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 2025  dicembre 14 Domenica calendario

Almirante, il tesoro bruciato. Perduti 36 milioni in 14 anni

Un tesoro per metà dilapidato. Con un enorme punto interrogativo nei conti della cassaforte che da anni finanzia la destra italiana e che indirettamente ha contribuito a condurla al governo del Paese. Spese legali, consulenze, incarichi, posti di lavoro e svalutazioni improvvise, tali da portare la Fondazione Alleanza Nazionale – l’ente nato dall’eredità politica, economica e immobiliare dell’Msi di Giorgio Almirante e dell’An di Gianfranco Fini – a bruciare nel giro di 14 anni la bellezza di 36 milioni di euro di patrimonio, a confronto dei quasi 90 milioni (89,2, per la precisione) iscritti all’atto della costituzione. Parliamo di circa il 40% del “tesoro” che gli allora missini, sotto la guida dell’ex funzionario repubblichino avevano accumulato fra finanziamenti pubblici al partito (fin quando questi erano in vigore), tesseramenti, investimenti e donazioni da parte di (ricchi) simpatizzanti, come quello nel 1999 al decesso della contessa Anna Maria Colleoni.
Nata per tenere unite tutte le anime della destra italiana, da diversi anni ormai la Fondazione An è di fatto in mano a Fratelli d’Italia, partito che si è autonominato erede politico di quelle stagioni, inglobando nel suo simbolo anche la fiamma almirantiana. Il board, presieduto dall’avvocato Giuseppe Valentino – proposto nel 2023 dai meloniani per il Csm e poi non eletto – conta al suo interno nomi come i parlamentari FdI Antonio Giordano, Roberto Menia e Luca Sbardella (vicario, vice e segretario), oltre ad Arianna Meloni, Maria Modaffari (segretaria di Francesco Lollobrigida), Italo Bocchino, Maurizio Gasparri e Fabio Rampelli.
Il problema è che i conti sono ormai in caduta libera. Il patrimonio netto, come detto, è passato da 89,2 milioni del 2011 ai 52,7 milioni del bilancio 2024. Un’enormità. La decrescita media dopo il Covid in poi è di oltre 1 milione all’anno. La liquidità iniziale di circa 48,8 milioni di euro, nonostante gli investimenti bancari si è ridotta fino a circa 30 milioni di disponibilità finanziaria attuale, in titoli di Stato e conti correnti. E anche il fondo di gestione è passato da 45,1 milioni a 22,9 milioni. Si dirà: lo scopo di una Fondazione è proprio quella di vedersi consumare pian piano per perseguire i propri obiettivi. Vero, ma per un ente così patrimonializzato questo donwgrade è a dir poco anomalo.
Anche perché di una larga fetta degli immobili di pregio – il vero “tesoro” – registrati in sede di costituzione si sono perse le tracce. Una relazione del 27 febbraio 1993 a firma del senatore Franco Pontone elencava 54 cespiti assegnati alle due società Italimmobili srl e Nuova Mancini srl – poi confluite nella Fondazione – più almeno altri otto iscritti ad An. Di questi 29 sono ancora lì, altri 9 ne sono stati aggiunti ma ben 25 risultano scomparsi dalle visure. Probabilmente venduti, come la prestigiosa ex sede del Fronte della Gioventù di via Crispi a Trieste, ceduta a giugno 2018 a Mario Castelli e Maja Sutej, che 8 mesi dopo l’hanno rivenduta all’artista Giangiorgio Sirch. O il canneto di 1.590 mq a Monterotondo, vicino Roma, che fu della contessa Colleoni e nel 2021 dato per soli 7.000 euro al macedone Dzelal Jusufi.
Che fine hanno fatto i soldi delle vendite? Proviamo a consultare il bilancio di Italimmobili, oggi presieduta da Roberto Petri, già capo segreteria di Ignazio La Russa quando era ministro della Difesa, poi transitato nel cda Eni e oggi in pole per diventare presidente di Assoporti. La società tra il 2017 e il 2020 ha inglobato la Nuova Mancini e i suoi conti ci raccontano che sono stati utilizzati per finanziare la Fondazione. Nonostante le cessioni immobiliari la controllata non aumenta la liquidità ma iscrive a bilancio debiti verso la controllante. Tradotto: è verosimile che gli introiti vengano girati alla Fondazione. Per farci cosa? Per ripianare le perdite, visto che dal 2012 sono stati bruciati quasi 30 milioni di euro. Gli anni più critici, in tal senso, sono il 2017 e il 2018 – on FdI al 4,2% – chiusi con 3,3 milioni di perdita per esercizio e una “razionalizzazione” degli immobili con maxi-svalutazione per circa 7 milioni “resasi necessaria per le variazioni negative di valore degli immobili nell’intero scenario mondiale”.

D’altronde dai bilanci della Fondazione emergono spese correnti piuttosto importanti. Non solo casi di finanziamenti a associazioni di estrema destra, come la Vicit Leo vicina al leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, o l’Associazione Acca Larentia, che la Fondazione nel 2024 ha aiutato con 30 mila euro nell’acquistare la storica sede romana in zona Colli Albani. Per il funzionamento della Fondazione (appena 3 dipendenti) sono stati bruciati 24,3 milioni di euro, di cui 9 milioni negli ultimi 5 anni.
In un esposto che l’ex An Pietro Diodato ha consegnato alla Prefettura e alla Procura di Roma sono elencate voci aggregate come 1,1 milioni per le consulenze “fino al 2018”, 5 milioni per le spese legali, 2,7 milioni per il personale e 5,6 milioni per le attività istituzionali.
Queste ultime sono pure politiche, e spesso convergono con quelle care a FdI. Come il convegno su “Pasolini conservatore”, benedetto da Ignazio La Russa ed esportato ad Atreju.
Infine c’è Il Secolo d’Italia, l’ex giornale del Msi oggi diventato di fatto organo dei meloniani sotto la direzione di Italo Bocchino. Per ospitare uffici de Il Secolo, che esce solo su Internet e vive di abbonamenti e inserzioni della Fondazione, nel giugno 2023, è stato acquistato alla cifra di 164 mila euro un negozietto da 24 mq in Vicolo Vaccarella, nel cuore di Roma, a pochi metri dal Senato e dalla sede di FdI di via della Scrofa. Un immobile comprato ex novo dal gallerista Renato Costrini, per il massimo della cifra stimata dalle tabelle Omi delle Agenzie delle Entrate. Nonostante altri locali più capienti marciscano quasi incustoditi, come il seminterrato da quattro vani in via Ottaviano, a due passi dal Vaticano.
Non solo. Il Fatto ha anche scoperto che nell’appartamento da 12 vani di via Paisiello ai Parioli – altro pezzo pregiato del lascito Colleoni – ora vivono l’ex dirigente An e Ugl Paolo Segarelli e sua moglie Stephanie, non si sa con quale corrispettivo. “Abito qui a gratis, anzi mi pagano pure”, dice lui sarcastico quando lo contattiamo per chiedergli chiarimenti.
In totale, Il Secolo d’Italia – le cui quote sono assegnate fiduciariamente al ministro Tommaso Foti – ha 15 dipendenti e da bilancio 2024 ha aperto uno stato di crisi con conseguenti cassa integrazione e prepensionamenti per 5 giornalisti. Ma ha anche un cda in cui figurano Milone come presidente e Giordano, Lisi, Tisci e Bocchino come consiglieri. “Se all’esito delle eventuali indagini, dovessero emergere illeciti nell’uso dei fondi della Fondazione, colpiremo le tasche dei responsabili attraverso una class action”, dichiara al Fatto ancora Diodato, che ha presentato anche un esposto alla Procura di Roma in cui si ipotizza il finanziamento illecito ai partiti e che aveva anticipato alcuni argomenti sul suo libro La Destra tradita. La verità sul tesoro di Almirante? Parola ai pm