Corriere della Sera, 17 dicembre 2025
Germania, allarme choc degli industriali: crisi peggiore dal ’49
Ancora cattive notizie dalla Germania. Peter Leibinger, presidente della Bdi, la Confindustria tedesca, sostiene che il clima nel Paese è «estremamente negati-vo, in parte addirittura aggressivo». E che «le aziende sono profondamente deluse». In un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, emerge un quadro allarmante anche per l’Italia, di cui la Germania è il primo partner commerciale. È «la crisi economica più grave dalla fondazione della Repubblica Federale» nel 1949, afferma Leibinger. È una crisi strutturale profonda. E il timore è di una «deindustrializzazione irreversibile». Se un uomo noto per la moderazione usa toni apocalittici, significa che la situazione è davvero grave. I «campanelli d’allarme devono suonare», dice perché il modello economico tedesco è sotto attacco su più fronti: costi dell’energia, burocrazia, competizione globale, avverte il numero uno degli industriali.
I numeri gli danno ragione. Berlino chiuderà l’anno con un Pil stimato tra 0 e +0,1% e quasi 3 milioni di disoccupati (il settore manifatturiero ha perso oltre 500 mila posti di lavoro dai picchi pre-Covid), mentre il tasso di disoccupazione è salito al 6,3%. Leibinger tocca un altro nervo scoperto, accusando la Cina di aver «copiato il modello tedesco». Pechino non si è limitata a comprare prodotti tedeschi, ha usato gli ultimi 20 anni per assorbire la tecnologia e i processi produttivi tedeschi, spesso tramite joint venture forzate. E ora ha replicato quel modello ma su una scala immensamente più grande e con costi inferiori. I cinesi non hanno più bisogno dei macchinari tedeschi perché sono loro a produrli e a venderli sul mercato globale, diventando diretti concorrenti della Germania nei settori ad alto valore aggiunto (auto elettriche, macchinari, chimica). In un momento in cui la Germania viene descritta come il «malato d’Europa», serve perciò una terapia d’urto per salvare il sistema industriale, ma all’interno del perimetro democratico ed europeista, escludendo le frange estremiste. Per l’industria tedesca l’isolazionismo e la xenofobia dell’AfD rappresentano un «veleno», sostiene infatti il presidente della BDI.