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 2025  dicembre 15 Lunedì calendario

Vin brulé e clima da stadio. La «macchina» di Giorgia già in campagna elettorale

«Ma la volete riempire questa sala?». Giorgia Meloni fa un balzo nell’area vip. Scherza. Un pienone così strapperebbe un sorriso anche a Giacomo Leopardi.
Le offrono cornetti dolci e salati, ma «no grazie»: fioretto e dieta non ammettono sgarri. Meglio una spremuta di adrenalina data dal colpo d’occhio: dentro, fuori e tutto intorno. «Si cammina come in discoteca il sabato sera», dice un volontario con cappellino «Nati per sovvertire i pronostici». Ci sono parlamentari di Fratelli d’Italia che non riescono a entrare. Posti occupati dalle 10 di mattina.
È la domenica del villaggio di Meloni. Intanto, l’ex Andrea Giambruno le ha portato la piccola Ginevra. La «first mamma» Anna Paratore si è accomodata, salutata da tutti («Da ragazzino mi dava la bandiera della Lazio sulla testa quando c’erano i derby», ricorda il senatore Andrea De Priamo). La sorella Arianna, che per nove giorni ha praticamente dormito qui con un cellulare come amico, si prende i complimenti da tutti («È vero: è andata benone»). Spunta Giovanni Donzelli: è l’architetto di questa cittadella molto «Vacanze di Natale a Cortina» che ha registrato «105 mila presenze: l’edizione più partecipata di sempre».
Ci siamo. Il Papa, vicino di casa, ha terminato l’Angelus. Potere spirituale e quello temporale si passano il testimone. Insomma, il gran finale di Atreju, il comizio della leader, può iniziare.
Finora hanno parlato tutti, sorvegliati da un draconiano timer donzelliano: Maurizio Lupi, Antonio Tajani, Matteo Salvini. E tutti hanno detto che sono qui per restare anche dopo il 2027, sicuri di rivincere uniti le elezioni. Perché «nessuno mi farà litigare con Giorgia», dice Salvini che nel suo intervento si dimentica di citare l’Ucraina, ma non l’Ungheria di Orbán. In compenso prende applausi sul Ponte, sul «martire Charlie Kirk». Dice che dovrebbe andare via per seguire il suo Milan, ma alla fine resta e si concede ai selfie.
«Qui rinnoviamo un patto nato nel 1994 con Silvio Berlusconi», aggiunge Tajani che cerca e trova empatia con i volontari in blu, quelli di Gioventù nazionale di Fabio Roscani. Uno sguardo all’orologio. Manca solo lei: «Giorgia». Si sa: qui, ad Atreju, ai piedi di Castel Sant’Angelo, non esiste Meloni, né il presidente. Eccola. Ah, no: è Patrizia Scurti, la segretaria particolare della premier. Entra per armeggiare con il microfono. Scurti ha un’ossessione per i dettagli, tutto deve suonare come un violino.
Tommaso Longobardi, il capo dei social, segue gli account che stanno creando l’attesa: una macchina acchiappa like. Un drone, dall’alto, scatta foto da far rimbalzare su Instagram. C’era una volta la Bestia di Salvini, ora è tutto un engagement meloniano.
Nei giorni scorsi Greta Thunberg ha attaccato il governo italiano, quindi siamo ancora dalla parte giusta della storia
Aria di festa, ma c’è anche un discreto profumo di campagna elettorale permanente accompagnata da vin brulé. Lo si capisce dagli applausi della folla ai leader quando sparano a palle incatenate contro la sinistra. È tutto un efficace e sempre affidabile «noi e loro». Con aggiunta di indicazioni per «la parte giusta della storia». Indovinate qual è?
Sicché la manovra, per esempio, che ancora è in cottura, può aspettare: perché mettersi a parlare di emendamenti e segnalati proprio in questa giornata? Il silenzio è d’oro, come le riserve di Bankitalia. Ci si penserà oggi, come alla risoluzione sul’Ucraina da portare in Parlamento mercoledì, come al decreto 2026 per gli aiuti a Kiev atteso prima dell’anno a Palazzo Chigi. Il referendum sulla giustizia, anche nel più nefasto dei casi, non produrrà scossoni: il motto della casa è «Cari italiani, fregatevene di me, ma pensate al merito della riforma». E al buco nero ultra pop di Garlasco. Salvini rilancia la responsabilità civile dei magistrati e ironizza sulla sentenza della Cassazione che lo attende mercoledì sul caso Open Arms: «Nel dubbio sto investendo sulle carceri».
Ad Atreju si produce amalgama. Si scolpisce l’anti pantheon di governo: Elly Schlein, Francesca Albanese, Greta Thunberg, Maurizio Landini, Ilaria Salis, il ’68, la sinistra che rosica e che porta jella e anche i maranza sì, ammesso che votino e che siano di sinistra. Nel dubbio: chi non salta comunista è!
Ci siamo. Eccola. Ingresso saltellante. E poi sessantuno minuti di discorso. Clima da Maracanà. Finale romantico: «Ai miei Fratelli d’Italia dico: non dimentichiamoci da dove siamo partiti». Cuore e scintilla. Chi la conosce da sempre: «Giorgia parlava per prima a sé stessa».