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 2025  dicembre 17 Mercoledì calendario

Carlo Rossella: "Berlusconi, Gianni Agnelli e il boom della tv È stato il periodo più bello della mia vita"

«È passato molto tempo e devo fare uno sforzo, ma se torno con la memoria ai miei anni da direttore de La Stampa la prima cosa che mi viene in mente è via Marenco, la sede storica del giornale. Ricordo l’orologione dell’ingresso con i fusi orari di tutto il mondo per sapere quando contattare gli inviati e i corrispondenti. E poi ricordo le bozze passate sul bancone dei tipografi, con quella carta umida che se ci ripenso mi sembra di averla ancora sotto i polpastrelli». Carlo Rossella, 83 anni, risponde al telefono dalla sua casa di Pavia e non fa nulla per nascondere la nostalgia. «Torino era una città straordinaria, elegante, piena di vita – racconta-. La direzione è stata il periodo più bello della mia vita. Di questo non ho dubbi».
Direttore, ha guidato il quotidiano per due anni fra il 1996 e il 1998. Cosa ha significato per lei?
«Il direttore de La Stampa a Torino era una figura riconosciuta. Io ho ricordi magnifici anche per questo. Ricordo bene le visite di Gianni Agnelli. Mi telefonava e mi diceva: “Posso venire a trovarla per cinque minuti?”. Poi arrivava, si sedeva davanti alla mia scrivania e ascoltava tutto. Quando i giornalisti entravano per discutere articoli o problemi del giornale, lui restava lì ad ascoltare, curioso, attento».
L’avvocato era molto presente nella vita del giornale?
«Moltissimo. Agnelli era un giornalista mancato. Amava profondamente il giornalismo e il giornale, che leggeva da cima a fondo, conosceva ogni pagina. Se trovava un errore mi telefonava: “C’è un errore a pagina 24…”. Aveva un’attenzione incredibile per i dettagli».
Quali argomenti lo interessavano di più?
«Soprattutto la cronaca di Torino. Amava la città, la viveva pienamente. Gli interessava sapere tutto quello che accadeva, sia le cose belle che quelle brutte. La cronaca torinese per lui era fondamentale. Se c’era un fatto di cronaca nera voleva sapere se fosse stato approfondito. In questo senso era davvero un giornalista, anche se non lo era di professione».
Lei è stato anche direttore di Stampa Sera. Che rapporto aveva con la città?
«Io mi sentivo torinese. Abitavo in città, in via Febo, e la vivevo ogni giorno. Questo per me era fondamentale per dirigere La Stampa. Conoscere la città, viverla, sapere cosa succedeva aiutava a raccontarla meglio. Andavo via da Torino malvolentieri».
C’è un ricordo particolare che lega la sua esperienza a Torino al lavoro al giornale?
«Sì, ricordo le passeggiate in città prima di entrare in redazione, quando osservavo il movimento, i negozi, le persone. Tutto questo mi dava idee e contesto per gli articoli. Torino non era solo lo sfondo del giornale: era parte integrante della narrazione, e io mi sentivo davvero torinese».
La sua direzione è coincisa con gli anni immediatamente successivi al primo governo Berlusconi. Come raccontavate il fenomeno Forza Italia?
«L’Avvocato non era particolarmente favorevole a Berlusconi. Lo considerava troppo pieno di sé, non adatto al suo mondo. La Stampa trattava il Cavaliere con grande cautela. Ne parlavamo, certo, ma senza encomi».
Che rapporto c’era fra la direzione e la proprietà?
«La Stampa era un giornale libero. L’Avvocato era il proprietario, ma non si comportava da padrone. Era un lettore appassionato, non un editore invadente. Lasciava una libertà assoluta».
Che differenza c’era rispetto ad altri editori?
«Una differenza abissale. Agnelli lasciava i direttori liberi di pensare, decidere, scrivere. Amava il giornalismo in tutte le sue forme».
Qual è stata l’evoluzione del giornalismo italiano in quegli anni?
«Gli Anni 90 sono stati un periodo di grandi trasformazioni. Il giornalismo stava cambiando, anche grazie all’ingresso delle televisioni private e alla rivoluzione digitale che stava iniziando a prendere piede. La Stampa si è adattata a questi cambiamenti, pur mantenendo un focus sulla qualità dell’informazione. Era un periodo di passaggio, ma c’era ancora un impegno forte verso il giornalismo tradizionale e l’approfondimento».
Quali erano le sue priorità da direttore?
«Gli esteri e la cronaca. Avevamo grandi corrispondenti, come Ennio Caretto, che era torinese e perfetto per La Stampa. Gli esteri erano una grande forza del giornale, ma anche la cronaca, soprattutto quella cittadina».
Che ruolo aveva La Stampa nel panorama dell’editoria nazionale?
«La Stampa era un giornale aristocratico, più aristocratico del Corriere e de la Repubblica. Aveva uno stile suo, una misura, una sobrietà che la distinguevano dagli altri quotidiani».
Qual è il suo sentimento di fronte alla vendita del giornale?
«Di grande tristezza. Per me è un delitto, un delitto nei confronti del giornale e di Torino. Mi addolora come ex direttore, come lettore e come cittadino. Torino merita un editore innamorato del giornale e della città».