La Lettura, 14 dicembre 2025
Una nuova Lanterna delle fate
Non se ne stava nascosta in un angolo remoto. L’hanno trovata vicino a un campeggio, dentro una cavità alla base di una pianta, a rischio di essere calpestata dai turisti che affollano le aree picnic o di finire sommersa da una piena. Un fotografo naturalista, Tan Gim Siew, l’ha scoperta nel novembre di due anni fa durante un’escursione in riva a un fiume nella Hulu Langat Forest Reserve, poco distante da Kuala Lumpur. E ora, dopo un periodo di studio, Thismia selangorensis – particolare specie di una famiglia di piante tra le più rare al mondo (le «Lanterne delle fate») – è stata descritta sulla rivista internazionale di botanica «PhytoKeys». Purtroppo è già stata dichiarata in pericolo critico: vive in un’area di quattro chilometri quadrati soltanto e si stima che ne rimangano circa venti esemplari. Ora le autorità forestali malaysiane hanno messo sotto protezione la zona.
A vederla Thismia selangorensis è un incanto: sembra quasi illuminata dall’interno, come una lanterna magica orientale. Alta non più di 10 centimetri, le sue radici hanno la forma di coralli. I fiori color rosa-pesca spuntano dal terreno e sembrano funghi. I tepali interni (foglie trasformate che vanno a costituire il fiore, senza distinzione tra calice e corolla) formano una mitra con tre appendici in cima e gli stami hanno una nervatura dorsale marcata.
La sua scoperta serendipitosa rallegra anche perché si tratta di una pianta peculiare che non utilizza la fotosintesi. Ama l’ombra e l’umidità e fa parte di un genere (90 specie, molte delle quali però osservabili ormai solo nei musei) i cui membri praticano la «micoeterotrofia». Parassitano alcuni funghi del suolo, dai quali ottengono il carbonio e altri nutrienti di cui hanno bisogno. Il fenomeno fa parte delle tante associazioni simbiotiche che legano piante e funghi, come le micorrize, unioni mutualistiche tra funghi e radici delle piante, originatesi nell’evoluzione più di 400 milioni di anni fa, con reciproco vantaggio e la formazione di reti di scambi tra piante anche diverse. I funghi ricevono dalle piante gli zuccheri e ricambiano con acqua, micronutrienti, protezione da agenti patogeni e amplificazione dei segnali chimici di comunicazione. Nel caso della lanterna delle fate non sappiamo se i funghi ricevano qualche dono o si facciano soltanto sfruttare.
Di una sua cugina giapponese, Thismia kobensis, si erano perse le tracce da decenni nei dintorni di Kobe: al posto del suo habitat ci avevano messo un bel complesso industriale. L’hanno ritrovata per fortuna a 30 chilometri di distanza, nella città di Sanda, facendola entrare nel novero delle «specie Lazzaro», che si credevano estinte e poi spuntano di nuovo. Fra queste, celebre è il caso del celacanto, pesce a pinne lobate dall’aspetto giurassico, parente dell’antenato comune che iniziò a esplorare la terraferma, finito nelle reti di attoniti pescatori sudafricani nel 1938. Ma anche la mantide nana spinosa di Tolentino era stata data per spacciata e invece nel 2021 è stata fotografata all’interno di un’azienda agricola marchigiana.
Ogni anno vengono scoperte centinaia di nuove specie, grazie alle tecnologie di rilevamento sempre più efficaci e talvolta grazie anche alla citizen science, cioè a progetti partecipativi di monitoraggio ambientale che coinvolgono comuni cittadini opportunamente preparati. Ma soprattutto, grazie alla nostra ignoranza: si calcola che sinora siano state catalogate solo una parte di tutte le forme di vita che abitano la Terra, soprattutto negli abissi e nel mondo microbico. Per questo la distruzione di un ecosistema è un doppio delitto: estinguiamo specie che conoscevamo e molte altre che nemmeno avevamo iniziato a studiare. Non abbiamo alcun diritto di farlo in ogni caso, ma non ci conviene neppure, perché con ogni probabilità tra le specie ancora ignote ci sono adattamenti, molecole, principi attivi e materiali che potremmo imitare, traendone grande vantaggio per le nostre tecnologie e la medicina.
Assai più difficile dell’osservazione di una creatura sconosciuta è poter assistere alla vera e propria nascita di una nuova specie, perché è un processo solitamente molto lento. Tra gli animali, avviene quando una popolazione di una specie madre rimane isolata per varie ragioni (una barriera ecologica, una migrazione, un cambiamento di abitudini o riproduttivo) e resta isolata per un lasso di tempo sufficientemente lungo da accumulare differenze genetiche, morfologiche o di comportamento che impediscono la riproduzione con gli esemplari del ceppo originario. Una barriera fisica si trasforma in una barriera genetica e così nasce una nuova specie. Cavallo e asino per esempio sono molto simili, ma i loro cuccioli ibridi, muli e bardotti, sono quasi sempre sterili e dunque i geni delle due specie non si mescolano più.
Normalmente ci vogliono migliaia di anni (e generazioni) perché il processo si compia, ma in certi casi, quando la popolazione che si separa è piccola o i cambiamenti incidono subito sul sistema riproduttivo, la speciazione può essere relativamente rapida, cioè «punteggiata». La si può anche ricreare in laboratorio. In Africa, nei laghi Malawi e Vittoria centinaia di specie di pesci ciclidi hanno avuto origine in poche migliaia di anni e oggi sono fortemente minacciate dalla pesca e dall’inserimento di predatori invasivi. Nel 2018 il team di biologi evoluzionisti coordinato dai coniugi Rosemary e Peter Grant, dell’università di Princeton, osservò una speciazione velocissima tra i cosiddetti fringuelli delle Galápagos. Un intrepido migrante proveniente dall’isola di Española si era insediato su un’altra isola, Daphne Major, e si era accoppiato con una specie nativa, dando origine a una popolazione ibrida che si era auto-perpetrata nonostante la forte consanguineità, aveva avuto successo ecologico, le si era modificato il becco e si era così isolata da entrambe le specie parentali. Il tutto in sole tre generazioni. Praticamente, l’evoluzione darwiniana vista in presa diretta.
Daphne Major è un piccolo cratere vulcanico disabitato in mezzo all’oceano e i Grant ci hanno passato sei mesi all’anno, con una tenda spartana e un cucinino da campo, sferzati dal vento e dalle onde, dal 1973 in avanti. La ricerca scientifica esige perseveranza, in tutti i sensi. Per quanto ne sappiamo, il loro matrimonio ha resistito all’estinzione.