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 2025  dicembre 16 Martedì calendario

Balli, flirt e gossip: il bello di Austen spiegato ai ragazzi

Prepararsi con le amiche, con le sorelle, curare il dettaglio che faccia la differenza anche se la moda è sovrana e da lontano sembra che si sia vestite tutte uguali. Ricevere l’invito per la festa di cui tutti parlano, sperare che ci sia qualcuno – proprio quel qualcuno – e che magari manchi qualcun altro – o altra –, danzare tutta la notte fino alle prime luci dell’alba, concludere con quello spuntino che non si sa se sia l’ultimo della nottata o il primo della giornata, andare a dormire quando la casa si sveglia e restare a letto fino a mezzogiorno e non farsi vedere in giro prima di metà pomeriggio. Al ritrovo chiacchierare degli assenti, dei piccoli drammi che si sono consumati durante l’evento perché si sa che se non succede nulla, non c’è nulla di cui sparlare. Pardon, su cui aggiornarsi.
Questa descrizione risponde alla giornata tipo di una ventunenne Jane Austen a Steventon nella stagione mondana del 1796. Jane Austen aveva uno spirito mondano spiccato, amava le feste e si reputava un’ottima ballerina. I carteggi con la sorella Cassandra testimoniano quanto i ritrovi della social season fossero per lei una piacevole costante, e in queste lettere le due sorelle si scambiavano commenti e impressioni circa la serata trascorsa, gli outfit sfoggiati dalle altre dame, senza lesinare commenti pungenti su quelle scelte non proprio valorizzanti. Oggi forse lo chiameremmo body shaming, ma quelle lettere non erano scritte perché le leggessimo noi e in privato, si sa, siamo tutti peccatori.
Neppure i gentiluomini erano immuni alle critiche e Miss Austen si riservava di negare loro un ballo, qualora i loro indumenti non fossero di suo gradimento.
Mi preme soffermarmi su questo per smentire chi vorrebbe scrittori e scrittrici timidi topi di biblioteca, analfabeti sociali che in situazioni di convivialità si ritrovano a far tappezzeria e guardare con occhi spauriti chiunque rivolga loro la parola, covando nel proprio cuore la speranza di tornare a casa il prima possibile per nascondersi dietro un libro. Non era il caso di Jane Austen, che i balli se li godeva fino in fondo, e detestava saltare una quadriglia o una Boulanger per mancanza di cavalieri.
Anche lo svegliarsi tardi aveva importanza ieri come oggi. Aprire gli occhi dopo mezzogiorno, l’indomani di un ballo, indicava che si era stati a una festa esclusiva, ospitata da personalità di spicco. Significava che il ballo era durato fino al mattino e, nel 1796, se una festa si protraeva per tutta la notte, voleva dire che il padrone di casa aveva sovrabbondanti mezzi economici.
Jane Austen, in fondo, è sempre stata molto pragmatica nel fornirci i dettagli delle consistenze economiche dei suoi personaggi, questo perché era un aspetto che non trascurava neanche nella quotidianità. Immaginiamo il costo esorbitante del quantitativo di candele che sarebbero servite a illuminare la casa per tutta la notte – candele di preziosa cera d’api, non quelle di grasso di bue, che si scioglievano in fretta, puzzavano e riempivano la sala di fumo –, l’onorario degli orchestrali per suonare quasi dieci ore di fila, l’acquisto di copiose moli di vini e liquori da accostare ai numerosi rinfreschi per sostenere i cali di zuccheri degli ospiti.
Si diceva che quando un padrone di casa volesse disfarsi degli ospiti serviva loro un rinfresco fatto di tartine secche e biscotti stantii. Ecco perché le feste private erano reputate più divertenti dei ritrovi alle sale pubbliche.
In una missiva del 24 ottobre 1798 alla sorella Cassandra, Jane raccontava disperata che i suoi bagagli, che avrebbero dovuto giungere a Rochester con lei, erano finiti su una carrozza sbagliata, diretta a Gravesend, per poi essere imbarcati per le Indie Occidentali. Come affrontare gli impegni sociali senza un corredo adeguato? E come fare senza il suo astuccio con il kit di scrittura?
E che dire dei legami sentimentali? All’inizio di ogni social season, debuttanti, damigelle e gentiluomini dichiaravano le proprie intenzioni: chi era già “impegnato”, chi si stava guardando intorno, chi era interessato a chi, così che lo scacchiere matrimoniale cominciasse a distribuirsi. Una donzella che non intendeva assecondare la corte di un cavaliere non avrebbe dovuto concedergli più di due danze a serata – e Jane Austen era ben attenta a rispettare la rigida etichetta dei corteggiamenti – mentre se si voleva lanciare un chiaro messaggio di interesse, non solo si ballava con lo stesso gentiluomo per più di una danza, ma anche per due consecutive. Il giorno successivo, la parola fidanzamento sarebbe stata sulla bocca di tutti.
Nell’estate del 2008, a farmi compagnia, c’era uno sceneggiato, di quelli che Rete 4 mandava in onda per tappare i buchi del palinsesto estivo: ambientazione inglese, abiti stile impero, persone che occupano le loro mattinate a far visita a casa di amici e conoscenti e questi due, Lizzie e il Signor Darcy, che proprio non si piacciono. Aspetta, l’attore l’ho già visto. È quello di Bridget Jones, Colin Firth! Il signor Darcy è ricco, snob, guarda tutti dall’alto in basso e in quel paesino dell’Hertfordshire sembra che non gli vada a genio un’anima. Lizzie è una provocatrice, quelli come Mr Darcy se li mangia a colazione, perché lei non si sente inferiore proprio a nessuno.
Il sesto giorno mi sento un po’ orfana, perché lo sceneggiato è finito. I titoli di coda però mi lanciano un salvagente: Orgoglio e pregiudizio, tratto dall’omonimo romanzo di Jane Austen. Sono salva! Allora Elizabeth Bennet e Mr Darcy non se ne sono andati per sempre!
Ma io, di Orgoglio e pregiudizio, ne avevo già sentito parlare. A undici anni, guardando la commedia romantica C’è posta per te: Meg Ryan – libraia di seconda generazione con un adorabile negozio di libri per bambini – dice a Tom Hanks – proprietario della mega catena di librerie Fox – che il suo libro preferito è Orgoglio e pregiudizio. «Un lessico da perderci la testa», è il commento a margine di Meg Ryan.
Nella mia testa di undicenne – ricordo a tutti, è il 1998, internet è uno strumento di appannaggio solo degli informatici e a casa mia non abbiamo il computer – quell’informazione era stata sufficiente per archiviare Orgoglio e pregiudizio tra i libri difficili e la mia immaginazione non era stata in alcun modo stimolata. Possibile che fosse lo stesso libro di cui avevo tanto apprezzato la serie? Cinque anni dopo, quel libro classificato come difficile, è diventata una necessità.
Al rientro, mi sono fiondata in biblioteca e la prima lettura di Orgoglio e pregiudizio l’ho fatta su un volume in copertina flessibile dal dorso così consumato che non stava nemmeno chiuso. Era proprio l’Orgoglio e pregiudizio della serie tv e dunque lo dovevo possedere, andando in panico su quale edizione comprare.
Oggi ce l’ho in quattro edizioni italiane diverse, due inglesi e in due raccolte, così da non restare mai senza e da allora a oggi, rileggerlo è la mia cura ogni volta che mi ammalo, perché certe medicine guariscono tutto anche se non si trovano in farmacia.