Corriere della Sera, 13 dicembre 2025
Berlino, Roma e Parigi: ecco chi si nasconde dietro il muro del Belgio
La pressione in vista di un accordo per l’uso delle riserve russe a favore dell’Ucraina è oggi tutta sul Belgio. In Belgio che si trovano 185 miliardi depositati presso la piattaforma (privata) Euroclear. Ed è sempre il Belgio ad aver espresso riserve all’uso di quei fondi, temendo di dover rimborsare Mosca se in futuro un tribunale sancisse che il ricorso ai beni è un esproprio (o se si arrivasse alla levata delle sanzioni). Il suo premier, Bart de Waver, se ne è uscito con una metafora audace sui beni di Mosca: «Questo è un Paese con il quale non siamo in guerra – ha detto —. Sarebbe come fare irruzione in un’ambasciata, portare via il mobilio e venderlo».
Accusare il Belgio dello stallo europeo sui beni di Mosca appare dunque facile, ma fuorviante. È più probabile che altri governi oggi si nascondano dietro le obiezioni belghe: Germania, Francia e Italia. Il cancelliere Friedrich Merz vuole senz’altro finanziare l’Ucraina con le riserve russe. Ma la debolezza del suo partito (Cdu-Csu, al 24% in un sondaggio di questo mese) di fronte alla destra estrema di Alternative für Deutschland (al 26%), lo spingono a porre delle condizioni difficilissime in questa partita.
Il prelievo dei beni russi è concepito in modo che la Commissione Ue collochi presso Euroclear un titolo di debito, in cambio del quale Euroclear presterebbe alla Commissione Ue la liquidità delle riserve russe. Con essa Bruxelles finanzierebbe l’Ucraina, come anticipo delle riparazioni che – si ritiene – la Russia sarà condannata a pagare a Kiev. C’è però una clausola tedesca che complica tutto. Merz ha convinto la presidente della Commissione Ue a far sì che il titolo da consegnare a Euroclear sia infruttifero e non rivendibile sul mercato: una cambiale non trasferibile senza interessi.
Quel titolo di debito assumerebbe così caratteristiche tali – zero cedola e invendibile – che Euroclear non potrebbe presentarlo in garanzia alla Banca centrale europea per ottenere liquidità. Eppure per Euroclear accedere ai prestiti della Bce è essenziale per assicurare la propria sopravvivenza, nel caso in cui sia chiamata a rimborsare Mosca. Qualora Euroclear non potesse impegnare quel titolo in Bce in cambio di denaro liquido, rischierebbe il default. E un suo fallimento potrebbe dimostrarsi più devastante per l’Europa del crash di Lehman, perché Euroclear ha in deposito titoli per 42 mila miliardi di euro.
La soluzione sarebbe far sì che il titolo consegnato dalla Commissione Ue a Euroclear fruttasse un interesse o fosse rivendibile, in modo che la Bce possa accettarlo in garanzia. Ma la Germania non vuole. E non vuole perché un titolo che frutti interessi o sia rivendibile assomiglierebbe a un eurobond, che per Merz è un tabù dato che il cancelliere teme l’avanzata della destra antieuropea di AfD.
Poi ci sono i ruoli di Italia e Francia. Il Belgio reclama che tutti i Paesi europei garantiscano pro-quota i rimborsi a Mosca se necessario, in modo che non sia il Belgio stesso a dover eventualmente pagare per tutti. Per questo il Belgio chiede garanzie esigibili, che gli altri governi dovrebbero approvare con leggi votate nei parlamenti. Italia e Francia dovrebbero, entrambi, impegnarsi su circa 25 miliardi di euro ciascuna: non da sborsare, ma da versare solo in caso di escussione delle garanzie. Ma né Giorgia Meloni, né Emmanuel Macron hanno intenzione, per ora, di affrontare l’impopolarità di un passaggio parlamentare del genere.
C’è forse poi un’altra ragione, dietro la freddezza di Roma e Parigi sul piano per le riserve russe. Imprese di entrambi i Paesi hanno attività e beni investiti in Russia e temono il sequestro da parte del governo di Mosca, come ritorsione al piano europeo sulle riserve: dalla francese Total, alle italiane Cremonini, Ferrero o De’ Longhi.