Corriere della Sera, 14 dicembre 2025
Prigionieri in cambio di concessioni. Libero il Nobel Bialiatski e altri 122
In mano un mazzo di margherite bianche, sul volto scavato un sorriso. Ripreso in video appena fuori di prigione dimostra più dei suoi 63 anni Ales Bialiatski, attivista anti-Lukashenko, pilastro del movimento per i diritti umani nell’Europa orientale fin dalla fine degli anni ’80, quando la Bielorussia faceva ancora parte dell’Urss. In carcere dal 2021, avrebbe dovuto restarci fino al 2033, ma ieri è tornato un uomo libero. Il Nobel per la Pace conferitogli tre anni fa ha acceso un faro sulla sua storia: è sicuramente il suo il nome più «blasonato» della maxi amnistia di prigionieri politici concessa dall’«ultimo dittatore d’Europa»: 123 detenuti sono stati liberati ieri in cambio della revoca delle sanzioni americane contro l’industria bielorussa del potassio, traino dell’export nazionale.
All’operazione hanno partecipato anche i servizi segreti ucraini, ha rivelato il presidente Volodymyr Zelensky. In 114 sono stati portati in Ucraina mentre gli altri in Lituania. «Il premio Nobel è stato un riconoscimento delle nostre attività, delle nostre aspirazioni che non sono ancora state realizzate. E così la lotta continua» ha detto Bialiatski accolto ieri dalla leader dell’opposizione in esilio Svetlana Tsikhanoskaya fuori dall’ambasciata americana a Vilnius, riferendosi all’impegno della sua ong, Viasna, costretta all’esilio.
Il volto più conosciuto tra i graziati è però quello di Maria Kolesnikova, una delle tre donne che hanno guidato le proteste del 2020 contro Lukashenko: con i suoi capelli cortissimi e il suo cuore con le mani (fatto anche ieri, immortalata sul bus che la portava verso la libertà), è diventata un simbolo ancora più grande della resistenza quando ha strappato in pubblico il suo passaporto per opporsi alla sua espulsione ed è rimasta in Bielorussia. «Ero andata a Vilnius ad aspettarla – dice al Corriere la sorella Tatiana Khomich, anche lei attivista – invece mi ha videochiamato dall’Ucraina. È stata una conversazione brevissima, era felice, ha ringraziato gli Stati Uniti per gli sforzi e la parte bielorussa per aver condotto questi negoziati».
Il rilascio è avvenuto al termine della visita a Minsk dell’inviato del presidente americano John Cole, che ieri ha annunciato la possibile liberazione di «altri mille detenuti politici nei prossimi mesi in Bielorussia». Anche altri rappresentanti dell’opposizione bielorussa hanno ringraziato Trump, sottolineando che il rilascio dei prigionieri è la prova dell’efficacia delle sanzioni. Favorevoli alla rimozioni di quelle Usa, hanno chiesto che quelle europee rimangano. In realtà, continua Khomich, «molti di noi ormai credono che sia ora anche per l’Ue di cambiare strategia, perché isolare la Bielorussia non ha portato al cambiamento sperato, anzi Lukashenko ha stabilizzato il suo potere e ha rinsaldato il suo legame con il Cremlino. Bisogna pensare a come rendere il nostro Paese più indipendente economicamente».
La sola rimozione delle sanzioni Usa in effetti può fare poco per indebolire la dipendenza della Bielorussia da Mosca: sono le sanzioni europee a vietare il flusso di potassio bielorusso via Lituania verso i porti sul Mar Baltico e quindi verso più mercati.
Tuttavia il disgelo dei rapporti tra Washington e Minsk avviene mentre l’Ue accusa la Bielorussia di aver condotto attacchi ibridi contro la Lituania con palloni aerostatici, che hanno ripetutamente costretto alla chiusura l’aeroporto della capitale. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che per questo l’Ue sta «preparando ulteriori misure» contro Minsk.