La Stampa, 14 dicembre 2025
Lavoro senza giovani
I Boomer lavorano più di Millennial e Gen Z. E per l’Italia è tutt’altro che positivo. I numeri dell’Istat raccontano un mercato del lavoro che continua a espandersi: più impiegati, meno disoccupati, meno inattivi. A ottobre 2025 gli occupati hanno raggiunto quota 24 milioni e 208 mila, con un aumento di 224 mila unità su base annua. Il tasso di occupazione è salito al 62,7%, la disoccupazione è scesa al 6%. È un miglioramento reale, ma incompleto. Perché dietro la crescita complessiva si sta consolidando un modello che utilizza sempre di più il lavoro degli over 50, mentre giovani e donne restano ai margini e il divario tra Nord e Sud continua a segnare il Paese.
Un lavoro diseguale è quello che contraddistingue l’Italia che fra poco entrerà nel nuovo anno. Il dato che più colpisce riguarda la struttura per età. Oggi il 42,4% degli occupati ha più di 51 anni, mentre solo il 21,6% ha meno di 34 anni. In un solo anno, tra i 15 e i 34 anni si contano 159 mila occupati in meno e un aumento degli inattivi. Se si allarga lo sguardo agli ultimi vent’anni, la tendenza appare netta. Tra il 2004 e il 2025 gli occupati tra i 15 e i 24 anni sono diminuiti di 580 mila unità, quelli tra i 25 e i 34 anni di 693 mila. Nello stesso periodo, i 50-64enni hanno più che raddoppiato la loro presenza nel mercato del lavoro, passando da 4,6 a 9,3 milioni di occupati, con un tasso di occupazione salito di quasi 24 punti percentuali.
È qui che si gioca il vero nodo del mercato del lavoro italiano. L’invecchiamento demografico e le riforme previdenziali hanno allungato la vita lavorativa, ma pesa anche una scelta diffusa delle imprese. «Oggi viviamo una crisi dell’offerta di lavoro. La stiamo vivendo nel 2025, continuerà nel 2026 e negli anni a venire», spiega Francesco Seghezzi, presidente di Fondazione Adapt. «Abbiamo sempre meno persone rispetto a quelle di cui abbiamo bisogno perché c’è un evidente calo demografico. Le imprese tendono a prendere l’usato sicuro perché così devono investire meno in competenze. Ma è un errore, perché in realtà c’è spazio per tutti. Investire unicamente in lavoro a basso costo non premia in assoluto».
I giovani restano il punto più fragile, anche se non costituiscono un blocco uniforme. «Nel 2025 il mercato del lavoro ha continuato a crescere, ma non per i giovani, che non solo diminuiscono in termini numerici per ragioni demografiche, ma faticano ancora a trovare uno spazio reale nel mercato del lavoro», osserva Andrea Garnero, economista del lavoro dell’Ocse. «Quando parliamo di giovani parliamo di una categoria eterogenea: qualifiche, genere e luogo di residenza determinano condizioni molto diverse. Anche i Neet non sono un blocco unico». Le difficoltà, spiega Garnero, derivano in parte da competenze non adeguate, orientamento debole e una formazione poco attrattiva, ma in altri casi pesano carichi familiari, disagio sociale e scoramento. «Soluzioni preconfezionate uguali per tutti non funzionano», dice Garnero. Che invoca «un maggiore ascolto da parte delle istituzioni delle necessità dei giovani».
Il confronto europeo accentua il ritardo italiano. Nel 2024 l’Italia è ultima nell’Unione a 27 per tasso di occupazione complessivo e ultima per occupazione dei 15-29enni, con un divario di oltre 15 punti rispetto alla media. «Con il Pnrr l’Italia ha fatto diversi passi avanti sulla disoccupazione giovanile», ricorda Carlo Altomonte, professore di economia alla Bocconi. «Siamo passati dal 29% al 20%, i Neet sono calati e anche il tasso di abbandono scolastico si è ridotto, pur restando sopra la media europea. Il mercato del lavoro resta però a chiazze, con un Mezzogiorno ancora fragile. Il punto cruciale è il mismatch fra competenze e domanda delle imprese. Per un Paese esportatore come l’Italia, rendere operativa la riforma degli istituti tecnici superiori e puntare sull’educazione è decisivo», evidenzia Altomonte.
Le fratture territoriali e di genere completano il quadro. Al Sud il tasso di occupazione è inferiore di oltre 20 punti rispetto al Nord, il che equivale a 5,8 milioni di persone al lavoro in meno. La parità di genere resta lontana: il tasso di occupazione femminile è più basso di 17 punti rispetto a quello maschile e le donne inattive sono quasi 7,8 milioni. Se lavorassero quanto gli uomini, le occupate aumenterebbero di 3,8 milioni.
Il mercato del lavoro cresce, dunque, ma si regge sempre di più sugli over 50 e continua a lasciare indietro giovani, donne, fragili e Mezzogiorno. La sfida non è solo creare occupazione, ma riequilibrare l’uso del lavoro lungo le generazioni, i territori e i generi. È su questo terreno che si misura la distanza tra i dati positivi e la piena attuazione del diritto al lavoro sancito dalla Costituzione.