Specchio, 14 dicembre 2025
Mick Herron: "Le spie dei miei romanzi sono impiegati pubblici che pagano il mutuo proprio come me"
Oggi di lui si parla come dell’erede di John Le Carré. I suoi romanzi vanno a ruba, ne sono state tratte due serie tv, Slow Horses e Down Cemetery Road, entrambe visibili su Apple+. Le sue creature, la spia in disarmo Jackson Lamb e suoi “Ronzini”, sono il fenomeno letterario del momento: a loro il merito di aver riportato in auge il genere spionistico.
Eppure Mick Herron, prima di essere tutte queste cose, era stato lui stesso un “ronzino”, uno “slow horse” (sinonimo di perdenti) della letteratura: nel 2010 il primo romanzo di questa saga ora tanto apprezzata aveva venduto così poco che il suo editore si era rifiutato di pubblicarne un secondo. Credevano di più in lui negli Usa, dove invece i suoi romanzi continuavano a essere pubblicati. Poi, narra la leggenda, un lustro dopo la prima uscita, un suo libro viene acquistato in un mercatino dell’usato dalla persona giusta, che se ne innamora, lo “riporta a Londra” e lo fa pubblicare da un prestigioso editore, John Morris, del gruppo Hachette UK. Il fallimento diventa uno splendido successo da milioni di copie, moltiplicato quando si aggiunge la forza di una serie tv interpretata dal premio Oscar sir Gary Oldman. L’impatto è tale da trascinare anche gli altri suoi romanzi, quelli con la detective privata Zoë Boehm, ora anch’essa con la sua serie affidata al carisma di Emma Thompson. In Italia è Feltrinelli a pubblicare Herron: sui nove titoli del mondo Jackson Lamb ne sono usciti cinque, l’ultimo è Le regole di Londra; il prossimo, Joe Country, uscirà nel 2026.
Abbiamo incontrato Mick Herron a Milano, dove è venuto a ritirare il Raymond Chandler Award, prestigioso riconoscimento attribuito dal 1988 dal Noir in Fest ai grandi della letteratura crime: è in buonissima compagnia, dopo i venerati “padri nobili” della spy story Graham Greene, Forsyth, Le Carré.
Cosa faceva Mick Herron, prima di diventare famoso?
«Il giornalista in una rivista giuridica che si occupava di diritto del lavoro. Non avvocato, ma laureato in letteratura inglese. La mia passione è sempre stata la scrittura: quello era il lavoro per sopravvivere e pagare i conti. Per quindici anni ogni sera da Londra tornavo a Oxford e, arrivato a casa, mi mettevo a scrivere per almeno un’ora, almeno 350 parole. Il mio primo libro, Down Cemetery Road, è stato pubblicato nel 2003: fu per me una grande soddisfazione».
Il successo è arrivato parecchio dopo, però.
«Ed è stato del tutto inaspettato. Solo nel 2017 ho lasciato il giornale. Meglio così: non mi sono montato la testa».
Vuol dire che è uno dei pochissimi autori di spy story inglesi – citiamo Fleming, Greene, Le Carré – che non arriva dai servizi segreti?
«È lusinghiero essere accostato ad autori come questi, ma no, non appartengo a quella “famiglia”. Piuttosto sono come Forsythe, che ha fatto il giornalista prima di passare alla narrativa. Lui però era un grande giornalista d’inchiesta, che anche per i romanzi continuava a documentarsi in modo approfondito: diceva di detestare la fase della scrittura e di adorare la parte indagine. Per me è esattamente il contrario: amo poco dovermi documentare (e infatti lo faccio il meno possibile) mentre adoro scrivere».
Nulla neppure su come funzionano i servizi e l’MI5?
«Ho inventato il Pantano per questo: non esiste (perché mai i servizi dovrebbero tenere in una specie di succursale dimenticata degli incapaci?), quindi non ho dovuto indagare su quali sono i protocolli che lo governano».
È tutto molto credibile però: i personaggi, il luogo, quella Londra così livida, violenta e corrotta.
«Il quartiere dove ho messo il Pantano lo conosco benissimo. Quanto a Londra è pericolosa come qualunque altra grande città. Ma scrivo thriller e quindi devo renderla più cupa. Puoi girare per le strade la sera, ma negli ultimi anni, da quando ho iniziato a scrivere, è diventata la capitale mondiale del riciclaggio di denaro anche a causa dei politici corrotti. Poi c’è stato il terrorismo, la Brexit che ha aggiunto caos e stupidità, la pandemia di Covid: ho raccontato questo cambiamento. Dei Servizi però non penso così male: noi sappiamo che c’è chi complotta solo quando qualcosa va storto. Ma quante volte riescono nel loro lavoro e non lo sappiamo?».
Quanto volutamente ha creato spie che demoliscono il mito Bond?
«A me interessano le persone normali, che pagano il mutuo come me. Non certo i superuomini alla 007: quelli del Pantano sono persone normali, impiegati pubblici, seppure disfunzionali e con un lavoro che è, di suo, poco impiegatizio».
Dei Servizi e di certi apparati dello Stato mostra gli aspetti deteriori, la lotta per il potere, l’inefficienza, la corruzione, il razzismo. Nessuna ritorsione dai poteri forti?
«No, niente di niente. Né minacce né misteriosi pedinamenti».
Cosa ne pensa del fatto che, pur dopo la vittoria dei Laburisti, stia nuovamente affacciando Nigel Farange? Lei ha descritto senza alcuna simpatia politici e trafficanti del potere vari che molto lo ricordano, o almeno ricordano le sue idee.
«Qualunque persona pensante teme un suo ritorno. Ma è come per il “leave”. Prevedo che avrà sempre più influenza, purtroppo. Che poi riesca davvero ad arrivare al potere, però, è un’altra cosa».
Come mai la spy story prospera così bene all’ombra del Big Ben?
«Per una lunga tradizione di doppiezze?... Forse è la necessità di mantenere un impero che ha dato questa impronta. Infatti il primo, secondo, me fu Kipling con Kim: il grande gioco della potenza imperiale che si deve muovere su uno scacchiere internazionale, e per questo infiltra gente che le è fedele in giro per il mondo a rovesciare stati e manipolare governi. Una storia che arriva fino al presente: l’ho messa all’origine di quanto accade ne Le regole di Londra, ultimo pubblicato in Italia e ultimo a diventare serie».
Cosa pensa di Gary Oldman? È una specie di ponte tra lei e Le Carré, essendo stato Smiley nel film “La Talpa”.
«Grande attore. Nessuno come lui conosce questi personaggi che ha lungamente studiato per interpretarli. Diversissimi tra loro, ha però una teoria che non condivido».
Ovvero?
«Per lui Lamb è uno Smiley che ha preso le decisioni sbagliate ed è andato a male. Ha tutto il diritto di pensarlo, ma io non sono assolutamente d’accordo».
E per lei cos’è, allora?
«Uno che ha deciso di mettersi da parte e vuole essere lasciato in pace nel suo buco, quella Casa del Pantano che ha costruito a propria immagine. Sgradevole, maleducato, senza peli sulla lingua e politicamente scorretto, si diverte a mettere in imbarazzo i suoi interlocutori. E questo perché è il primo a non piacersi e a disprezzarsi. Tuttavia, continua ad avere un codice etico, che lo spinge ad agire quando si tratta dei suoi ronzini. Il che ci porta all’aspetto fatale: malgrado tutto, alla fine, è sempre lui a vincere».