Corriere della Sera, 13 dicembre 2025
Buoi, asinelli, zaini e tradizione. La grande sfida dei presepi che agita il Natale «politico»
Pare accertato, la fonte è Guido Gozzano, che al Caval grigio non ci fosse posto, che l’oste del Moro avesse pieni soppalchi e ballatoi, che nemmeno un sottoscala fosse libero al Cervo Bianco, e che il proprietario del Cesarea magari uno sgabuzzino ce lo avesse, ma poi, ospitarli per niente? L’albergo era già pieno di cavalieri e dame e lui non amava la miscela dell’alta e bassa gente. Come finì ormai è noto ai più, e Giuseppe e Maria, a Betlemme, si accomodarono in una stalla. Che poi uno dice, ma come, pure da una stalla volete cacciarli? Eppure, da qualche anno, con sprezzo del ridicolo, pare essere diventato uno sport, non solo nazionale.
Presepe, dal latino praesepe, o praesepium, che vuol dire recinto per animali, mangiatoia, greppia. Il copyright è di San Francesco d’Assisi, che era stato a Betlemme nel 1222. L’anno successivo chiese il permesso di replicare quel che aveva visto e il primo a negargli una chiesa fu papa Onorio III, perché le rappresentazioni sacre erano in odore di paganesimo, ma gli permise di usare una grotta naturale. Poi, per secoli, non ci furono più problemi. Certo, tra religioni ci si pigliava a mazzate, ma con l’innocente presepe nessuno se la prendeva. Succedevano cose orribili, negli anni bui, compreso il rapimento di infanti ebrei per farli diventare buoni cristiani, e altre religioni non erano da meno, ma non risulta che si dichiarasse guerra al bue e all’asinello. La sfida è conquista recente, con trovate perlopiù patetiche, e difese legittime, ma spesso così roboanti da ricordare le Crociate. Non che poi importi più di tanto a nessuno, perché via San Gregorio Armeno, a Napoli, dove si vanno a comprare i pastori, è come al solito zeppa di persone. Sacrosanto il rispetto per tutte le fedi, a scanso di equivoci, ma insomma, un po’ di buon senso.
Non si salva neanche Montecitorio. Presepe all’ingresso, ma senza il bue e l’asinello. Alfonso Pepe, l’artista campano che l’ha creato, si prende la colpa: «L’ho deciso io, non c’era posto». Ma intanto la politica ci aveva già litigato sopra. A Bruxelles devono averci pensato a lungo, senza dormirci la notte, e così sulla Grand-Place, hanno messo Gesù bambino, Maria e Giuseppe senza volto, assemblati con patchwork di tessuti di vari colori. Obiettivo? «Rappresentare tutte le tonalità della pelle, per permettere a chiunque di vedersi riflesso». Rissa assicurata: «Non dite fesserie, è una concessione all’Islam, perché la Sharia vieta l’iconografia». Silvia Salis, sindaca di Genova, sul banco degli accusati per la guasconata di non fare il presepe nel palazzo municipale per metterci invece un villaggio di Babbo Natale. Roberto Vannacci, in crisi di follower, ha invece deciso di far sapere al popolo che lui il presepe lo porta sempre con sé, dentro il suo zaino militare. Magari accanto agli appunti su cosa sia normale e cosa no, e chissà che effetto avrà fatto a Gesù, che del nolite iudicare ha fatto il suo credo. A Capocastello di Mercogliano, in quel di Avellino, don Vitaliano ha messo nella culla Gesù bambina: «Io non sono contro il presepe, ma lo reinterpreto». A Carate Brianza i canti natalizi con riferimenti religiosi sono stati censurati. A Magliano, in Toscana, a scuola hanno riscritto la recita e «mondato» Jingle Bells dal nome «Gesù». A Chiudunno, in provincia di Bergamo, in una scuola hanno fatto fuori in un colpo presepe, riferimenti religiosi e pure la cometa. Matteo Salvini taglia corto: «Chi non rispetta le tradizioni, fuori dalle palle». Accuse di blasfemia a Senigallia: il volto di San Giuseppe ha sembianze femminili. E c’è stato pure un latitante, che a Galatone, in provincia di Lecce, per nascondersi si è messo a fare la bella statuina nel bel mezzo del presepe. Insomma, scherza coi i fanti, che con i santi ci si scotta.
Arthur Clarke nel 1953 scrisse un racconto: I nove miliardi di nomi di Dio. Monaci tibetani lavorano per trovarli tutti, quei nomi, dopodiché l’umanità e l’universo avranno fine. Ma hanno calcolato che gli ci vorranno quindicimila anni. Allora chiamano due cinici americani, con il loro super computer ci metteranno cento giorni. A cose quasi fatte i due si dicono: meglio squagliarsela nottetempo, chissà come reagiranno i monaci quando vedranno che non succede un accidente. Raggiungono l’aereo e mentre salgono la scaletta danno un ultimo sguardo al firmamento: lassù, senza tanto chiasso, le stelle, una a una, si stavano spegnendo.