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 2025  dicembre 16 Martedì calendario

Thailandia-Cambogia, si allarga il conflitto: bombe vicino al sito archeologico di Angkor Wat

Gli scontri al confine tra Thailandia e Cambogia si allargano e arrivano a lambire il territorio circostante Angkor Wat, complesso monumentale patrimonio dell’umanità visitato da milioni di turisti. Quantomeno secondo Phnom Penh, che sostiene che l’aviazione thailandese avrebbe bombardato un’area interna del territorio cambogiano, a oltre settanta chilometri dalla linea di frontiera.
L’attacco denunciato si sarebbe verificato nella provincia di Siem Reap, la regione che ospita il complesso monumentale di Angkor Wat, un luogo che è il cuore identitario, culturale ed economico della Cambogia. Tanto da essere impresso sulla sua bandiera nazionale.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, caccia F-16 thailandesi avrebbero colpito un ponte tra le province di Oddar Meanchey e Siem Reap, nel distretto di Srei Snam, un’area a circa 90 chilometri da Angkor Wat e prossima a campi che ospitano civili già sfollati dai precedenti combattimenti.
Phnom Penh ha parlato apertamente di una violazione grave della sovranità nazionale e di un attacco condotto “in profondità” nel territorio cambogiano, sottolineando come si tratti del bombardamento più lontano dal confine mai attribuito alle forze thailandesi dall’inizio delle ostilità. Bangkok, dal canto suo, non ha confermato ufficialmente l’operazione, mantenendo una linea di ambiguità che caratterizza da anni la gestione militare e comunicativa di questo conflitto.
Gli scontri tra i due Paesi si sono intensificati nelle ultime settimane dopo il fallimento di una tregua che, raggiunta a luglio al termine di cinque giorni di combattimenti sanguinosi, aveva offerto solo una pausa temporanea alle violenze.
Quella tregua era stata formalizzata con un accordo di pace firmato a Kuala Lumpur in ottobre, sotto l’egida dell’ASEAN e con il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, ma l’intesa è rimasta fragile e progressivamente svuotata di contenuto, fino alla sospensione unilaterale da parte della Thailandia lo scorso mese. Da allora, gli scontri si sono riaccesi lungo diversi tratti del confine, estendendosi anche alle aree costiere e coinvolgendo nuove province.
Il bilancio umano della crisi è pesante e in continuo aggiornamento. Le autorità parlano di alcune decine di morti tra militari e civili, un numero che si aggiunge alle decine di vittime registrate nei combattimenti estivi.
Ancora più drammatico è l’impatto sulla popolazione civile: circa 800 mila persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni su entrambi i lati del confine, dando origine a uno dei più vasti movimenti di sfollati interni nella regione negli ultimi anni. Interi villaggi sono stati evacuati, infrastrutture civili danneggiate o distrutte e l’accesso ai servizi essenziali reso estremamente difficile in vaste aree rurali.
L’ombra degli scontri si proietta anche sul futuro economico della Cambogia, che punta in modo significativo sul turismo come motore di crescita. La regione di Angkor Wat rappresenta il fulcro di questo settore: nei primi undici mesi dell’anno aveva già accolto circa 867 mila visitatori, confermandosi come una delle mete più amate dell’Asia sud-orientale.
Il solo annuncio di bombardamenti nelle vicinanze dei templi, anche se non direttamente sull’area archeologica, rischia però di compromettere gravemente la percezione di sicurezza del Paese, allontanando turisti e investimenti in un momento in cui l’economia cambogiana stava ancora cercando di consolidare la ripresa dopo la pandemia di Covid-19.
Sul piano regionale, l’escalation ha messo in difficoltà l’ASEAN, chiamata a svolgere un ruolo di mediazione ma frenata dalle divisioni interne e dalla complessità della crisi. Anche sul piano internazionale i tentativi di mediazione si sono finora rivelati inefficaci.
Il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato nei giorni scorsi un cessate il fuoco a partire dalla notte del 13 dicembre, ma la Thailandia ha smentito l’esistenza di una tregua e il suo primo ministro ha ribadito l’intenzione di proseguire le operazioni militari.
In Thailandia, il conflitto di confine si intreccia con una fase politica delicata, segnata dallo scioglimento del parlamento e dall’avvicinarsi delle elezioni.
Il governo ha adottato un linguaggio sempre più duro nei confronti della Cambogia, anche per intercettare un sentimento nazionalista in crescita e rafforzare la propria posizione interna. Le forze armate, storicamente influenti e autonome rispetto al potere civile, giocano un ruolo centrale nella gestione della crisi, presentandosi come difensori della sovranità nazionale e rendendo ancora più complesso qualsiasi tentativo di compromesso.
Tradotto: gli scontri con la Cambogia fomentano un clima nazionalista che può fare il gioco del premier uscente Anutin Charnvirakul e dei partiti vicini all’establishment militare.