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 2025  dicembre 15 Lunedì calendario

La nostra identità in balìa di chissà chi

Da giorni continuo a ricevere telefonate. Non una o due, ma fino a dieci al giorno da numeri sempre diversi (tutto documentato, naturalmente). Dall’altra parte voci che sanno tutto: quale contratto ho appena sottoscritto, con quale operatore, in che fase è il passaggio. Non supposizioni, non tentativi alla cieca: dati puntuali, precisi, aggiornati. La coincidenza temporale è perfetta. Poche settimane fa ho utilizzato – attraverso il sito della mia banca – un servizio di comparazione per cambiare operatore dell’energia (si chiama «Switcho»). Ho scritto all’azienda in questione chiedendo spiegazioni (e un aiuto, per bloccare questo flusso inesauribile di chiamate). La risposta è stata educata, articolata e persino rassicurante nei toni. Eppure, nella sostanza, inquietante. Non siamo stati noi, dicono. I dati non li cediamo. Il problema – spiegano – nasce «a valle». «Quello che succede – mi hanno scritto – è che in fase di switch, i suoi dati (tra cui il numero di telefono) vengono trasmessi anche ad altri organi come il distributore di zona e il SII (Sistema Informatico Integrato dell’Acquirente Unico) per l’esecuzione del passaggio. C’è l’ipotesi che da questi organi ci sia una fuga di dati». Aggiungendo: «Il Garante lo sa». Ed è qui che scatta il corto circuito. Perché se davvero – come viene ammesso – nei meandri di una filiera regolata, istituzionale, obbligata, circolano dati che finiscono nelle mani di call center opachi o fraudolenti, allora non siamo davanti a una seccatura. Siamo davanti a reati. E a qualcosa di ancora più grave: a un sistema, dove c’è chi spiffera e chi lucra, che lo considera fisiologico. Dal punto di vista dell’utente, infatti, la distinzione tra «noi» e «gli altri» non esiste. Io non ho affidato i miei dati a un call center. Li ho affidati a una banca, a una piattaforma, a un servizio che si presenta come affidabile. La fiducia non è frazionabile. O vale lungo tutta la filiera, o non vale. Qui sta il punto politico – non tecnico – della vicenda. Nel capitalismo dei dati, la responsabilità viene spezzettata, mentre la vulnerabilità resta intera. Tutti sanno che il problema esiste. Tutti lo descrivono. Nessuno lo presidia fino in fondo. Eppure, oggi, i dati personali non sono un accessorio burocratico. Sono ciò che ci rappresenta, ci espone, ci rende riconoscibili. Sono – per usare le parole di Yuval Noah Harari – la nuova materia prima del potere: chi controlla i dati, controlla le persone. Per questo non basta invocare la complessità del sistema. Se aziende e istituzioni chiedono fiducia, devono assumersi un dovere pieno di tutela. Non solo formale, non solo fino al perimetro minimo dell’informativa privacy. Devono presidiare la filiera. (È il principio dell’affidamento). Perché quando i dati diventano di tutti, alla fine non sono più di nessuno. E il cittadino resta solo, esposto, con il telefono che squilla (e chissà cos’altro).