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 2025  dicembre 14 Domenica calendario

Intervista a Giovanna Ralli

Com’è seduta in poltrona, un po’ di traverso. I capelli, perfetti. Gli occhiali con le lenti leggermente oscurate. I denti bianchi, un velo di rossetto, il sorriso identico a quello canzonatorio di Marcella ne Un eroe dei nostri tempi, drammatico di Valeria ne Il generale Della Rovere o perennemente in stato di ignorante difficoltà di Elide in C’eravamo tanto amati.
È il sorriso di Giovanna Ralli, uno dei più iconici (e veri) del cinema. (“Davvero è identico?”. Identico a quello sulla foto appesa con Alberto Sordi. “Ah, quando eravamo la coppia più bella del mondo, nonostante lui indossasse zoccoli, canottiera e calzini bianchi”).
Con Sordi avete girato vari film.
E pensare che non volevo diventare attrice, non me ne importava nulla; fui costretta perché papà era disoccupato e con il vizio dei cavalli.

I cavalli sono costati cari.
Si è giocato tutto, compreso il negozio; fu una mia amica a parlarmi della possibilità di guadagnare qualcosina come comparsa. E sono finita in Luci del varietà di Fellini (inizia a cantare, felice, il brano centrale).
Ha dichiarato: “Non mi sono mai sentita Giovanna Ralli”.
Perché non mi sono mai sentita una diva.
Proprio mai?
Il mio è solo un lavoro.
Un lavoro particolare.
Già da comparsa ho capito subito cosa mi piaceva: diventare altro, vivere dentro altri personaggi, entrare e uscire a seconda del momento e delle necessità.
Secondo Eduardo De Filippo si finge nella vita, non a teatro.
(Ci pensa, a lungo) Aveva ragione e quanto ho amato stare sul palco…
Sul palco c’è stata anche per Garinei e Giovannini, i totem del musical.
Due straordinari autori, con loro ho vissuto delle esperienze meravigliose.
Vengono descritti come burberi, due che incutevano timore.
Con me, mai; (ride) la sera della prima di Un paio di ali, ero terrorizzata, non avevo mai fatto teatro, così non riuscivo a entrare in scena. A quel punto Giovannini mi mollò un pugno e finii dentro.
Protagonisti lei e Renato Rascel.
Renato era un po’ cattivello, gli ho mollato uno schiaffo in scena.
Per cosa?
Per una mano sulla schiena; finito lo spettacolo si è presentato in camerino: ‘Giovanna, scusa’. ‘Scusa un cavolo, non devi proprio toccarmi’. Da quel momento siamo andati d’accordo.

Il maschilismo di quella generazione…
Poteva capitare; (pausa) il punto è uno: ho iniziato presto, anzi prestissimo, per questo non ho potuto frequentare i ragazzi della mia età. A vent’anni i miei coetanei erano gli uomini di trenta, quaranta, anche cinquant’anni.

Grande, subito.
È stato complicato; un salto temporale, una voragine rispetto a un normale percorso.
E… ?
Me la sono cavata.
In mezzo agli adulti si sentiva mai in imbarazzo?
Era difficile, perché tutti cercavano qualcosa da me, però non gliel’ho permesso.
Un continuo.
Erano tremendi. Ammazzeli (in perfetto romano).
Il film della sua vita.
C’eravamo tanto amati.
Elide.
Un personaggio stupendo e me lo sono portato in casa: l’immagine di Elide è appesa nella camera da letto.
Perché, di solito…
Tutti gli altri ruoli li ho lasciati in camerino, mentre con Elide è andata diversamente, e quel set non è paragonabile a niente.
Se n’è resa conto immediatamente.
Ero emozionata anche mentre giravo.
Elide le assomiglia?
In parte sono io da ragazzina.
Elide sbaglia i congiuntivi.
Anche io, tutti. Come i problemi che avevo con l’“h” (ride e si butta indietro con la schiena).

Maledetta “h”.
Non ho avuto la possibilità di studiare, lavoravo.
In C’eravamo tanti amati ci sono tre grandi: Gassman, Manfredi e Satta Flores.
Vittorio e Nino si stimavano molto, mentre Stefano era in adorazione dei due; eppure Stefano è stato un grandissimo attore, un gran signore e una persona estremamente gentile.
Personaggi chiave della sua vita: Sergio Amidei, storico sceneggiatore.
L’ho conosciuto sul set di Villa Borghese (1953) e rimase incantato dalla mia spontaneità; al tempo sostenevano che tra di noi c’era una storia…
È vero?
No, falso. Siamo stati solo grandi amici e pure a lui devo tanto.

Cosa?
È stato il primo a colmare le mancanze culturali: mi consigliava i libri, me li portava; mi ha insegnato a leggere le sceneggiature.
Che libri?
Subito Guerra e pace.
Impegnativo.
Infatti affrontavo dieci pagine al giorno e ogni volta dovevo ripeterle a Sergio e concludevo con ciò che avevo capito.

Quanti amori le hanno attribuito?
(Cambia tono) Non lo so; so che ho amato molto mio marito e che il più grande amore della mia vita è stato Valerio Zurlini (ha recitato per lui ne Le ragazze di San Frediano, 1955, ndr). Anche io per lui sono stata importante e il nostro rapporto ci ha condizionato.


Michael Caine?
Con lui c’è stata una bella storia, finita perché doveva girare un film negli Stati Uniti e non me la sono sentita di seguirlo; (silenzio, ride) un po’ eravamo impazziti.

Lei è stata a Hollywood.
Altro mondo.
Cioè?
Lì erano seri, talmente seri da rendere impossibile il cambio di una virgola sul copione; ero abituata a discutere le battute con il regista, a sostituire una parola se non la sentivo. Lì niente.
Ha lavorato con Blake Edwards.
Con lui ho prima sostenuto un provino a Los Angeles; partii con un’amica-segretaria in grado di parlare inglese, finite le prove stavo in albergo per preparare i bagagli quando sento il telefono squillare: ‘Tra 20 giorni la vogliamo qui per l’inizio delle riprese del film’.
Com’era la vita hollywoodiana?
Tutta feste, cocktail, set; ero spesso insieme a Virna Lisi.
Che duo.
Una sera ci siamo rese conto che stavamo per uscire con lo stesso vestito: Valentino aveva sbagliato, io incavolata; (seria) l’avevo pure pagato.
C’era competizione tra voi due?
Zero, eravamo opposte, i suoi personaggi non li avrei potuti interpretare: erano sofisticati, i miei più veri.
Siete insieme ne La piccola guerra.
Andammo a Parigi con le nostre mamme, ma in treno: avevano paura dell’aereo.

Con quale dei suoi colleghi si sentiva in confidenza?
Fuori dal set non frequentavo nessuno.
Neanche Mastroianni?
Marcello è stato il mio preferito, anche per il piano umano.
Insomma, è una diva?
Ma de che!
Però ha un dono attoriale.
Non è complicato, basta credere a quello che è scritto sul copione.
Ha girato un centinaio di film.
Il problema è che in Italia dopo i quarant’anni non ti chiamano più.
La noia l’ha mai vissuta?
Sto bene pure da sola; (abbassa lo sguardo, davanti ha un libro di Ettore Scola).
Scola per lei.
Che uomo, che regista. Amava gli attori, li coccolava; ci permetteva di diventare grandi; ho girato con lui il suo esordio da regista, Se permettete parliamo di donne, e già lì erano evidenti le sue qualità (apre il libro, e c’è una foto di Giovanna Ralli in costume).
Si guarda e cosa pensa?
(Sorride, poi ride) Che non ero niente male.
Sono 70 anni da Un eroe dei nostri tempi…
Con Sordi ridevo sempre; non doveva nemmeno parlare, mi bastava un cenno dei suoi occhi ed era finita.
Altro personaggio della sua vita: Aldo Fabrizi.
È grazie a lui se sono arrivata al cinema: mi ha notata e portata ne La famiglia Passaguai (1951); (ci pensa) ecco, lui è stato un amico.
Fabrizi molto di destra.
No, proprio fascista, per questo evitavo di parlarci di politica.
Le pesava.
Eh, sì. Ma lui durante il fascismo aveva lavorato tanto (gira lo sguardo verso il comò, lì sopra c’è un David).
Bella soddisfazione.
Fa sempre piacere, quello è alla carriera; gli altri li ho messi in una cassa e chiusi in cantina.
Se pensa alla sua vita…
In alcune fasi mi sono divertita.
Quale colore la rappresenta?
Il rosso fuoco.
Va a votare?
Sempre. Volete sapere per chi?
Sinistra.
Quel che resta. Ecco, che fine ha fatto?
Elly Schlein la convince?
Mica tanto. Non va bene.
Torniamo al cinema: se passano i suoi film, li rivede?
Evito, ancora oggi ho il timore di trovare degli errori, di non essere stata abbastanza brava; (ci ripensa) su alcuni un occhio lo butto.
Quali?
Pure i primi, quando parlavo in romano, ma anche lì erano scritti da sceneggiatori rari come Age e Scarpelli, o dopo Ennio Flaiano.
Nella lite tra Fellini e Flaiano, da che parte stava?
Con Flaiano, lui era vero; Ennio non era solo uno sceneggiatore, ma un uomo dotato di una sensibilità artistica rara.
Il cinema di oggi le piace?
In pochi casi, i dialoghi non mi convincono.
E C’è ancora domani di Paola Cortellesi?
Bellissimo e lei è la più grande attrice italiana; il finale è stupendo e il suo sorriso, lì, è iconico; (cambia tono) con C’è ancora domani ho ripensato a me durante la guerra, quando vivevamo a Testaccio.
Cosa le manca della carriera?
Interpretare un personaggio della mia età.
Cosa ha amato di più?
Non essere me stessa.
Lei chi è?
Ditelo voi.