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 2025  dicembre 16 Martedì calendario

Maurizio Damilano: «Salvate la marcia»

Tacco e punta, un piede sempre a terra, mai una fase di volo come nella corsa, la gamba avanzante che deve essere tesa, non piegata al ginocchio dal momento del primo contatto con il terreno sino alla posizione verticale. Un gesto quasi innaturale, non è corsa, non è camminare se non in una maniera estremizzata verso la velocità. Eppure da oltre un secolo crea leggende dell’atletica mondiale, da Ugo Frigerio, classe 1901, tre ori e un bronzo ai Giochi olimpici tra Anversa 1920 e Parigi 1924 e dove ad ogni gara all’estero al traguardo gridava “Viva l’Italia!”, Abdon Pamich bronzo ai Giochi Olimpici di Roma ’60 e d’oro a Tokyo ‘64, Pino Dordoni oro olimpico nella 50km a Helsinki ’52, ma anche in epoche più recenti la “valanga rosa” che batteva spesso le russe, parliamo della indimenticabile Sidoti, Perrone, Alfridi, Giordano, al maschile De Benedictis, Perricelli, Didoni, l’altro oro olimpico Brugnetti di Atene 2004 e Alex Schwazer nella 50km di Tokyo 2008, i recenti Antonella Palmisano, Eleonora Giorgi, Massimo Stano, Giorgio Rubino. Indimenticabili i fratelli Damilano, Sandro il più adulto, e poi Giorgio e Maurizio. Tre fratelli, un mito di questa disciplina, come gli Abbagnale nel canottaggio. Maurizio, piemontese classe 1957, fu oro olimpico a Mosca 1980 e due volte oro mondiale a Roma ’87 e Tokyo ’91 nella 20km. La marcia, una disciplina dura, difficile e in questi tempi moderni fatti di velocità e spettacolo in ogni dove e in ogni cosa la marcia sembra esser fuori dai tempi, anche televisivi. La stessa federazione mondiale ha tolto la 50km a favore della più “veloce” 35km, ora a Los Angeles 2028 ci aspetta un’altra riduzione sulla distanza.
Maurizio Damilano, spazzato via un secolo di storia. Basta con la 20 e 50km, la marcia sarà da 21,097km e maratona da 42,195km. Perché?
«Non comprendo queste variazioni di distanze assurde, non identificano più la marcia che aveva le sue distanze che la distinguevano dal resto, rendendola unica. La distanza di maratona o di mezza maratona non crea identità chiara, perde la tradizione».
Finalmente i marciatori potrebbero gareggiare nelle maratone più importanti del mondo, riservando a loro una classifica speciale?
«No, non ci sarebbe più il continuo controllo dei giudici per la verifica del corretto gesto atletico. Come si potrebbero vedere i marciatori durante il tragitto? La marcia è sempre stata fatta a giri, al massimo di qualche chilometro. La federazione mondiale aveva fatto dei test sperimentali con un giudizio fatto da un sistema elettronico, ma non se n’è fatto nulla».
A Los Angeles 2028 si farà solo la mezza maratona, neanche la distanza di maratona. Forse sarà l’ultima volta… «A Parigi 2024 hanno fatto una distanza di 35km, però ora hanno messo anche la 42km. Alle Olimpiadi però solo la 21km. È evidente che chi comanda ai vertici mondiali non ha nelle priorità di mantenere viva questa disciplina, di alimentarla e farla crescere. Si rischia così di indebolirla e farla uscire dai circuiti mondiali, sminuendola».
A ottobre anche la polemica di Antonella Palmisano ignorata rispetto agli altri medagliati e dimenticata dal ct Antonio La Torre nel raccontare le medaglie dei mondiali di Tokyo. Perché?
«Sono tutti segnali che danno anche molto fastidio a chi si impegna e ama questa disciplina, a chi ne ha fatto una propria ragione di vita. Gli atleti certo, ma anche i loro tecnici. Cose che fanno male e ti deludono».
Lei perché ha scelto la marcia?
«Ho iniziato per caso insieme a mio fratello Giorgio, seguivamo nostro fratello maggiore Sandro. Lì è nata la passione, la marcia è storia ed è fatta di storie di persone che vivono e si allenano sulla strada, tra la gente. È unione e senso di appartenenza, è condivisione popolare. Oggi vedo che i giovani non conoscono la storia dell’atletica, i nomi di chi li ha preceduti. Non si raffrontano con il passato, una perdita importante. Il passato è la radice
del futuro».
Perché oggi un giovane dovrebbe marciare?
È il sistema a porre dei limiti ai ragazzi, se la togli dalle Olimpiadi cosa vuoi che sogni una ragazza o un ragazzo? Dove li porteranno i loro sacrifici, non viene alimentata la passione».
Eppure la marcia fa parte della natura umana… «Il camminare è una pratica sportiva centrale dei nostri tempi dove si parla sempre più di benessere. C’è molta più gente oggi che cammina rispetto a decenni fa, potremmo intercettare milioni di persone, è nel tessuto sociale della vita moderna».
Cresce o decresce il numero dei giovani praticanti?
«Direi stabile e sempre apprezzata nei Paesi dove non ci sono grandi impianti sportivi, è lì che la marcia trova spazio. Si fa in strada, nella semplicità assoluta. Per questo le nazioni dell’America centrale hanno tanti campioni e anche in Italia non siamo messi benissimo».
Esiste ancora la scuola della marcia italiana?
«Sì, ma è a macchia di leopardo, è affidata a pochi. Serve un progetto uniforme sul territorio, dare più continuità alle gare che spesso sono solo a carattere regionale e francamente di un livello molto basso, poco partecipato. Però abbiamo ancora grandi campioni, ma bisogna coltivarne altri per il futuro».
Segue ancora la marcia?
«Sì, certo. Non ho più un ruolo attivo, sono uscito dal comitato della commissione internazionale. La marcia non va dimenticata, in Italia è la disciplina nell’atletica che ha vinto più medaglie in assoluto tra mondiali e Olimpiadi. È il settore che vede più campioni in assoluto».