La Stampa, 16 dicembre 2025
Renzo Arbore: "Non ero schierato, la Rai non gradiva Per questo mi toglieva i programmi"
Sembra possibile che ci sia ancora qualche opera o misfatto di Renzo Arbore che non sia già conosciuto, indagato, sviscerato? Possibile perché il crooner della Magna Grecia, lo scopritore di talenti e format, non si è preso in vita sua mai un minuto di riposo e mai si è preso sul serio. Non è bastata una Laurea in Goliardia consegnatagli da Umberto Eco e neppure il cavalierato di Gran Croce, massima onorificenza della Repubblica per mano del Presidente Mattarella, a placarlo. Lui fa, comunque. Persino quando va ospite, come la settimana scorsa da Corrado Augias a La Torre di Babele, fa ascolti alle stelle per «una lezione di leggerezza mai trasandata». Per esempio, la sigla di Quelli della notte divenne talmente popolare da finire in aula durante il processo ad Alì A?ca, (attentatore di Papa Giovanni Paolo II): uno degli imputati citò «La notte» e i giudici si misero a canticchiare Ma la notte no... fatto talmente inusuale da comparire tra gli atti ufficiali del processo. Dunque è normale che Arbore pubblichi un libro ogni pochi anni, o meglio che a distanza ravvicinata si scriva un libro su di lui, mai ripetitivo. Questa volta il titolo è: Mettetevi comodi sottotitolo: Vita, peripezie e tutto il resto, scritto con Andrea Scarpa edito da Fioriscena.
Arbore, c’è veramente ancora qualcosa che di lei è stato sottovalutato?
«In molti, parlando di me, ignorano i 30 anni dell’orchestra Italiana, forse perché la fama tv si mangia quella musicale. Per far vivere una compagine di 16 elementi facevo 60 concerti l’anno e questo è durato dal ’91 al 2021. Abbiamo girato il mondo, dall’Australia alla Russia sovietica a quella, ahimé, putiniana. Abbiamo suonato ovunque tranne che in piazza Tienanmen come avrei tanto voluto. Di tutto ho registrato il dietro le quinte. Un repertorio enorme che ho regalato alla Rai. Il primo concerto importante lo facemmo in piazza San Carlo a Torino, una città che mi ha sempre premiato, con il mio jazz e anche con il mio cinema».
Che generosità...
«Diciamoci pure che l’ho fatto furbamente, per non essere dimenticato».
Anche il libro per non essere dimenticato?
«No, il libro segue una serie di circostanze di cui ho parlato poco. L’incontro con Padre Pio, l’amicizia che per me è un bene primario, il mio lavoro da talent scout. La mia invenzione del movimento beat che era altro da quello anglosassone e non va confuso con gli Anni 60 di Rita Pavone e Bobby Solo. I nostri front-man erano Renato Zero, Mita Medici Shel Shapiro, Maurizio Vandelli degli Equipe 84. Vorrei anche che qualcuno storicizzasse la goliardia».
Grandi goliardi oltre lei?
«Tanti degni del museo della goliardia di Bologna: Scalfari, Craxi, Iannuzzi, De Crescenzo, Pannella. Epopea estinta, rimangono le leggi goliardiche con i misteri gloriosi, essere malandrino e mai triviale, sempre divertendosi a mischiare alto e basso. A Siena e a Camerino qualcosa resiste».
La moda deve molto alla beat generation nostrana?
«Roberto D’Agostino mi disse che vestivo come un clarinettista Anni 40. Una sorta di americano-contadino di Foggia. E lui è stato un lookologo prima di diventare un tuttologo».
Come sceglieva i suoi capi?
«Ho sempre comprato tutto quello che potevo all’insegna del “Non posso non averlo”. Non mi piace conservare il danaro, perciò non vedevo l’ora di spenderlo. Sono un gran collezionista. Di plastica, soprattutto. Me ne innamorai visitando una mostra a Palazzo Grassi a Venezia. Ho le tazzine degli aerei, le radio, i piatti, pezzi irripetibili. Mi riportano all’infanzia. Me le sono accaparrate prima che ci pensassero i giapponesi. Ho un gilet di Fortunato Depero, ne esistono solo due, l’altro lo possiede Ugo Nespolo».
Come sono nati i suoi show?
«Quelli della notte, Alto gradimento, Doc, Indietro tutta, L’altra domenica... ho fatto l’inventore di programmi come farebbe un regista, per resistere al tempo. Film ne ho girati, anche quelli tutti nuovi».
Successi che l’avranno portata a essere adorato in Rai...
«Macché... Invece i programmi me li toglievano per ragioni politiche. Non ero schierato e dunque non avevo protettori. Togliere a me per dare a un figlioccio di chissà chi era facilissimo. Mi cancellarono Doc uno stupendo programma musicale che aveva accolto James Brown, Joe Coker».
Anche Speciale per voi seguì lo stesso destino?
«Certo, nessuno scendeva in guerra per me... Me lo portarono via perché un dirigente democristiano diceva che non ero manovrabile, gestibile. Lo diedero a tale Pompeo De Angelis, amico dei democristiani. E crollò miseramente».
Lei fu anche allontanato dalla Rai...
«Con Boncompagni, per 5 anni, colpa di Scarpantibus... Per voi giovani mi fu tolto dai cattocomunisti. Lo diedero a Paolo Giaccio e Mario Luzzatto Fegiz indicati dall’alto. Degnissimi colleghi, per carità. Vede, io non ero orientato, non seguivo le manifestazioni di piazza negli anni di piombo. Abbandonai anche il fenomeno beat che avevo creato quando si politicizzò».
Difficile immaginarla in difficoltà.
«Invece tanta gloria ma anche tanti dispiaceri. Mi levarono pure Rai International che considero un fallimento, scippata prima che la portassi a termine. Poi feci Rai Italia».
Ora che tv c’è?
«Un’altra che non è d’autore. Negli Anni 90 ho lasciato la tv perché non ho più trovato jazzisti della parola come Frassica, Ferrini, Catalano. Avevo la passione per il jazz e per le canzoni napoletane antiche. Venivano considerate canzonette di una Napoli che non c’è più e io le ho fatte rivivere. Sto cercando di farle diventare patrimonio immateriale dell’Unesco. Cantano una Napoli borghese scritta da napoletani borghesi e perciò snobbata dall’intellighenzia di sinistra. Persino Eduardo a un certo punto fu etichettato come borghese. Ricordo la sua famosa invettiva negli Anni 80, quando gli si chiese come si fa a salvare Napoli lui rispose: “Io do un solo consiglio: fujitevenne"».
Era la Napoli del fuggi-fuggi.
«Gli esuli, La Capria, Ghirelli, Lubrano. Poi è arrivato il risveglio artistico con Massimo Troisi, Pino Daniele, James Senese, Beppe Lanzetta, Teresa De Sio, il napoletan power che fu scoperto in tutta Italia».
Che cosa desidera oggi?
«Mi piacerebbe che la Rai mi facesse fare un programma sulla mia biografia inedita. C’è un po’ di vanità in tutto questo, non lo nego, ma lo faccio perché sarebbe triste se tanto lavoro venisse dimenticato».