Corriere della Sera, 13 dicembre 2025
Braccio di ferro sulle regole per l’Ai. Trump smantella i limiti degli Stati
Dopo aver tentato per mesi senza successo di ottenere dal Congresso una legge che vieti ai singoli Stati dell’Unione di imporre regole locali in materia di uso (e abuso) dell’intelligenza artificiale (Ai), Donald Trump ha ufficializzato lo scontro con gli Stati che hanno già legiferato in questo campo – sono decine, molti repubblicani – firmando giovedì sera l’ennesimo ordine esecutivo presidenziale.
La Casa Bianca diventa, così, il centro della disputa tra aziende dell’Ai che chiedono totale libertà d’azione per competere con la Cina senza vincoli e gli Stati che, in assenza di interventi normativi da parte del Congresso e di organi di governo, hanno cominciato a fare da sé votando vincoli di vario tipo: la California (a guida democratica) ad esempio impone alle imprese che diffondono modelli di intelligenza generativa (anche OpenAI e Google per i loro ChatGPT e Gemini 3) di condurre test sulla loro sicurezza e di rendere pubblici i risultati.
Tre Stati a guida repubblicana, Florida, Arkansas e Utah, sono poi intervenuti per proteggere i minori, gli utenti più vulnerabili, e il lavoro di chi rischia di essere sostituito dalle macchine. Mentre il South Dakota (altro Stato conservatore) vieta la messa in rete di deepfake realistici nei mesi prima delle elezioni.
Nel complesso sono ben 38 gli Stati che hanno già varato un centinaio di leggi sull’intelligenza artificiale. Trump, pressato dalle aziende digitali, ha spinto il Congresso a bloccare questi provvedimenti locali ma nella scorsa estate le Camere hanno bocciato emendamenti di questo tipo inseriti nella legge di bilancio (il famoso «Big Beautiful Bill»). Secondo tentativo fallito in questi giorni: Trump ha cercato di resuscitare il suo emendamento nella legge sulla Politica di difesa nazionale, sostenendo che la libertà da vincoli delle industrie tecnologiche è una questione di sicurezza nazionale.
Respinto in Congresso, è intervenuto con l’ennesimo ordine esecutivo presidenziale che molti, anche in casa repubblicana, prevedono che verrà impugnato in tribunale: secondo molti giuristi, infatti, solo il Congresso può interferire nella potestà legislativa degli Stati. Trump parte da un principio fondato: non si può imporre alle imprese tecnologiche di rispettare, nello sviluppo dei loro prodotti, 50 legislazioni diverse nei 50 Stati. Ma se siamo arrivati a tanto è perché il governo si è rifiutato di introdurre regole anche minime (Trump ha anche abolito quelle introdotte da Biden). Gli Stati si sono così sentiti in diritto di intervenire quando ritengano che i diritti dei loro cittadini sono stati violati.
Ora il presidente cerca di correre ai ripari: chiede ai suoi e ai consiglieri e al ministero della Giustizia di denunciare le leggi locali che incidono più a fondo sulla libertà delle imprese Ai e accusa gli Stati di violare la Costituzione legiferando su una materia di commercio interstatale. Introduce, poi, vari tipi di sanzioni, compreso il taglio di trasferimenti di fondi federali. Al tempo stesso adesso promette di elaborare delle regole minime federali sull’Ai che proporrà al Congresso. Ma deve stare attento: l’autonomia legislativa dei singoli Stati, il loro diritto di tenere a distanza i poteri federali, sono sacri soprattutto per i repubblicani. Che sono di pessimo umore: temono che il peggioramento dell’economia, mentre cala la popolarità di Trump che guarda più all’estero che in patria, faccia perdere loro le elezioni di midterm del 2026.