Corriere della Sera, 13 dicembre 2025
Divisi su sigle pirata e intese col governo: così i grandi sindacati vanno ognun per sé
Due scioperi, due manifestazioni, quattro sindacati: Cgil, Cisl, Uil e Usb. Ognuno per conto proprio, però tutti sulla legge di Bilancio. Ma quando è successo che il fronte sindacale, almeno a livello dei confederali, ha smesso di pensare che l’unità fosse un valore? «La mia generazione – ricorda Cesare Damiano, classe 1948, già leader Fiom Cgil e ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi – ha coltivato il sogno dell’unità sindacale organica. Una stagione superata quando il sindacato è diventato cinghia di trasmissione della politica, dividendo il fronte tra chi stava con il governo e chi no».
Michele Tiraboschi, giuslavorista, erede di Marco Biagi, fornisce una lettura tecnica: «Dal 1995, grazie ad alcune circolari ministeriali, che hanno reso possibile che la maggior rappresentatività possa acquisirsi firmando quanti più contratti, è esploso un mondo di piccoli sindacati che sono andati oltre la «triplice». E così da 300 contratti registrati al Cnel, siamo a mille. Questo ha sottratto centralità e forza ai sindacati principali. Che si sono fatti sfuggire l’occasione di una legge sulla rappresentanza nel 2014».
Un ragionamento, quello della frammentazione sindacale, che Marco Bentivogli, ex segretario generale Fim Cisl, tentato dalla politica, completa individuando il passaggio successivo nello spostamento dei grandi sindacati su posizioni politiche identitarie. «Negli ultimi dieci anni – osserva – il sindacato ha provato a colmare il vuoto lasciato dalla politica, non riuscendoci. Intanto però ha dismesso il proprio ruolo di mediazione, perdendosi dietro alle ambizioni dei propri dirigenti». Il risultato? «I lavoratori non li seguono. Il sindacato è in piena crisi in Italia – prosegue Bentivogli – secondo l’Ocse solo il 15% dei lavoratori è sindacalizzato, meno nel pubblico impiego. Prova ne è che il 2022, anno di maggiore inflazione, è stato quello con meno scioperi nelle grandi aziende degli ultimi venti anni». Concorda Giuliano Cazzola, sindacalista e politico di area centrodestra: «Oggi nessuno fornisce più i numeri degli scioperi perché non funzionano: si parla solo di manifestazioni di qualche successo. Sindacati, come la Cgil, fanno solo politica e la politica a propria volta fa sbagli clamorosi. Come il Pd, che ha “regalato” il rapporto con la Cisl al governo».
Su due punti sono tutti d’accordo. Primo: la disintermediazione, togliendo spazio ai sindacati, ne ha ampliato le distanze. «Mi spiace che il dialogo sociale sia stato interrotto anche da governi di sinistra, come quello di Renzi. Saltare il confronto favorisce una deriva che rompe l’unità sindacale» dice Damiano.
Secondo punto: i tre confederali si dividono sulla politica («l’ultima novità è l’isolamento della Uil», sottolinea Michele Tiraboschi) ma a livello di contrattazione di categoria lavorano ancora insieme. Anche perché, se non lo fanno, come è successo per scuola e sanità, dove la Cgil si è sottratta, restano fuori dal secondo livello di contrattazione. Tuttavia sono marginali in settori innovativi, dove i diritti regrediscono e prevalgono Usb e Cobas. E subiscono la concorrenza di sindacati e associazioni datoriali-pirata che ormai firmano intese al ribasso.