la Repubblica, 16 dicembre 2025
E se fosse tutto oro quel che luccica?
Nella Tavola di Mendeleev il suo simbolo è Au, numero atomico 79: si trova tra i metalli di transizione. È lo stesso materiale che Zeus fa cadere a pioggia per ingravidare Danae, mentre invece condanna Mida a causa della sua improvvida richiesta. L’oro – di cui è fatto anche il water di Maurizio Cattelan andato all’asta il mese scorso – è tutto e il contrario di tutto, un autentico mistero che dura da migliaia d’anni. La sua fortuna è di aver incontrato un’altra entità nel corso della storia umana: la moneta. All’inizio era una diarchia con l’argento, e a volte persino col bronzo. Tuttavia alla fine, come ricorda Maynard Keynes in Auri sacra fames (1930), cinquant’anni prima della Grande guerra l’oro ha conseguito la sua vittoria diventando il deposito di valore per eccellenza.
Perché? Per varie ragioni, soprattutto perché si tratta di un materiale raro. Quando Keynes ne scrive, una nave di linea avrebbe potuto trasportare in un solo carico tutto l’oro tratto dai fiumi e dalle miniere del mondo intero in settemila anni. A partire dalla fine dell’Ottocento, sentenziava Keynes, l’oro si è avvolto «nei panni della rispettabilità così imperscrutabile che non se ne è vista l’uguale neppure nell’ambito sessuale o religioso». Secondo Salvatore Rossi, autore di Oro (il Mulino), la quantità estratta sin qua dalle viscere della Terra ammonterebbe a 190.000 tonnellate, approssimazione per eccesso, mentre quella che resterebbe da estrarre in modo economicamente conveniente non supererebbe le 56.000.
Perché continua a essere così costoso? Forse perché viene usato nella fabbricazione di gioielli: l’oro è bello. Per il geniale economista inglese si tratta di “un relitto barbarico”, tanto che si scagliava contro il gold standard, ovvero contro lo “standard monetario basato sull’oro”. Aveva torto? Probabilmente no, tant’è che nel 1971 di fatto fu abolito. Eppure le banche centrali nel mondo trattengono ancora una quantità significativa di oro. Quella che è depositata nella Banca centrale italiana ammonta a 2.452 tonnellate, una quantità che è superata solo dagli Stati Uniti e dalla Germania; al prezzo attuale vale 247 miliardi di euro. Del resto, il valore dell’oro dalla rielezione di Trump è schizzato verso l’alto: da 2.600 dollari l’oncia (31,1 g) di inizio 2025 ai 4.200 di inizio dicembre. Conviene acquistare oro?
Difficile dirlo, perché si calcola che chi nel 1980 tramutò nel prezioso metallo i propri risparmi avrebbe impiegato 32 anni per recuperare l’investimento iniziale. Neppure come bene rifugio funziona fino in fondo, eppure le banche nazionali vi investono ancora. Una parte del nostro oro, per altro, sta altrove, ad esempio negli Usa, tanto che qualcuno pensa che sia necessario farlo tornare in Italia visti i chiari di luna del periodo. Ma come ricordava oltre ottanta anni fa Keynes si usa altrimenti: lo si scambia o lo si dà in garanzia – la fiducia è la base dell’economia – senza mai spostarlo. E ciò lo rende, scriveva l’economista inglese, una «cosa molto astratta: nient’altro che un metro di valore». Il suo status nominale si mantiene grazie a questi scambi tra banche centrali. Proprio per questa ragione è giustificato ciò che Keynes sosteneva: «L’oro è ora invisibile: è ritornato nelle viscere della terra», cioè nei caveaux nazionali che lo custodiscono e lo gestiscono senza mai movimentarlo – solo i francesi qualche anno fa l’hanno fatto rientrare, presi da un impulso nazionalistico, dagli Stati Uniti.
All’inizio del Novecento George Simmel nella sua Filosofia del denaro, libro da poco ristampato da Mimesis, scriveva che «il denaro è il simbolo della relatività delle cose», un oggetto fondamentalmente simbolico, così che il suo garante, l’oro, lo è altrettanto. Lo avevano intuito i sacerdoti dell’antico Egitto: lo usavano per confezionare collane e oggetti, convinti delle sue proprietà magiche. L’oro con cui si realizzano i monili è a 18 carati (puro al 750 per mille) mentre i lingotti custoditi nei sotterranei delle banche centrali sono a 24 carati (puro 999 per mille): che farsene dunque di questo oro integro?
In un racconto di Fred Hoyle, scienziato e scrittore, intitolato Elemento 79 s’immagina che un asteroide composto d’oro cada in Scozia e che il governo britannico decida di usare questo inatteso dono a favore del popolo: lo vende pian piano per affrancare gli inglesi dal lavoro così che si dedichino ai loro passatempi preferiti. Che sia questo l’obiettivo di chi vuole conferire l’oro della Banca d’Italia al popolo italiano? La vendita delle 2.500 tonnellate attuali sul mercato mondiale, segnala Rossi, farebbe crollare in modo vertiginoso il suo prezzo, come hanno sperimentato in passato proprio gli inglesi, oltre a rendere carta straccia gli accordi presi con i trattati europei e quelli installati con altre banche centrali. Nel 1943-44 lo fecero i nazisti, trasferendo l’oro dalla Banca d’Italia altrove, per finanziare la guerra che stavano perdendo; ma gli riuscì solo in piccola parte.
L’oro oltre che misterioso è anche maledetto, come aveva intuito Freud stesso, che non a caso Keynes cita nel suo articolo: è un simbolo, e serve a soddisfare istinti forti e precisi, perlopiù inconsci. Chissà se gli estensori della formula «l’oro nei forzieri della Banca d’Italia è del popolo italiano» si sono resi conto dell’enigma che si cela nel metallo dorato? Al di là dei suoi usi industriali, «il suo valore si regge sul fatto che tutti glielo riconoscono». Allo stesso modo del denaro di carta, di plastica o dei bitcoin, l’oro è un bene immateriale. Se non avete mai letto il racconto “Oro” di Primo Levi nel Sistema periodico, fatelo e vi renderete conto di come lo scrittore abbini in modo inconscio una vicenda personale legata al prezioso metallo a un episodio di sangue accadutogli da partigiano. Tra le tante altre cose, l’oro gronda anche di sangue. Insomma, nonostante tutto, forse meglio tenersene alla larga.