il Giornale, 15 dicembre 2025
Volkswagen spegne la prima fabbrica
La coincidenza non passa inosservata: proprio domani, nel giorno in cui dalla Commissione Ue si attende l’ufficialità del dietrofront sul «tutto elettrico» dal 2035, dalla Volkswagen arriva la notizia del contemporaneo stop alla produzione di veicoli nel sito di Dresda, la cosiddetta «fabbrica di vetro» preposta, da alcuni anni, alla realizzazione di vetture a batterie dopo aver sfornato, fino al 2016, l’ammiraglia Phaeton. Una scelta, quella della riconversione, rivelatasi alla fine un flop viste le conseguenze sull’economia del territorio e i 250 occupati ai quali sarebbe stato offerto il trasferimento in altri impianti tedeschi e un bonus fino a 30mila euro.
Sta di fatto che quella di domani rappresenta la prima chiusura di una produzione in Germania nei suoi 88 anni di storia, come ricordava ieri il Financial Times. La decisione presa dai vertici di Wolfsburg viene motivata con la debolezza delle vendite e la crescita cinese in Europa, nonché dei dazi Usa che pesano sul business negli Stati Uniti. Ma anche sotto la Grande Muraglia la situazione si è fatta molto difficile visto che Byd ha già superato Volkswagen come principale venditore di auto nel Paese. Per recuperare terreno, fiducia e immagine, lo stesso gruppo farà partire la produzione in Cina di piccole auto elettriche con costi inferiori della metà rispetto alla Germania.
Gli analisti, in generale, prevedono intanto difficoltà crescenti per Volkswagen. Secondo Stephen Reitman, di Bernstein, a mettere in difficoltà il gruppo sono anche le nuove sfide, fino a poco tempo fa inaspettate, a causa della «prevista maggiore durata dei motori a combustione che richiede nuovi investimenti». E Andrea Taschini, advisor e manager automotive: «Non è una sorpresa la chiusura di Dresda: il sistema automobilistico europeo è in una situazione di eccesso di capacità produttiva crescente dovuto all’invasione delle auto cinesi low-cost e al restringimento del mercato. Tutto, tra l’altro, ha avuto proprio inizio in Germania con le derive ambientaliste che hanno formulato un Green deal irresponsabile e inconsapevole delle conseguenze che avrebbe generato. E ora, come un boomerang, quelle decisioni tornano indietro e vanno a colpire proprio chi ha voluto una decarbonizzazione a ogni costo del settore automotive che non avvantaggia nessuno: né l’ambiente né le migliaia di lavoratori che si apprestano a perdere il posto».
Per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, la coincidenza dello stop di Dresda deciso da Volkswagen, che si aggiunge alla recente «lettera-schiaffo» del cancelliere tedesco Friedrich Merz e all’incontro con Manfred Weber, leader del Ppe, resta difficile tradire le aspettative di domani sulla revisione del Green deal automotive.
«Non accetteremo misure tampone – è stato l’avvertimento, in proposito, di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy – : serve una svolta chiara, fatta di riforme profonde, efficaci e strutturali. In questa direzione abbiamo condiviso una piattaforma comune con la Germania, che ha raccolto il consenso di una larga maggioranza di Stati membri.
Ad Atreju 2025, inoltre, si è saldata l’alleanza tra Ecr e Ppe, un’intesa che può incidere concretamente sul futuro dell’Europa, a partire dalle scelte di politica industriale come quelle sull’auto. È cambiato il mondo e noi dobbiamo prenderne atto».