Corriere della Sera, 13 dicembre 2025
Intervista a Carlin Petrini
Perché Carlin?
«In Piemonte si usa dare il diminutivo. Io l’ho ereditato dal nonno paterno, Carlo».
Cosa sognava da bambino?
«I miei mi volevano in fabbrica. E infatti anziché le scuole medie, ho fatto l’avviamento professionale per poi iscrivermi all’istituto tecnico per meccanici. Ma non era la mia strada: eccellevo nelle materie umanistiche, ero un disastro in quelle tecniche».
E al diploma come andò?
«Me lo sogno ancora. Portai tutte le materie, come si usava allora, ma avevo l’insufficienza in meccanica, tecnologia e disegno industriale. Dopo la prova mi rimase il 5 in meccanica e fui rimandato a settembre. Durante la prova orale, il presidente della commissione mi disse: “Petrini, ci garantisce che non farà mai il perito meccanico?”. E io: lo giuro!».
Invece lo fece: per mantenersi agli studi in Sociologia a Trento, lavorò con suo padre.
«Sì, lo aiutavo in officina e frequentavo le serali a Torino: andavo a Trento solo per gli esami. Erano gli anni delle occupazioni di Boato, Curcio, Rostagno. Lasciai che mi mancavano 4 esami, c’erano troppe cose da fare: a Bra aprimmo il primo spaccio alimentare e fondammo Radio Bra Onde Rosse, che finì 3 volte sotto sequestro».
Carlin Petrini, 76 anni portati con qualche ammaccatura e inedita dolcezza, racconta con occhi brillanti la strada che lo ha portato sulla poltrona ergonomica di presidente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, passando per Slow Food e Terra Madre, fino alla contraddizione più originale: è stato amico di un papa da non credente, e di un re da repubblicano convinto.
Cominciamo dal Papa. Come andò con Bergoglio?
«Gli avevo mandato il libro Terra Madre per ringraziarlo della prima uscita ufficiale a Lampedusa, nel 2013. Poi una sera, mentre ero a Parigi, ricevo una telefonata. Pronto?, sono papa Francesco. E io Carlin Petrini».
Di cosa parlaste?
«Mi raccontò di aver conosciuto Slow Food in Argentina. E mi parlò della nonna, che in piemontese diceva: quando moriamo, nel sudario non ci sono le tasche. Io gli parlai della mia, che al parroco che si era rifiutato di darle l’assoluzione perché avrebbe votato come il marito comunista, replicò con: e allora se la tenga! L’aneddoto lo fece molto ridere; “Se fosse qui l’abbraccerei”, disse. Nella lettera che mi mandò qualche giorno dopo, scrisse che solo ripensarci lo faceva sorridere».
Le chiese l’introduzione dell’enciclica «Laudato si’».
«E mi mandò al Sinodo panamazzonico, in quanto pio, perché provavo pietas per la natura. Non dimenticherò mai quell’esperienza, con gli straordinari vescovi dell’Amazzonia che difendevano gli indigeni contro il capitalismo estrattivo e la distruzione della foresta: erano davvero vicini ai più poveri».
Andò al suo funerale?
«No. Credo che quel funerale non gli sarebbe piaciuto. Noi ci vedevamo 3-4 volte l’anno a Santa Marta. A Natale gli mandavo i tajarin, un anno gli spedii gli agnolotti del plin: ne avevo fatti fare per oltre quattromila persone, che comprendevano le Caritas di Roma, Rieti, Alba, Bra e la Comunità di Sant’Egidio. Li mangiò con burro e salvia».
Ha incontrato Leone XIV?
«No. Ma ho apprezzato il suo richiamo a Leone XIII del Rerum Novarum».
E come è nata l’amicizia con Re Carlo d’Inghilterra?
«Era venuto alla prima edizione di Terra Madre a Torino, 21 anni fa, e da allora siamo diventati amici: ogni anno andavo a Highgrove House o a Clarence House, ha aiutato molto Slow Food Uk».
C’era all’incoronazione?
«Ma no... Dopo il lutto del padre e della madre per tre anni non ci siamo visti. Poi ha organizzato una cena a Highgrove House in omaggio a Slow Food, con il contributo dell’Ambasciatore italiano, e in quell’occasione mi ha chiesto di raggiungerlo prima per il tè. Vedere che mi versava l’acqua dal pentolino mi ha fatto una certa impressione».
E Camilla?
«Gli aveva portato le pastiglie: io e lui siamo fratelli di malattia, abbiamo entrambi il tumore alla prostata. “Meno male che c’è lei che me le prepara”, disse. “Io ho mia sorella che ci pensa!”, risposi».
Chiara. Ha il rimpianto di non aver creato una famiglia?
«No. Più le cose crescevano, più mi sentivo parte di una famiglia più grande. Le soddisfazioni che ho avuto non le cambio con nessuno».
Con Re Carlo vi siete rivisti a Ravenna il 10 aprile, con Mattarella. Cosa vi siete detti?
«Conta di più l’abbraccio che ci siano dati. Mattarella ci guardava sorpreso, il servizio d’ordine era impazzito: tutto fuori protocollo».
Nella sua vita ha incontrato moltissime persone. Chi l’ha emozionata di più?
«Luis Sepúlveda e Pepe Mujica, con i quali ho fatto un bel dialogo sulla felicità a Milano, con duemila persone ad ascoltarci. Con Mujica ci siamo ritrovati da Lula, in Brasile, ad aspettare i risultati elettorali nel 2022. Ci siamo fatti una foto e l’abbiamo mandata al vescovo Pompili che era dal Papa: ci ha risposto con la foto di Bergoglio che guardava il nostro scatto».
È stato Papa Francesco a dire che il piacere è un dono di Dio, per le due funzioni che garantiscono la continuità della specie: il sesso e il cibo. Lei oggi dove trova il piacere?
«Invecchiando, e con la malattia, ho molte restrizioni, ma trovo piacere nelle piccole cose. Non posso bere, ma mi faccio servire il vino solo per sentirne l’odore. Del cibo non rinuncio quasi a niente, purché in porzioni piccole».
La sua madeleine?
«Ultimamente è il sugo al pomodoro che fanno qui all’università, poi il riso al latte che preparavano mia mamma e mia nonna: ho nostalgia».
Nel 2007 è stato tra i 45 membri del comitato promotore del Pd. Si sente deluso?
«Non ho una militanza attiva e non ho motivi per sentirmi deluso. Apprezzo quello che fa Elly Schlein; mettere tutti d’accordo è un’impresa. Ma resto perplesso da questa sinistra che non perde occasione per dividersi, mentre gli altri al momento opportuno sono tutti uniti».
Con Alemanno e con Ghigo è sempre andato d’accordo.
«Ghigo è ancora nel cda dell’università, con la mia amica Luciana Castellina. Alemanno mi ha scritto dal carcere per metterlo in contatto con chi fa gli orti nelle prigioni: ora lo fa anche lui».
Oggi abbiamo un ministero della sovranità alimentare.
«Quando l’ho sentito sono rimasto un po’ allibito. Sovranità alimentare significa lasciare che i contadini decidano da soli cosa produrre».
È allineato a Salvini, quando si dice contrario a farina di insetti e a carne coltivata?
«Io non sono allineato con nessuno, dico quello che penso. Sugli insetti, tante comunità li utilizzano: in Messico mangiano i grilli. E proprio per il diritto alla sovranità alimentare, non posso dir loro che cosa mangiare. Sulla carne coltivata, prima di sposarla voglio vedere come viene prodotta. Ma basterebbe mangiare meno e mangiare meglio: quando ero giovane, si mangiavano 35 chili di carne l’anno pro capite, oggi se ne consumano 95. Questo causa molte malattie».
È mai stato da McDonald’s?
«Non ricordo di averlo fatto. Ma una volta in aereo mi si avvicinò un signore che disse: “Io sono il suo nemico. Sono responsabile di tutti i McDonald’s in Italia”. Risposi che gli ero grato, perché senza di loro non ci sarebbe stato Slow Food. Mi salutò aggiungendo che gli amici li portava nei locali della guida Osterie d’Italia di Slow Food».
È contento del riconoscimento dell’Unesco alla cucina italiana?
«È un traguardo importante, soprattutto se vissuto come un vero riconoscimento di tutte le realtà produttive che attraverso il loro lavoro hanno valorizzato la straordinaria ricchezza del nostro Paese, fatta di biodiversità naturale e gastronomica. In 40 anni come Slow Food abbiamo catalogato nell’Arca del Gusto 1.239 prodotti che rischiavano l’estinzione. Il riconoscimento dell’Unesco è per noi un ulteriore stimolo a continuare su questi progetti».
È vero che non le piacciono gli chef maschi?
«No. Dico che a livello di esposizione mediatica sono molto più potenti gli uomini delle donne. Eppure la storia della gastronomia è stata fatta da milioni di donne che si inventavano i piatti con quello che c’era in casa».
Come è andata la vostra raccolta di firme per l’educazione al cibo nelle scuole?
«Si è un po’ arenata, abbiamo raggiunto mezzo milione. Però sono felice del disegno di legge della Regione Siciliana, portato avanti da Ersilia Saverino del Pd».
A quale riconoscimento è più affezionato? Si va dal «Time», che la inserì tra gli eroi del nostro tempo, alla «Fionda di legno» per le sue battaglie contro gli Ogm.
«A tutti. Alle lauree honoris causa, perché avrebbero fatto felice mia mamma. Ma ammetto che mi ha emozionato vincere il premio Communicator of The Year a Londra».
Ma lei lo parla l’inglese?
«La comunicazione non è solo questione di dominio della lingua! Non posso dimenticare quel viaggio: l’Avvocato Agnelli mi prestò il sio jet privato, Malpensa era chiuso per maltempo».
Con le emissioni, però, come la mettiamo?
«È vero, ma mi stavano aspettando duemila persone e non volevo deluderle».
Tra tutte le cose fatte, di quale è più orgoglioso?
«Dell’università qui a Pollenzo. Abbiamo ristrutturato questo immobile praticamente senza soldi. Il preventivo era di 12 miliardi di vecchie lire e lievitò a 26 milioni di euro. Ma tutte le comunità delle Langhe ci hanno seguito in questa follia, da Harvard sono venuti a studiare il modello».
Quanti studenti sono passati da Pollenzo?
«Quasi cinquemila, da 110 Paesi. Da poco si è iscritta una giapponese, figlia di genitori che si erano conosciuti qui! La prossima primavera partiremo con un corso riservato ai migranti per lavorare in sala nei ristoranti: nessuno vuole fare quel lavoro».
Scusi, ma un migrante come potrà pagarselo?
«Sarà gratuito!».
Pensa mai a quando non ci sarà più?
«Sì, ma spero di aver gettato le basi perché il lavoro continui».