhiuto, del resto, siede su un palchetto tipo assemblea studentesca. Fa caldo, manca l’aria. Accanto a lui, Nicola Porro. Andrea Ruggeri, che ha organizzato l’evento – titolo: «In Libertà» – resta in piedi. Annunciata la presenza dell’ad di Ryanair, Eddy Wilson. In prima fila, e non per caso, Fabio Roscioli, il potente tesoriere del partito, uomo di fiducia della famiglia Berlusconi. Laggiù, Ugo Cappellacci. Poi il senatore Claudio Lotito e i deputati Alessandro Cattaneo e Rita Dalla Chiesa. Li hanno contati, i deputati: sembra che siano 23 (tra cui, chiaro, anche Matilde Siracusano, compagna di Occhiuto). Se è davvero così, qualcuno avverta Antonio Tajani: più della metà del gruppo parlamentare è qui.
Ma Tajani – che è a Milano, per la Conferenza degli ambasciatori – sa tutto, ha capito tutto. Pier Silvio è stato netto: «Caro Antonio, servono facce e idee nuove». Lui ha replicato annunciando la sua candidatura al prossimo congresso. Occhiuto, però, gli manda a dire: «Avremmo dovuto portare FI al 20%, e non mi pare stia accadendo». Sentito? Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, tra i più autorevoli esponenti del partito, si volta e cita Paulo Coelho: «L’acqua di un fiume si adatta al cammino possibile, senza dimenticare il proprio obiettivo: il mare. Quella rivoluzione liberale che dobbiamo realizzare ricordandoci di Silvio Berlusconi».
Siamo venuti per volontà dei figli. Ma nel nome del padre. Arriva Licia Ronzulli, vicepresidente del Senato. «Il suo ufficio – indica solenne – era lì in fondo». Se quelle pareti potessero raccontare. Le telefonate con Gheddafi, con la Merkel, con Giampi e le sue amichette, con Raffaele Fitto, che un giorno gli annuncia: «Domani le mando il nostro uomo». Un improbabile candidato alla presidenza della Puglia. Il Cavaliere lo accoglie con il consueto garbo. Ci parla cinque minuti, quindi lo congeda. E richiama Fitto. «Negativo. Almeno però comprategli un abito nuovo. E dategli una lozione contro la forfora». Un pomeriggio di dicembre del 2012 entra Giorgia Meloni: «Presidente, devo comunicarle che lascio il Pdl. E fondo un nuovo partito». Lui alza lentamente lo sguardo, e le sorride, con un sorriso dei suoi: «Giorgina... Forza: cos’è che ti serve? Dimmi quello che vuoi...» (Lei pure gli sorride. Poi si gira, ed esce).
Ma il letto a baldacchino che gli regalò Putin? Ci sono curiosità morbose. Mille metri quadrati dove nessuno può dire di aver visto tutto. Ma dove è successo di tutto. L’immaginazione però arranca tra le postazioni dei giornalisti stranieri così austere, solo decorate da piccole piante verdi. L’ultima scrivania è di Francesco Olivo, il bravo corrispondente de La Vanguardia. È lui che presidia il famoso passaggio segreto, la porta girevole nascosta dietro una libreria. «Aspetta, te l’apro...». No, scusa: e il bagno dove Barbara e Terry si scattavano i selfie? «È lì. Entra, se vuoi».
Identico. Intatto. Il marmo, i rubinetti dorati. Pazzesco.
Datemi un pizzicotto.
Torniamo da Occhiuto.