la Repubblica, 16 dicembre 2025
Caso arbitri, Zappi a processo: fece dimettere i designatori
Prima di dichiararsi innocente e di invocare «un giudice a Berlino», il presidente dell’Associazione arbitri Antonio Zappi aveva provato a patteggiare. Invece andrà a processo sportivo: così ha deciso la procura federale, che contesta al capo dei fischietti italiani le pressioni per spingere alle dimissioni due designatori arbitrali: sono Maurizio Ciampi e Alessandro Pizzi. Fino a un anno fa erano loro a designare gli arbitri per la serie C e per la serie D. A luglio sono stati portati a rinunciare al loro incarico. E alla relativa retribuzione.
È successo dopo una serie di telefonate fatte proprio dal presidente Zappi, che voleva – come poi è avvenuto – sostituirli con Daniele Orsato e Stefano Braschi, nonostante il contratto in essere. «Ho avuto una crisi di nervi e mi misi a piangere», ha raccontato Ciampi al procuratore federale Giuseppe Chinè e ai suoi sostituti. «Le dimissioni non sono state pienamente libere», ha aggiunto Pizzi. «Se tornassi indietro non accetterei di dimettermi».
A Ciampi e Pizzi, Zappi aveva anche inviato un messaggio con la formula che avrebbero dovuto usare per rinunciare al loro incarico e assumere quello nuovo, non più apicale e quindi meno remunerativo. Con la promessa che non avrebbero subito conseguenze economiche: al contrario, a Ciampi il cambio di ruolo ha generato “un pregiudizio di natura patrimoniale arrivando a percepire “un compenso inferiore di 10 mila euro”. Mentre nel caso di Pizzi la riduzione dell’emolumento è stata addirittura di 30 mila euro: da 50 mila a 20 mila.
La data del processo sportivo sarà fissata per la prima settimana dopo il 6 gennaio, quindi dopo il periodo di feste. Ma Zappi si era convinto di poter evitare il procedimento. Come? Con un patteggiamento. Giovedì scorso, infatti, Zappi era stato ascoltato dal procuratore Chinè su sua richiesta. Il giorno dopo, via pec, il suo avvocato ha inviato alla procura della Federcalcio una richiesta di patteggiamento. La proposta di Zappi era di scontare un’inibizione (l’equivalente della squalifica, ma per i dirigenti) di 15 giorni. Così quantificati: pena di 40 giorni, ridotta del 50 per cento in ragione del patteggiamento e ulteriormente ridotta sulla base di una presunta “collaborazione”.
Il procuratore federale l’ha respinta, e lo stesso ha fatto la procura generale dello sport: quindi, giudizio sia. Ma per Zappi è due volte pericoloso. Perché chi supera i 12 mesi di inibizione complessivi negli ultimi 10 anni va incontro alla decadenza dagli incarichi che ricopre nell’ambito della Federcalcio, come prevede lo Statuto della Figc all’articolo 29. E nella sua lunga carriera da dirigente arbitrale, l’attuale presidente dell’Aia ha già scontato a vario titolo 10 mesi di inibizione. Basterebbe una squalifica superiore ai due mesi per costringerlo a rinunciare alla sua posizione alla guida dell’Aia.
La vicenda investe la giustizia sportiva, ma è anche politica. Perché si innesta sullo sfondo del braccio di ferro con la Federcalcio, che ambisce a riformare il mondo arbitrale di serie A e di serie B, togliendolo al diretto controllo dell’Aia e affidandolo a una struttura autonoma sul modello inglese, partecipata dalle due Leghe per professionalizzare gli arbitri e i loro contratti. Ma Zappi non si arrende e grida la propria innocenza: «È l’ora più buia, ma ci sarà un giudice a Berlino», ha detto usando la più nota immagine per invocare tribunali giusti contro i soprusi del potere. Ma di chi siano stati i soprusi, lo deciderà il tribunale della Figc.