Corriere della Sera, 13 dicembre 2025
Intervista a Alexandre Kantorow
Alexandre Kantorow, pianista francese di 28 anni, con la Filarmonica della Scala, diretto per la prima volta da Riccardo Chailly, suonerà il Concerto n 3 di Prokofiev.
Se le dico Argerich?
«Martha! Questo pezzo è il suo cavallo di battaglia. A parte la virtuosità, mi colpiscono il lirismo, il folclore ma anche quando baluginano echi del mondo industriale».
Lei ha vissuto un’esperienza unica, ai giochi Olimpici di Parigi.
«Beh, sì, alla cerimonia d’apertura ho suonato il pianoforte con qualcuno che aveva aperto l’ombrello sopra la mia testa, per proteggermi dalla pioggia».
In questo senso è stata una prima mondiale.
Sorride: «Penso di sì. Ricordo che cominciò a piovere proprio all’inizio della cerimonia. Suonai Jeaux d’eau, di Ravel, la scelta perfetta. Il pubblico era assiepato dall’altra parte della Senna, ero solo col mio pianoforte, e vedevo le imbarcazioni con gli atleti lungo il fiume. Un’esperienza mondiale e intima allo stesso tempo. Ricordo i rigidi protocolli di sicurezza, non potei provare il pezzo lì dove lo suonai, mi ritrovai in una specie di garage. Aleggiava la quintessenza dello spirito francese nell’aiutarsi l’un con l’altro».
Altra esperienza straordinaria, quando vinse il Concorso Tchaikovsky a Mosca.
«Era la prima volta che veniva assegnato a un francese. Avevo 22 anni. La preparazione durò mesi. Il primo round fu terrificante. Non sei tu a scegliere il brano ma chi ti giudica. Eravamo in 25, ci ritrovammo in 7 all’ultima selezione. Suonai il Concerto n 2 di Tchaikovsky perché rispetto al primo, così universalmente conosciuto, potevo avere un approccio più libero. A Mosca dividevo la stanza con il pianista americano che si aggiudicò il terzo premio. Eravamo amici, non rivali».
E dopo la vittoria cos’è successo?
«Tante cose. Concerti, serate di gala. Ho suonato diretto da Valerij Gergiev, che è l’anima della competizione».
Cosa pensa del fatto che non viene più invitato a suonare in Occidente per la sua amicizia con Putin?
«In un mondo ideale non dovrebbero accadere cose del genere. Durante la Guerra fredda, i pianisti russi suonavano abitualmente in Occidente. Ora, con la guerra in Ucraina, c’è una situazione particolare, Gergiev si è dichiarato politicamente, in Russia è una sorta di ministro della Cultura. Sono triste per lui, è un grande direttore».
Quali consigli le diede?
«Nessuno, ma ricordo un lungo concerto, terminato alle due del mattino, so che per lui è la norma, è il Gergiev style, vive di notte, finisce un concerto e subito dopo va a provare un’opera».
Lei è stato definito la reincarnazione di Liszt.
«Un’esagerazione. Liszt aveva due anime: il virtuosismo più sfrenato e l’aspetto intimo, quando smise di comporre, sviluppò la tecnica pianistica, poi crebbe in lui la dimensione religiosa».
I suoi modelli?
«Georges Cziffra, per lo spirito di libertà e di improvvisazione, per una certa innocenza pianistica, e Michael Pletnev che non nasconde le proprie idee dietro lo spartito. Mi piace chi osa, la musica come sfida. I momenti più belli sono quando suonando sparisco e abbandono la razionalità della preparazione».
Lei è figlio di musicisti.
«Mia madre è violinista, mio padre anche, ma è allo stesso tempo direttore. Ha 80 anni, si è ritirato, ha avuto una buona carriera, vuole sottrarsi alle difficoltà fisiche degli anni che passano. Ho suonato con lui da ragazzo, nella mia adolescenza in movimento».
Perché in movimento?
«Ogni quattro anni ci trasferivamo da una città all’altra della Francia, o da una casa all’altra della stessa città. Mio padre ha una passione per le case, i pavimenti, gli arredi, gli spazi. Non riesce a stare fermo nello stesso posto».
È vero che ha studiato astrofisica?
«Solo per alcuni mesi, il tempo di realizzare le connessioni matematiche e in un certo senso mistiche con la musica, e anche il senso della natura e dell’armonia».
Le origini del suo cognome sono polacche?
«Così dice Internet ma è sbagliato: sono ucraine».
E Gergiev lo sapeva?
«I miei antenati vivevano durante l’impero russo, quando era tutto mischiato, russi e ucraini vivevano in pace».