Avvenire, 17 dicembre 2025
La scure dello zar sulla cultura russa
C’è un’altra vittima fatta da Mosca nella guerra in Ucraina: la cultura russa. La nuova narrazione nazionale voluta dal presidente Vladimir Putin ha avuto effetti sul mondo del lavoro, sui cartelloni dei teatri e delle sale da concerto, sulle sale espositive dei musei.
Secondo OVD-Info, un’organizzazione che monitora da anni la repressione nel Paese, in questo momento ci sarebbero almeno 41 intellettuali in carcere a causa delle loro posizioni sulla guerra: tra questi ci sono musicisti, registi teatrali, attori, pittori e scrittori. Altri 176 sono oggetto di pressioni, che possono andare dai procedimenti penali, a multe e minacce. La prima istituzione a essere coinvolta nelle “purghe” del presidente è stata niente meno che il Bolshoi, il principale teatro di Mosca e uno dei più famosi del mondo, tempio del balletto e della lirica. Il suo ex direttore, Vladimir Urin, dopo averlo con successo guidato per 10 anni, è stato costretto alle dimissioni per aver firmato una lettera che critica l’invasione russa dell’Ucraina. Il suo posto è stato preso da Valerij Gergiev, direttore del Marinsky, il maggior teatro di San Pietroburgo e noto per essere un fedelissimo di Putin, un vero e proprio testimonial del suo regime all’estero, tanto che la sua presenza a Caserta (poi cancellata) nei mesi scorsi ha suscitato un vespaio di polemiche. Il cartellone è cambiato radicalmente, con gli spettacoli stranieri drasticamente ridotti e, prediligendo, anche fra i compositori russi, quelli più nazionalisti e che avevano avuto meno rogne con l’impero prima e con il regime sovietico poi.
Alcuni ballerini hanno capito che tirava una brutta aria e hanno pensato bene di lasciare. Olga Smirnova, prima ballerina e che aveva definito il Bolshoi “la sua casa”, è scappata in Olanda. Adesso danza ad Amsterdam e si è più volte esibita per raccogliere fondi a favore dell’Ucraina. Il noto regista teatrale, Dmitry Krymov, uno dei più apprezzati all’estero, il 24 febbraio 2022 si trovata a Filadelfia con un suo spettacolo e, dopo aver condannato l’invasione, ha deciso di rimanere negli Usa, fondando una sua compagnia a New York. Le sue opere sono state cancellate su tutto il territorio nazionale. Al Gogol Theatre è andata decisamente peggio. Simbolo per eccellenza del teatro di avanguardia moscovita e noto per la sua critica al governo di Putin, nel giugno 2022 è stato chiuso e ha riaperto poche settimane dopo con il nome Gogol Centre, ma il suo staff interamente cambiato. L’ultima pièce messa in scena si intitolava “Non prendo parte a questa guerra”.
Non va meglio nei musei. Il Museo dei Gulag negli ultimi anni si stava ritagliando (a fatica) un ruolo nella coscienza civica della capitale, anche grazie al lavoro del suo ex direttore, Roman Romanov. Nel 2024 lo hanno chiuso per problemi tecnici all’impianto di riscaldamento. Non ha più riaperto. I media di opposizione hanno parlato di uno scontro con il ministero della Cultura, che aveva chiesto di rendere meno esplicito il contenuto di alcuni pannelli relativi alle purghe di Stalin. Una parte della sua collezione è confluita nel Museo di Mosca. L’intento educativo è stato sostanzialmente smantellato. Vladimir Opredelenov, vicedirettore del Museo Pushkin di Mosca, uno dei più importanti della capitale, a seguito dell’invasione si è dimesso, spiegando di avere “opinioni diverse” sugli eventi internazionali rispetto al ministero della Cultura. Ora vive in Kazakhistan. Il Sakharov Center, intitolato ad Andrej Sakharov, è stato chiuso nel 2023 dopo essere stato dichiarato “agente straniero”, dicitura con la quale, in Unione Sovietica, si classificavano le spie, da un tribunale russo. Artists at Risk, un’organizzazione transazionale con sede fra Finlandia e Germania e specializzata nell’aiuto di artisti vittime di censura, ha reso noto che, dal 2022, le richieste provenienti dalla Russia sono aumentate del 500%. Le destinazioni che si sono rivelate più generose nell’accoglierli sono Georgia, Armenia (dove possono andare senza visto), le repubbliche baltiche, Germania, Finlandia e Israele. Spesso, a ricollocarsi sono aiutati da artisti ucraini. Un raggio di speranza a cui si contrappone chi, dopo l’inizio del conflitto, è diventato più putiniano di Putin. Michail Piotrovskij, direttore dell’Ermitage di San Pietroburgo, uno dei musei più importanti del mondo, e da anni fedelissimo del presidente, ha definito la guerra in Ucraina “un mezzo di scambio culturale”. Lui, non ha certo perso il posto. In compenso è stato messo sotto sanzioni dal Canada.