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 2025  dicembre 13 Sabato calendario

Rocco Iannone: Da zero a cento

Dieci show in cinque anni. Quando Rocco Iannone è entrato in Ferrari, non c’era nulla da ereditare se non la storia del brand, gli oggetti che raccontavano decenni di passione per le Rosse di Maranello e un merchandising da riorganizzare. «È stato un percorso complesso – riflette –, molto più difficile che arrivare in una maison con archivio e clientela già esistenti. Ho dovuto interrogarmi, testare, provocare, capire dove trovare un appiglio al mio progetto».
Un lavoro che ha richiesto tempo e coraggio.
«Tu non puoi entrare in Ferrari e non essere consapevole di cosa significhi Maranello e Modena e dell’impatto emotivo di questo brand. Penso alla visita agli stabilimenti di Papa Giovanni Paolo II o a Mick Jagger al volante di una rossa. È molto più di uno status symbol. Il mio passato poi mi ha dato gli strumenti per costruire un progetto coerente con questa storia. In Dolce & Gabbana ho respirato l’artigianalità e la bellezza. Negli undici anni con Giorgio Armani, il patriarca del Made in Italy, ho imparato cos’è la creatività applicata al business. Spesso noi designer ci dimentichiamo che “farlo strano a tutti i costi” allontana le persone. Ma Armani, come Valentino e Versace, sono le icone che sono proprio perché si sono resi comprensibili e se anche le persone non potevano permettersi i loro abiti, comunque li desideravano. E sono diventati popolari senza essere mai banali».
Ha qualche aneddoto sul tema «provocare»?
«Ne avrei tantissimi. All’inizio volevamo dialogare con la Generazione Z, soprattutto asiatica, in un periodo di logomania. Ma Ferrari nasce da un heritage italiano radicato, e interpretarlo con chiavi di lettura giovanili e internazionali fu divisivo: aprire e chiudere le sfilate con top come Maria Carla e Natalia e senza automotive fu scioccante. C’era chi apprezzava il coraggio, chi era sconvolto. Con il tempo abbiamo affinato la conversazione, capito chi era attratto e cosa cercava, perché un progetto creativo deve essere tradotto in oggetto fruibile, prodotto e venduto».
Le è stato dato il tempo di costruire, cosa rara oggi…
«È vero, e di questo sono grato. Oggi gli stilisti vengono selezionati e poi bruciati. Assumere un direttore creativo è strategico: si traccia la visione di un brand. Ma un designer deve anche mettersi al servizio del progetto, reinterpretarlo senza alienare la storia e il pubblico del brand. La giostra delle poltrone comunque è pessima: confonde il consumatore e disaffeziona».
Ma c’è anche troppa «paura creativa» nell’aria, non trova?
«Sì, perché la moda oggi è guidata dal profitto veloce e non c’è una governance chiara. E nel cercare di riposizionarsi tutti hanno voluto “elevarsi” e la classe media è rimasta orfana del prét-à- portér. E questo non va, perché resta il fatto che non è un bene di prima necessità: è un nice to have che porta bellezza e messaggi. È un valore aggiunto al coprirsi per vivere e allontanare la gente non è la strada giusta».
Quanti negozi avete aperto in questi cinque anni?
«Abbiamo ristrutturato quelli esistenti, aperto Miami e nel 2026 lanceremo due flagship importanti a Londra in Bond Street e New York in Mercer Street. L’apertura dei negozi deve essere coerente: bisogna rivolgersi al pubblico in modo umano, costruire relazioni one to one con la community».
Chi sono i clienti?
«I ferraristi sono pionieri, persone che ce l’hanno fatta e cercano eccellenza, uno stile di vita elevato, un’esperienza che rispecchi le loro ambizioni. Viaggiare e parlare con loro è stato il punto di svolta: capire cosa desiderano ha permesso di raccontare il loro universo attraverso Ferrari. Gestire un brand così caldo richiede consapevolezza. Ho capito che ciò che funziona è rappresentare la moda Ferrari attraverso il tailoring, l’artigianato, l’italianità, con codici chiari e un twist creativo. L’esperienza adrenalinica della Formula 1 resta un plus, ma il consenso viene dalla precisione del progetto».
La più grande soddisfazione in questi cinque anni?
«Il 2025 è stato, personalmente, complesso e doloroso con la perdita di mio padre, ma professionalmente straordinario: Beyoncé ha voluto i nostro look sul palco perché ci ha detto “io mi sento una Ferrari”. Significa che il brand è diventato un aggettivo comparativo che significa potenza, energia, forza».
John Elkann è il proprietario: com’è il rapporto?
«È un osservatore lungimirante. Ha capito l’importanza di trasformare il brand in esperienze senza smettere di curare il merchandising. È presente come sigillo di garanzia, ma lascia spazio alla professionalità».
Le manca qualcosa delle sue precedenti esperienze?
«Mi manca il riconoscimento diretto nel mondo della moda, ma sono contento lo stesso: oggi posso interpretare un business a 360 gradi. I creativi devono ascoltare il mercato, che non significa rinunciare alla propria visione ma essere meno narcisisti e prestare attenzione alle persone a cui si rivolgono».
Arriva in Ferrari alla vigilia del Covid…
«Novembre 2019, un periodo titanico. Costruire la filiera moda da un’azienda automotive, dalla produzione al cliente, senza fiducia sarebbe stato impossibile. Nel giugno 2021 il debutto e da allora il team Lifestyle è cresciuto di più del 50 per cento».
Dove vuole «guidare»?
«Beh, voglio guidare fino a che le forze me lo consentiranno, perché amo questo lavoro visceralmente. Decisi il giorno della morte di Gianni Versace: ero in spiaggia, in Calabria, e mi sconvolse Corsi a casa e schizzai un abito, da allora non ho più smesso».
Ricorda quel primo abito?
«Certo: era ispirato alla collezione Atelier di Versace, una gonna gigante con motivi barocchi e un top anatomico. Ho sempre adorato la moda; vengo da una famiglia matriarcale fatta di donne, avevo tutti i prototipi possibili di femminilità fra zie e prozie! Poi rubavo stoffe ovunque per fare abiti alle Barbie delle mie sorelle. La mia insegnante di educazione artistica divenne il mio pigmalione: appassionata di moda, comprava Elle, Vogue e vestiva Jean Paul Gaultier. Vide in me questa passione e mi aiutò a coltivarla. Le devo tantissimo».
Ha una Ferrari in garage?
«Zero. Nessun regalo: voglio sfatare questo mito».
Mai guidata una?
«Sì, certo. Dovevo. Era importante. Ne ho provate due, in circuito a Maranello, una rossa SF90 e una Roma grigia».
Sensazioni al volante?
«Di libertà, di slancio, di energia e di sfida con me stesso: affascinante. Controllo e coraggio».