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 2025  marzo 26 Mercoledì calendario

Biografia di Luca Zaia

Luca Zaia, nato a Conegliano (Treviso) il 27 marzo 1968 (57 anni). Politico (Lega). Presidente della Regione Veneto (dal 13 aprile 2010). Già ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali (2008-2010), vicepresidente della Regione Veneto (2005-2008), presidente della Provincia di Treviso (1998-2005). «Io non sono malato di politica: sono malato di amministrazione» • «Siamo trevigiani da 15 generazioni. Prima del ’500, non so. Forse l’origine è dalmata» (a Giancarlo Perna). «La mamma di Luca aveva dieci fra­telli, cui si aggiunsero, morta una zia, sei cugini. Imponente anche la famiglia del padre, fi­glio di un emigrante che fece qualche fortuna oltreoceano e che, tornato a Conegliano, mi­se su la casa dov’è nato Luca. “Avevamo un tavolo di otto me­tri”, ha raccontato, “in cui si man­giava tutti insieme con zii e nonni”» (Riccardo Bruno). «Luca Zaia, qual è il suo primo ricordo? “I profumi delle stagioni. Il fieno, le vacche, il pelo dei cavalli, il latte, le ciliegie che rubavamo. E le vinacce con cui si faceva la grappa”. Famiglia contadina? “No. Mia madre Carmela era casalinga, mio padre Giuseppe, detto Beppo, aveva un’officina. Ho cominciato ad aiutarlo a sei anni e lui mi ha sempre dato la paghetta. Sono stato un bravo meccanico: ancora oggi, se la mia macchina si fermasse, saprei aggiustarla da solo. Tutte le altre famiglie del paese erano contadine”. Quale paese? “Bibano, frazione di Godega di Sant’Urbano, sinistra Piave. Era un tempo lento, scandito da ritmi antichi. […] La natura ci insegnava tutto: la nascita, la vita, la morte… e anche l’educazione sessuale”» (Aldo Cazzullo). «Che bambino è stato? “Ho imparato l’italiano a scuola. Io parlo italiano, penso in veneto. Ero un bimbo che stava sempre fra gli adulti. Forse per questo avevo qualche problema coi coetanei: sono stato anche bullizzato. Ero l’oggetto di scherno, pieno di lentiggini. Venivo pure pestato. Le prendevo e non reagivo. Non sono mai stato un eroe di prestanza fisica. Da bambino mi è pesato. Non frequentavo tanti coetanei”» (Candida Morvillo). «Com’era lei da giovane? “Un incrocio tra l’Emilio di Rousseau e il ragazzo selvaggio di Truffaut. Fumavamo sigarette ricavate dai pistilli del mais, bevevamo acqua dall’equiseto e mangiavamo bacche di sambuco. Da quando avevo 6 anni ho lavorato, tutte le estati finite le scuole, nell’officina di mio padre: risparmiai così i soldi per partire, in quel lontano 1986. Non ero mai stato da nessuna parte”» (Cazzullo). «A 18 anni con altri due amici siamo partiti, con i soldi contati, sulla Due Cavalli di mamma per Marbella, Andalusia: 3.300 chilometri evitando le autostrade per risparmiare. Scrissi un diario. Il mio primo libro, scritto a penna. Lo conservo ancora». «Il ragazzo amava la terra e gli animali. Con l’idea di fare Vete­rinaria, Luca si diplomò in Eno­logia all’istituto Cerletti, rino­mato per la specialità. In “Pro­duzione animale”, cui era spin­to dall’amore per i cavalli, si lau­reò a Udine dopo avere cominciato a Parma. Per mantenersi, aprì diciottenne la sua prima partita Iva. È stato cameriere, uomo delle pulizie, muratore, maestro cavallerizzo, animato­re della discoteca Manhattan di Godega» (Perna). «“Tutto iniziò con la festa di diploma all’enologico di Conegliano. Me ne occupai io, e riuscì benissimo”. Fu così che il diciottenne Luca Zaia […] scoprì di avere notevoli doti di comunicazione. “Mi misi a organizzare feste, anche con due o tremila persone. Così le discoteche mi offrirono di lavorare per loro. Divenni pr, quando le pubbliche relazioni erano agli inizi in Italia”. […] Zaia studiava Veterinaria e reclutava giovani per il Manhattan di Godega di Sant’Urbano, il suo paese nel trevigiano, ma anche per il Diamantik di Gaiarine, il Kolossal di Spresiano o il Desirée a Caorle. […] Per dodici anni Zaia ha battuto la provincia con la sua Citroën 2 cavalli e un’idea vincente. “Gli inviti! Adesso possono sembrare normali, ma allora fecero scalpore. Presi ispirazione dai volantini pubblicitari dei mercati rionali, quelli con i saldi. Non c’erano telefonini, né social network: i ragazzi, dovevi andarteli a prendere uno per uno”. Un’attività redditizia. “Si lavorava solo nel fine settimana: due-tre giorni, e guadagnavi quanto un impiegato. Mica male, e poi conoscevi tutti. Ancora oggi c’è sempre qualcuno che si avvicina e mi dice: ti ricordi di me?”» (Bruno). «Come è diventato leghista? “Gian Paolo Gobbo, uno dei leader storici della Liga Veneta, era un fornitore di attrezzi e faceva proselitismo tra i meccanici. L’ho conosciuto nell’officina di mio padre. Dopodiché, alla fine degli anni ’80 dalle mie parti non si poteva non essere leghisti e un po’ incazzati”. Perché, scusi? “Ricordo un giorno una fila eterna sotto la pioggia alla motorizzazione per la revisione delle macchine. I meccanici trattati malissimo da questi funzionari statali svogliati, arroganti e maleducati. Pensai: ‘Scene così non si devono vedere più’. Poi c’era la questione della lingua”. Volevate che si insegnasse il dialetto nelle scuole? “Volevamo che i professori non ci trattassero come analfabeti perché parlavamo veneto”. […] Quando si rese conto della forza della Lega? “Una manifestazione a Codogné, nel 1990. Protestavamo contro una ‘soggiornata’, una donna di mafia ai soggiorni obbligati. Arrivò Bossi”. Lei rimase folgorato? “È un animale politico. Uno che ascolta le istanze del popolo. La gente dà l’input, lui cerca e trova la soluzione”. Quando lo ha conosciuto meglio? “Gli ho stretto la mano a Pontida, nel 1993. A tavola insieme però ci sono stato la prima volta per la mia candidatura alle Provinciali”» (Vittorio Zincone). «A 29 anni eri presidente della Provincia di Treviso. “L’istituzione Provincia va rafforzata, non è inutile. Io, per esempio, ho fatto un mucchio di cose”. Tra cui l’assunzione di sei asini bruca-erba al posto dei falciatori per pulire le strade. “A Treviso c’è una scarpata di tre chilometri. Falciarla costava 80 mila euro l’anno. Ho pensato di acquistare asini. Costo cinquemila euro, più diecimila per il pastore”. Risparmio secco. “Con effetto emulazione. Oggi anche i privati usano asini per le loro strade”. […] Le strade sono il tuo assillo anche per gli incidenti. Come ammonizione, hai messo i rottami delle auto sulle rotonde. Sadismo? “Treviso aveva il record degli incidenti: 197 morti l’anno. Dagli sfasciacarrozze ho preso i resti delle utilitarie, le più usate dai giovani, e li ho piazzati sulle rotonde. Ho fatto poi uno spot con una ragazza mutilata della gamba. Slogan: ‘A volte si rimane vivi’. Sottinteso: ma ecco come. Ha fruttato: oggi i morti sono 60-80 l’anno”. Poi ti sei fatto beccare a 183 all’ora. Patente ritirata per un mese. “Ho fatto un errore. Settimane di prime pagine. Un polemicone da schifo. Ho fatto mea culpa iscrivendomi all’autoscuola per prendere la patente C, perché, la B, ce l’ho già. Di più non potevo. Vorrai mica che vada a Lourdes?”» (Perna). «Benvoluto da Bossi e discosto dagli intrighi leghisti, a 37 anni (2005) divenne vicepresidente della Regione, di cui era gover­natore il Fi Giancarlo Galan. Un giorno che il capo dello Sta­to, Ciampi, venne in visita, gli sussurrò all’orecchio: “Si ricor­di che il Nord ne ha le palle pie­ne”. […] Gli capitò anche di passare davanti a un’auto in fiamme con il conducente albanese che […] rischiava di saltare in aria. Zaia lo tirò fuori e l’altro gli disse: “Sono un immi­grato, nessuno si fermava”. Questo gesto, spontaneo e nor­male in una persona dabbene, gli procurò fama di leghista non razzista. […] Col quarto governo Berlusco­ni, nel 2008, Zaia diventò a qua­rant’anni minis­tro dell’Agricol­tura e accese la fantasia dei gior­nalisti. Il suo primo atto fu aboli­re ­la tradizionale livrea dei com­messi ministeriali con le code che strusciavano per terra. “Quell’abito era simbolo di servaggio”, spiegò Luca. Poi fece togliere dallo studio le foto dei suoi predecessori al dicastero. “Molti sono già morti”, disse. “L’agricoltura ha bisogno di futu­ro. Metterò le foto dei giovani che si occupano di produzioni di punta”. Con queste curiose iniziative e un dinamismo contagioso, le richieste di interviste fioccaro­no. “Zaia si vende come un fustino di Dash”, gongolava l’addetto stampa. […] Restò al ministero due anni, facendo buone cose. Batté i pu­gni a Bruxelles e sistemò al me­glio l’annosa questione delle quote latte. Poi, profittando del­le Amministrative 2010, si fece eleggere governatore. Lasciò Roma e corse felice nella Sere­nissima Venezia» (Perna). «Il ritorno a Venezia, nel 2010, fu un indubbio segno di forza. Innanzitutto nel centrodestra, dove Bossi, che era ancora Bossi, convinse Berlusconi a far schiodare Galan da Palazzo Balbi, per incarichi ministeriali. Ma anche in casa leghista, dove Tosi si sentiva già un predestinato per la poltrona di Doge, che gli venne sfilata sotto il naso» (Giuseppe Pietrobelli). Eletto per la prima volta presidente della Regione Veneto nel 2010 col 60,16% dei consensi, Zaia fu in seguito confermato nel 2015 (50,08%) e nel 2020 (76,79%). Tra le sue principali battaglie, quella per l’autonomia del Veneto, nel nome della quale sostenne con forza il referendum consultivo del 22 ottobre 2017, contribuendo al successo del «sì» (98,1%, a fronte di un’affluenza pari al 57,2% degli aventi diritto). «È un plebiscito, il trionfo che voleva. Sul referendum per l’autonomia c’è il suo nome, ne ha fatto una battaglia di identità di popolo e i veneti hanno risposto. “È il Big Bang delle istituzioni, è come il Muro di Berlino. E mi piace pensare che a farlo cadere sia stata la mia gente”, […] afferma. […] Per l’autonomia è salito sulle barricate. “Siamo cinque milioni di abitanti, abbiamo 600 mila imprese e un fatturato di 150 miliardi”, ricorda Zaia. “Io credo che Roma dovrebbe portarci rispetto. Chiederemo tutte le 23 materie, i nove decimi delle tasse e il federalismo fiscale”» (Claudia Guasco). Particolarmente apprezzata ed elogiata, non solo in Veneto, la sua gestione della pandemia da Covid-19 deflagrata nel febbraio 2020. «Zaia, quando ha visto arrivare le nuvole della pandemia, ha puntato la sveglia alle 4.30 di tutte le mattine a seguire, è sceso in trincea con la dottoressa Francesca Russo, capo del suo Servizio prevenzione, ha arruolato i medici di base, messo le tende riscaldate fuori dagli ospedali, ingaggiato il virologo migliore, Andrea Crisanti, quello che ha isolato il focolaio di Vo’ e fatto tamponi a tappeto. Risultato: un decimo dei contagiati e un decimo dei morti rispetto alla Lombardia» (Pino Corrias). «Ogni santo giorno, con la pioggia o con il sole e anche nelle feste comandate. Alle 12.30, lui era lì: unità di crisi della Protezione civile, viale Antonio Paolucci, Marghera. La conferenza stampa quotidiana di Luca Zaia, entrata nella storia e nel costume, […] è stata una delle voci più ascoltate nella stravolgente pandemia, una sicurezza nel disorientamento e pure un’ispirazione per gli show, Maurizio Crozza su tutti. […] “Tutto nasce come un’alleanza con il popolo di fronte all’ignoto”» (Marco Cremonesi). «I padri costituenti hanno avuto ragione ad affidare la sanità alle Regioni. Se l’emergenza fosse stata gestita tutta da Roma, la strage sarebbe stata anche peggiore. La lezione è che lo Stato funziona se è federale e se le Regioni hanno l’autonomia. Per questo continuerò a battermi per una maggiore autonomia. È la partita decisiva, e non è affatto chiusa» (ad Alberto Mattioli). Particolarmente dibattuta, in questi mesi, la possibilità che Zaia possa nuovamente candidarsi alla presidenza della Regione Veneto, dal momento che la legge nazionale n. 165/2004 stabilisce la «non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto»: poiché tale norma fu recepita a livello regionale nel 2012 con decorrenza dal 2015, il primo mandato di Zaia (2010-2015) è escluso dal computo, ma le due successive rielezioni consecutive gli precludono, al momento, la possibilità di candidarsi a un quarto mandato (il terzo dall’entrata in vigore della legge), da lui reclamata a gran voce. A suo dire, infatti, quella in vigore è «una legge sbagliata, che limita la libertà dei cittadini. C’è chi sostiene che eviti centri di potere, ma così dà degli idioti agli elettori, che invece a ogni elezione dimostrano di saper premiare o mandare a casa i loro amministratori». «La premier Giorgia Meloni ha ribadito lo stop a qualsiasi ipotesi di terzo mandato e ha anche rivendicato apertamente, per il suo partito, un ruolo di primo piano nella scelta del prossimo candidato presidente in Veneto. […] Il governatore è a un passo dallo strappo a difesa del suo partito in Regione: se non ci saranno deroghe al terzo mandato o se il prossimo candidato governatore non sarà del Carroccio, la Lega veneta è pronta a correre da sola, e lui sarà della partita» (Antonio Fraschilla) • Sei libri, tra cui Ragioniamoci sopra. Dalla pandemia all’autonomia (2021), I pessimisti non fanno fortuna. La sfida del futuro come scelta (2022), Fa’ presto vai piano. La vita è un viaggio passo a passo (2023) e Autonomia. La rivoluzione necessaria (2024), tutti pubblicati presso la veneziana Marsilio. «Ho il mio sistema: detto dei file audio che poi vengono sbobinati. E via. In sei mesi si fa il lavoro. Ma così è tutto molto diretto: al lettore sembra di sentirmi parlare» (a Giovanni Viafora) • Sposato dal 24 luglio 1998 con la segretaria d’azienda Raffaella Monti, conosciuta a vent’anni in discoteca; senza figli. «Mia moglie Raffaella e io siamo una coppia riservata. L’unica mondanità che ci permettiamo è l’inaugurazione della Mostra del cinema di Venezia» • «Sono cattolico, ma non bigotto». «Le piace papa Francesco? “Molto”» (Cazzullo) • Favorevole alla fecondazione eterologa e a una legge sul fine vita. «“Io credo […] che serva una legge per il fine vita, a tutela della libertà dell’individuo”. Se toccasse a lei cosa farebbe? “Personalmente voglio poter decidere la mia sorte in piena libertà di coscienza”. […] “Sogno un impegno politico che protegga i deboli, faccia rispettare le regole della civile convivenza, e crescere la libertà. Da quella di impresa ai diritti civili”». «Non dobbiamo giudicare, ma saper rispettare» • «“Noi siamo la generazione dell’Europa, delle libertà, dei diritti”. Sull’Europa la Lega ha cambiato idea. Bossi sognava di portarvi il Nord; Salvini è molto critico. “Anche io sono critico con la gestione dell’Europa: burocratica, ingessata e autoreferenziale. Ma sono convinto che il nostro orizzonte siano gli Stati Uniti d’Europa”» (Cazzullo) • «I nostri valori, i miei valori sono quelli dell’antifascismo» • «L’autonomia non è né di destra né di sinistra: è solo utile, come già diceva Einaudi nel ’48. Il centralismo è l’equa divisione del malessere, il federalismo l’equa divisione del benessere». «Io cito sempre don Sturzo: “Sono unitario, ma federalista impenitente”» • «Con Bossi che rapporto ha? “Sono distante da Gemonio, non lo vedo mai. Lo chiamo per gli auguri a Natale e al compleanno. […] Io non sono mai stato nel suo clan”. […] E con Berlusconi che rapporto c’era? “Mi voleva bene. Mi manca moltissimo. Mi fece conoscere Gheddafi, Lula, Sarkozy. Un giorno ce l’avevo davanti in un salottino a Palazzo Chigi: mi guardava con un occhio chiuso e il pollice puntato, come a prendere la mira. Mi disse: ‘Stavo vedendo se vieni meglio con le basette o senza’. Quando è morto, mollai le vacanze in mezzo al Mediterraneo e feci una giornata di taxi per raggiungerlo”» (Viafora) • Grande passione per l’equitazione • «Zaia detto “Er Pomata”. “È un’invenzione della Tribuna di Treviso”. La verità è che lei è l’ultimo dei romantici: l’unico uomo d’Italia a usare ancora la brillantina. “Non è brillantina: molte volte è acqua e basta. La mattina faccio la doccia, pettino i capelli e restano ‘impaccati’”. È un look studiato apposta per rimorchiare le ragazze. “Macché! Io ho un problema di contenimento dei capelli ricci. Se vuole vedere Zaia in versione Jimi Hendrix, basta che io non metta il gel”» (Barbara Romano) • «Per me il vestito è come una divisa. Indosso lo stesso abito nelle istituzioni e nelle stalle. E, se è aderente, vuol dire che sono in forma e non devo nascondere la pancia» • «Leghista cosiddetto “tradizionale” (varianti: “doroteo”, “furbo”, “moderato”, “pragmatico”)» (Marianna Rizzini). «Luca Zaia, questo contadino in giacca e cravatta dai modi sempre garbati, […] è l’esatto opposto di Matteo Salvini e delle sue felpe, il leader metropolitano che ha fatto della competizione muscolare il segreto del suo successo, e che anche adesso che è costretto a portare la cravatta per doveri di rappresentanza appena può la slaccia e spara bordate. Salvini, quando parla, eccita i suoi, li trascina. Zaia è un comunicatore, un ambizioso e raffinato testimonial del leghismo buono, non urlante» (Pierangelo Sapegno). «Zaia fa politica con la stessa tecnica e la stessa tenacia con cui faceva il pierre della discoteca Manhattan: dare del tu a tutti, parlare con tutti, parlare di tutto» (Cazzullo) • «Zaia è un equilibrista nato: il nome di Salvini, non lo fa mai. E infatti il governatore scantona dalle domande troppo dirette: la castrazione chimica? “Su questo non intervengo. Ma certo lo stupratore è un delinquente e occorre un inasprimento esemplare delle pene”. Un colpo al cerchio. “L’emergenza migranti? Accoglierli dignitosamente è una questione di umanità”. E uno alla botte. “Ma tutta l’Africa, in Italia, non ci sta: è inutile fare i fenomeni a parole”» (Francesco Gottardi) • «Crede che ci sarà un ripensamento sul terzo mandato? “Non lo so. Vediamo cosa dirà la Consulta sulla legge campana. Io lavoro come prima: ho appena portato a casa le Olimpiadi giovanili del 2028 in Veneto”. […] Cosa vuole fare Zaia da grande? Ministro, presidente del Coni, sindaco di Venezia? “Mai avuto distrazioni di sorta. Ma, quando si porrà la questione, dirò la mia…”» (Concetto Vecchio).