repubblica.it, 15 dicembre 2025
Il regno della cocaina. In Europa è più facile ordinare droga che una pizza
Juan si siede al tavolo della cucina, apre una lattina di birra e mostra l’ultimo messaggio che il suo spacciatore gli ha inviato su WhatsApp: un video di pochi secondi del pacchetto di cocaina appena arrivato, che può essere visto una sola volta prima di cancellarsi automaticamente. La vende a 50 euro al grammo. Se ne prende tre, c’è un prezzo speciale: 100 euro. Non deve nemmeno uscire di casa. Se decide di comprare, il venditore sarà alla sua porta al massimo entro un’ora, o anche prima se si trova nei paraggi. «È facilissimo», spiega questo spagnolo di 46 anni, che vive a Bruxelles da oltre un decennio e parla a condizione che il suo vero nome non venga rivelato.
Sebbene lo spaccio sia un segreto di Pulcinella nelle strade della capitale belga, oggi esistono più opzioni che mai per procurarsi droga: dai metodi tradizionali ai siti del dark web e alle chat private sulle app di messaggistica, che offrono il “menù del giorno” con consegna a domicilio e promozioni per acquistare cocaina e altre sostanze. «Ma tutti hanno cocaina, è la cosa più comune, la più popolare», afferma. «È una droga senza classe sociale: ciò che cambia è il modo di consumarla. I più abbienti la sniffano, chi ha problemi di dipendenza o di denaro passa alla siringa o al crack», aggiunge Juan. «Si è normalizzata parecchio».
Non si è mai prodotta né consumata tanta cocaina nel mondo come oggi. I consumatori sono almeno 25 milioni, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine. Di questi, circa sei milioni vivono in Europa, quasi il doppio rispetto a vent’anni fa. Nell’ultimo rapporto annuale, pubblicato quest’anno e basato su dati del 2023, si documenta anche un aumento senza precedenti della produzione del narcotico, che ha superato le 3.700 tonnellate, quattro volte più di dieci anni fa. La cocaina è ormai «la droga illecita con la crescita di mercato più rapida», afferma l’agenzia dell’ONU.
Dall’inizio della guerra alla droga negli anni Settanta, l’epicentro mondiale della cocaina è stato nelle Americhe. Tre Paesi andini – Colombia, Bolivia e Perù – hanno concentrato la produzione della foglia di coca; i potenti cartelli messicani e colombiani hanno controllato le rotte del traffico; e una domanda insaziabile ha fatto degli Stati Uniti il principale mercato di consumo. Ma questa immagine sta cambiando.
Nell’ultimo decennio, altri Paesi – come Ecuador, Brasile o Panama – sono emersi come nodi chiave del traffico globale; più gruppi cercano spazio in una mappa criminale sempre più contesa; e la merce arriva più lontano, attraverso rotte e metodi di contrabbando che prima sembravano impensabili. «Il mercato si è globalizzato come probabilmente nessun’altra droga prima», afferma Sebastián Cutrona, coautore di Cocaina: la portata globale della droga più redditizia del pianeta.
L’inasprimento dei controlli nelle Americhe, la frammentazione dei grandi cartelli e la saturazione del mercato statunitense hanno costretto i trafficanti ad adattarsi, spiega Cutrona. «C’è stato un impatto non voluto della militarizzazione della guerra alla droga in America Latina, e l’Europa ne sta pagando le conseguenze», conclude. L’aumento dei consumi nel Vecchio Continente è legato in parte a ciò che accade dall’altra parte dell’Atlantico e all’attrattiva economica del mercato europeo. Mentre in Colombia un chilo di cocaina costa circa 1.400 dollari, in Europa centrale e occidentale il prezzo medio all’ingrosso è di circa 39.000 dollari, secondo l’ONU.
In piena espansione globale, i sequestri di cocaina in Europa hanno battuto il record per il settimo anno consecutivo, con 419 tonnellate confiscate. Per il quinto anno di fila, i sequestri nella regione hanno superato quelli del Nord America, e i Paesi dell’Europa centrale e occidentale sono ormai considerati «la nuova principale destinazione» della droga.
Secondo Antoine Vella, ricercatore dell’ONU, sebbene alcuni indicatori continuino a collocare il Nord America in testa, si può ormai affermare che il mercato europeo «è allo stesso livello» per numero assoluto di consumatori, quantità sequestrate e purezza della sostanza. Ogni anno la cocaina muove in Europa oltre 11,6 miliardi di euro.
Tra il 2019 e il 2024, il Belgio ha sequestrato più di 500 tonnellate di cocaina, più di qualsiasi altro Paese europeo. Quasi il 90% è stato intercettato nel porto di Anversa, la principale porta d’ingresso della droga in Europa, a circa 45 chilometri da Bruxelles. Le due principali rotte attraversano l’Atlantico direttamente dall’America Centrale e Meridionale oppure passando per l’Africa occidentale.
Oltre il 90% della cocaina che arriva in Europa viaggia via mare. I trafficanti vedono nel porto di Anversa un luogo ideale grazie alle infrastrutture moderne, ai collegamenti con oltre 800 destinazioni e alla vicinanza con Paesi Bassi, Germania, Francia e Regno Unito.
La città, con mezzo milione di abitanti e famosa per secoli per il commercio di diamanti, è da anni impegnata in una lotta permanente contro la criminalità organizzata. «Siamo la capitale europea della cocaina», dice con un certo cinismo un barista. «È ovunque, è più facile e veloce procurarsi droga che ordinare una pizza», aggiunge un ristoratore della zona della stazione centrale.
Una delle tracce più evidenti dell’impatto della droga si trova sottoterra, nelle fognature: Anversa è la città dell’UE con la più alta concentrazione di residui di cocaina nelle acque reflue.
Pur essendo nato nei Paesi Bassi, Paul Meyer si vanta di conoscere il porto come le sue tasche. «La cocaina è un mondo completamente diverso, perché in gioco ci sono enormi quantità di denaro», afferma l’ex capo della “banda dei 700 milioni”, così chiamata per la somma che accumulò grazie al traffico illegale di ogni tipo di merce. «La cosa più importante è sapere come funziona il sistema e usare la logica», spiega il trafficante, che ha operato per 15 anni ad Anversa. «Se vuoi infilare grandi quantità di cocaina in un carico di pomodori, per esempio, devi avere le informazioni giuste: quanto pesa un container di pomodori, quante casse contiene, quanto costano, da quale Paese provengono, e fare esattamente quello che fa chi importa pomodori da dieci anni», racconta Meyer, arrestato nel 2007 in Thailandia e autore di Memorie di un maestro contrabbandiere, un libro pubblicato dopo aver scontato una condanna di sette anni in Belgio.
Meyer utilizzava ogni tipo di metodo per nascondere la droga: da specchi con doppi fondi e tronchi di legno cavi fino a rotoli di guaina bituminosa. Fiducia e reputazione sono concetti chiave negli affari criminali. Così come la corruzione e i contatti all’interno del porto: «Avevamo persone in dogana o lavoratori ai quali davamo qualcosa in cambio di informazioni». In assenza di imprevisti, «un carico impiegava tra i 21 e i 28 giorni per arrivare» dal Sudamerica.
L’elenco dei metodi di traffico arriva fin dove arriva l’immaginazione dei criminali. La droga entra nei porti europei nascosta in ogni tipo di prodotto, camuffata nella struttura dei container o delle navi, oppure trasportata su motoscafi, gommoni o mezzi semisommergibili.
Ma le conseguenze della catena di approvvigionamento emergono continuamente in superficie. «Ad Anversa la violenza è strettamente legata al porto», spiega An Berger, portavoce della Polizia federale belga. Gli attentati con bombe e le sparatorie sono diventati sempre più frequenti. A differenza di Bruxelles, dove si combatte per il controllo del territorio, qui i criminali concentrano i loro sforzi nel minacciare chi si rifiuta di collaborare e nel punire chi parla con le autorità. Anche nel denunciarsi a vicenda: sparano contro le case dei rivali per indicare alla polizia dove si spaccia o si svolgono attività illegali.
I minorenni, reclutati principalmente nei Paesi Bassi e in Belgio, sono bersagli privilegiati per i criminali perché sono facilmente sostituibili e perché, quando vengono catturati, non finiscono in carcere ma in riformatorio. «Quando ne arrestano uno, ce ne sono altri dieci pronti o disposti a fare lo stesso», si rammarica Van den Bosch. Nel 2024 sono stati arrestati 100 corrieri di droga nel porto di Anversa, 16 dei quali minorenni. Quest’anno i fermati sono già più di 200, 40 dei quali sotto i 18 anni, secondo la polizia.
Solo alle frontiere dell’Unione Europea operano più di 440 organizzazioni dedite al narcotraffico, secondo Europol. I gruppi con maggiore peso nel traffico di cocaina provengono da Albania, Belgio, Paesi Bassi, Italia e Spagna. Le reti albanesi hanno acquisito particolare notorietà negli ultimi anni:erano dietro a un carico di 12 tonnellate sequestrato ad Anversa nel 2020, il più grande nella storia del porto. «Sono diventate i grandi grossisti del mercato europeo: vendono agli olandesi, ai russi…», dice Fatjona Mejdini, ricercatrice dell’Iniziativa Globale contro il Crimine Organizzato Transnazionale. Nonostante le enormi quantità che movimentano, è raro che più di dieci persone partecipino alle operazioni di traffico, assicura.
La specialista spiega che non funzionano come i grandi cartelli né come strutture rigide. Si tratta di reti flessibili e pragmatiche, formate da piccole cellule indipendenti specializzate in diversi anelli della catena del traffico. Mejdini aggiunge che le reti albanesi tendono a seguire una politica di collaborazione, non di confronto, con le altre organizzazioni criminali. «Sanno che esistono gruppi molto più grandi di loro», osserva. «E che il sangue e l’ostentazione attirano l’attenzione della polizia». La loro presenza è documentata da tre decenni in Paesi come il Belgio e l’Ecuador, diventati snodi chiave del traffico globale. Il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha stimato lo scorso marzo che il 70% della cocaina mondiale esca dal suo Paese.
L’anno scorso i sequestri di cocaina in Belgio sono crollati a 44 tonnellate, il 65% in meno rispetto al 2023. «Non significa che la droga abbia smesso di arrivare», afferma Berger, ricordando che il prezzo è rimasto stabile, segno che l’offerta non è stata compromessa e che potrebbe esserci una diversificazione delle rotte. «I trafficanti cercheranno sempre nuovi modi per importarla in Belgio e in Europa: possono provare a usare aeroporti o altri porti, oppure trovare altre vie per entrare nel porto di Anversa».
Martin Norell, del servizio doganale svedese, assicura che l’inasprimento dei controlli nei porti principali delle rotte del narcotraffico, come Anversa o Rotterdam, ha provocato un effetto a catena in altri Paesi europei. «Quando abbiamo aumentato la sicurezza, i trafficanti sono andati in Norvegia, e quando la sorveglianza è cresciuta lì, sono tornati in Svezia», si lamenta Norell. «È il gioco del gatto e del topo».
L’anno scorso la Svezia ha intercettato un carico di 1,4 tonnellate, il più grande della sua storia, sufficiente perché tutta la popolazione adulta potesse consumare una striscia di cocaina. Norell riconosce che gli agenti doganali sono insufficienti: «Siamo solo 550 in uniforme per tutto il Paese». Consapevole che il crimine non conosce frontiere, la Commissione europea ha presentato proprio questa settimana un nuovo piano quinquennale di contrasto alla criminalità organizzata, che punta sulla collaborazione e sul coordinamento tra gli Stati membri.
La portata del traffico ha riaperto il dibattito sul fatto che il Belgio possa essere diventato un narco-Stato e sull’eventualità che la legalizzazione sia una soluzione, anche se è una strada che il governo di Bart de Wever non è disposto a percorrere. «Mi sembra un’illusione legalizzare qui e ignorare che si tratta di un fenomeno globale», sostiene Annelies Verlinden, ministra della Giustizia belga.
Berger ritiene che le leggi globali della domanda e dell’offerta condizionino la lotta del Paese contro il narcotraffico. «Non potremo mai risolvere il problema, a meno che tutti smettano di consumare cocaina», conclude. «E il problema è che in Europa la consumano moltissime persone». Juan, invece, mette in discussione il senso stesso della proibizione e della cosiddetta guerra alla droga: «Non avremmo tutti questi problemi se non fosse illegale», afferma al calare della notte a Bruxelles.
La portata del fenomeno ha riaperto il dibattito su una possibile legalizzazione, ma le autorità restano scettiche. «Non risolveremo mai il problema finché ci sarà domanda», afferma un funzionario di polizia. «E il problema è che in Europa moltissime persone consumano cocaina». Juan, invece, mette in dubbio il senso stesso della proibizione: «Non avremmo tutti questi problemi se non fosse illegale».