repubblica.it, 15 dicembre 2025
“Chernobyl, intervenire sul sarcofago entro 5 anni o sarà tardi. Rischia di collassare”
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha dichiarato che il Nuovo confinamento di sicurezza (Nsc), la megastruttura da 1,5 miliardi di euro realizzata nel 2016 per isolare i resti del reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl, distrutto durante il disastro del 1986, “ha perso le sue principali funzioni di sicurezza” a seguito dell’impatto con un drone, presumibilmente russo, avvenuto lo scorso febbraio. L’urto esplosivo ha provocato danni all’involucro esterno del sito, sebbene le strutture portanti interne e i sistemi di monitoraggio siano rimasti intatti. I livelli di radiazioni nell’area, al momento, restano nella norma.
Balthasar Lindauer guida il dipartimento per la sicurezza nucleare alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd), storico gestore dei fondi internazionali per Chernobyl – incluso lo strumento che ha finanziato l’Nsc – e che oggi coordina l’International Chernobyl Cooperation Account, responsabile del ripristino del sito.
Qual è la situazione attuale e di cosa ha bisogno il sito per tornare sicuro?
"Con le proprie risorse, Chernobyl ha coperto l’apertura principale provocata dal drone: una misura provvisoria per limitare l’ingresso di acqua e neve. Ma il danno è enorme, non si tratta semplicemente di un buco che si può rattoppare. L’Nsc è costituito da una struttura ad arco in acciaio dotata di un rivestimento esterno e uno interno. Tra i due vi è uno spazio di circa 15 metri che avvolge la struttura. In condizioni normali, l’intercapedine è ventilata e la ventilazione svolge funzioni chiave: crea una sovrapressione che isola l’ambiente dall’esterno e provvede al controllo di temperatura e umidità, fornendo un meccanismo di protezione dalla corrosione. Di solito, le strutture in acciaio sono protette con rivestimenti anticorrosivi che vanno rinnovati ogni 10-15 anni. Ciò non è possibile: gli operai sarebbero esposti a livelli di radiazioni troppo elevati. Questo meccanismo è vitale perché consente alla struttura di durare 100 anni o più senza dover rinnovare le vernici. Oggi il sistema di ventilazione è fuori uso, la tenuta ermetica del rivestimento è compromessa. Il drone ha perforato entrambi gli strati, ed è stato poi necessario praticare dei fori per spegnere l’incendio. Per ripristinarne la funzionalità, è necessario riparare i due rivestimenti”.
Quali sono i rischi se non si interviene tempestivamente?
"Se la corrosione dovesse iniziare, la struttura potrebbe non essere più sigillabile. Prima che ciò accada – riteniamo possa avvenire nell’arco di 5 anni – è necessario ripristinare il meccanismo. Se non interveniamo con grande rapidità, potremmo perdere l’intera struttura. È un’operazione complessa: 5 anni è un tempo estremamente ridotto. Il secondo scopo dell’Nsc è ospitare un sistema sofisticato di gru, ideato per rimuovere parti dell’unità 4 e del vecchio sarcofago realizzato frettolosamente all’indomani della tragedia e gestirne lo smaltimento. Oggi non siamo in grado di usare la gru. Uno ‘scenario 1986’ non è possibile ma il vecchio sarcofago potrebbe collassare e le polveri contaminate disperdersi nell’ambiente”.
Qual è la tabella di marcia?
"Abbiamo avviato la procedura per incaricare un’azienda ucraina che interverrà sulle riparazioni provvisorie con soluzioni tecniche migliori e più durevoli. Per il ripristino delle funzionalità, stiamo lavorando con i progettisti originari della struttura, le aziende francesi Bouygues e Vinci, per sviluppare diverse opzioni”.
Quali sono le ipotesi allo studio? Alcuni esperti hanno supposto uno scenario che richiederebbe lo scorrimento a ritroso dell’intera struttura lungo binari, esponendo il vecchio sarcofago, con il rischio di rilascio di materiale radioattivo e costi altissimi.
"Qualunque sia l’opzione scelta i costi saranno molto, molto elevati. Poiché non disponiamo ancora del progetto ingegneristico, non possiamo fornire cifre precise ma sappiamo che sarà nell’ordine delle centinaia di milioni di euro, tra i 300 e i 700 milioni circa. E al momento quella soluzione non è esclusa. L’Nsc è stato costruito lontano dal vecchio reattore e successivamente traslato sul posto. I nostri esperti stanno analizzando anche altre possibilità, che prevedono l’esecuzione dei lavori di riparazione sul sito. Queste opzioni sono forse tecnicamente meno complesse, ma implicano un grado di difficoltà molto maggiore in termini di esposizione dei lavoratori alle radiazioni”.
I lavori cominceranno già a gennaio?
"In linea di principio, sì. La prima cosa di cui abbiamo bisogno è il report finale di Bouygues e Vinci, che dovrebbe arrivare verso la metà o la fine del mese. Poi potremo fare i preparativi per iniziare quanto più rapidamente. Diverse attività possono essere svolte a distanza, così da essere pronti quando potremo avviare i lavori effettivi. L’obiettivo è ripristinare la funzionalità entro il 2030: oltre quella data ci troveremmo in territorio sconosciuto”.
Per i lavori effettivi sarà necessario attendere la fine del conflitto?
"Si tratta di una questione assai rilevante. Il nodo decisionale si presenterà tra circa due anni. Allora bisognerà valutare se i lavori possano essere realizzati, e a quali condizioni. È molto probabile che i lavori sul sito dipendano in larga misura dalla cessazione delle ostilità”.