ilgiornale.it, 15 dicembre 2025
"Nessuno sa dove sia": la Cia e il mistero del generatore nucleare smarrito nell’Himalaya
Dagli anni Sessanta del secolo scorso i ghiacci che avvolgono in India una delle vette più alte e invalicabili dell’Himalaya celano un mistero che non ha mai smesso di togliere il sonno ai leader di Nuova Delhi e Washington. Nel 1965, infatti, la Cia lanciò una missione ad alto rischio che avrebbe dovuto collocare sulla cima della montagna Nanda Devi un’antenna spia alimentata da un generatore a propulsione nucleare grande quanto un pallone da spiaggia, lo SNAP-19C. L’operazione, affidata ad una squadra di scalatori americani e indiani, fu annullata a causa delle proibitive condizioni meteorologiche. Il carico di plutonio radioattivo che trasportavano venne abbandonato tra i ghiacciai e, da allora, nessuno è riuscito a rintracciare la sua posizione.
La storia, in parte già nota, è stata ripresa in queste ore con nuovi dettagli dal New York Times che ha cercato di ricostruire tutti i passaggi della missione organizzata dall’agenzia di Langley appena un anno dopo il primo test nucleare di Pechino nello Xinjang. Nanda Devi, una delle due montagne più alte dell’Himalaya in territorio indiano – la sua altezza supera i 7700 metri – fu scelto proprio perché da lì era possibile tenere d’occhio centinaia di chilometri oltre il confine con la Cina. Gli ideatori dell’audace operazione, certi del suo successo, non avevano però pensato ad un dettaglio per nulla irrilevante che, ancora oggi, determina l’inquietudine delle autorità indiane e americane sulla vicenda: i ghiacciai che ricoprono Nanda Devi alimentano il Gange e il timore è che lo Snap-19C, che contiene quasi un terzo della quantità totale di plutonio utilizzata nella bomba di Nagasaki, possa scivolare in un fiume ghiacciato e riversare materiale radioattivo nelle sorgenti del fiume più sacro dell’India, fonte di sostentamento per centinaia di milioni di persone.
L’intera missione, scrive il New York Times, fu avvolta nell’inganno sin dall’inizio. Fu concepita dal generale Curtis E. Le May, il capo dell’aeronautica militare degli Stati Uniti, ricordato in seguito per la sua minaccia di bombardare il Vietnam del Nord “facendolo tornare all’età della pietra”. Le May coinvolse Barry Bishop, un celebre fotografo del National Geographic che costruì un’elaborata storia di copertura per l’operazione che avrebbe dovuto portare all’installazione di un sensore segreto in cima alle montagne in grado di intercettare i segnali radio dei test missilistici cinesi e di trasmetterli ad una stazione a 80 chilometri di distanza, poi a Nuova Delhi e infine al quartier generale della Cia per essere decodificate e valutate.
L’agenzia di Langley si rivolse all’India per chiedere aiuto, ma con grande discrezione. All’interno del governo indiano in pochi erano a conoscenza dei piani degli 007 americani. L’India aveva da poco perso una guerra con la Cina e, a complicare le cose, aveva anche una relazione piuttosto complicata con Washington.
Sta di fatto che l’intelligence indiana, assecondando il progetto Usa, scelse il capitano Kohli, un decorato ufficiale della marina che scalava montagne sin da piccolo, per guidare la parte indiana della missione. Inizialmente fu presa in considerazione il Kanchenjunga, la terza montagna più alta del mondo dopo l’Everest e il K2 ma Nuova Delhi respinse l’idea. Fu la Cia a scegliere il Nanda Devi, nonostante le riserve degli indiani. Gli alpinisti si addestrarono sul Monte McKinley in Alaska ma la squadra americana effettuò dei test aggiuntivi in una struttura nella Carolina del Nord e a Baltimora.
Nessun addestramento fu in grado di preparare i componenti dell’operazione alle pesanti condizioni meteorologiche che incontrarono mentre cercavano di raggiungere la cima della montagna. Il 16 ottobre del 1965, durante una bufera di neve, fu il capitano Kholi a decidere di annullare la missione e di lasciare il carico radioattivo. L’operazione di recupero avrebbe dovuto attendere che il tempo migliorasse, in primavera. Quando l’anno dopo gli scalatori raggiunsero il Campo 4 sul monte, il generatore non c’era più, forse travolto da una valanga invernale. Kholi organizzò altre missioni di ricerca nel 1967 e nel 1968 ma nessuna andò a buon fine.
Secondo documenti indiani, una squadra di scalatori riusci nel 1967 ad installare una serie di apparecchiature di sorveglianza alimentate da combustibile radioattivo su una cima più bassa, vicino al Nanda Devi, ma non funzionarono come previsto. Un nuovo dispositivo fu posizionato nel 1973 dalla Cia ma con l’avvento dei satelliti spia collocare antenne in cima alle montagne non aveva più molto senso. Rimase però l’imbarazzo per un caso che, almeno in parte, trapelò sulla stampa ma che il governo americano non ha mai riconosciuto nella sua ufficialità. A riprova di ciò il laconico commento rilasciato dal dipartimento di Stato Usa al New York Times: “come prassi generale, non commentiamo questioni di intelligence”.
La prima ondata dello scandalo scoppiò negli anni Settanta in India. “La Cia sta avvelenando le nostre acqua”, si leggeva all’epoca sui cartelli dei manifestanti. Nonostante l’India fosse alla testa del movimento dei Paesi non allineati e non si fidasse di Washington, il governo guidato da Morarji Desai reagì con moderazione alle notizie sul dispositivo nucleare scomparso in Himalaya guadagnandosi l’ammirazione del presidente americano Jimmy Carter.
Da allora, i dubbi e le paure che circondano la vicenda sono andati crescendo. Oltre ai rischi di inquinamento radioattivo del Gange, gli scienziati, dopo aver rassicurato sul fatto che lo SNAP-19C non possa esplodere non essendo dotato di un innesco, affermano però che, se ritrovato, esso potrebbe essere utilizzato per una bomba sporca. Intanto il Nanda Devi continua a proteggere la soluzione di uno degli enigmi irrisolti più incredibili della Guerra Fredda.