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 2025  marzo 27 Giovedì calendario

Biografia di Attilio Fontana

Attilio Fontana, nato a Varese il 28 marzo 1952 (73 anni). Politico (Lega). Presidente della regione Lombardia (dal 26 marzo 2018). Già sindaco di Varese (2006-2016). Ex presidente del Consiglio regionale della Lombardia (2000-2006), ex sindaco di Induno Olona (1995-1999) • «È da sempre l’avvocato della Varese bene (cioè, quasi tutta Varese)» [Marco Cremonesi, Cds 14/2/2023] • «È stato soprannominato il sindaco in Porsche, per la sua abitudine, nei dieci anni alla guida del Comune di Varese, di arrivare al lavoro con la sua Carrera blu. Ma, anche, il leghista presentabile, quello più di governo che di lotta» [Oriana Liso, Rep 9/1/2018] • «“Preferisco essere considerato un rozzo leghista, piuttosto che uno spocchioso intellettuale”, diceva qualche anno fa di sé. Eppure Attilio Fontana del “rozzo leghista” ha davvero poco. Lui che del Carroccio lombardo è da vent’anni uno dei volti moderati e istituzionali» [Andrea Senesi, Cds 16/1/2018] • Uomo prudente, che non ama le polemiche. «È uno di quei varesini tranquilli, Fontana […] Voce mai alta, marcato accento lumbard, un sorriso che si apre spesso e volentieri su un volto altrimenti serio» [Fabio Massa, Affari Italiani 15/2/2018] • Benché fedele al segretario Matteo Salvini, in realtà è sempre rimasto soprattutto un uomo di Bobo Maroni, anche lui varesotto, cui lo legò un’amicizia durata quarant’anni. «“Con Roberto ho litigato una volta sola”. Racconti. “Sul campo di calcio. Eravamo nella stessa squadra, e lui, che faceva il terzino, fluidificava troppo. Insomma, in difesa non c’era mai”. Ma lei era l’allenatore? “No, ero l’altro terzino, e per colpa sua dovevo correre come un matto per coprire gli spazi”» [Alberto Mattioli, Sta 18/1/2018].
Titoli di testa «Ero convinto che sarei stato tutta la vita in minoranza: ricordo ancora che mio padre festeggiava quando il Partito liberale prendeva l’1,8%. Oggi quando cammino mi dà una grande soddisfazione pensare che una persona su tre che incontro vota come me. Sbircio i sondaggi e tocco ferro».
Vita «Famiglia benestante, padre medico, madre dentista, villa con giardino, gite al lago, buone scuole, una sbandata a destra da ragazzo, poi liberale, infine “leghista prima dei leghisti” o così oggi la racconta» [Pino Corrias, Fatto 13/5/2020]. Figlio unico, dopo il liceo classico, sceglie la carriera di avvocato. «Tra i successi professionali, da ricordare la vittoria contro Michele Santoro per “diffamazione a mezzo televisivo” per le falsità attribuite all’associazione vicina alla Lega “Terra Insubre” a Varese» [Senesi, cit.]. «È vero che nel suo studio si facevano le fotocopie agli albori della Lega Nord? “È una leggenda metropolitana. Ma è vero invece che c’ero fin dagli albori del movimento perché io sono stato il primo difensore della Lega, prima ancora che nascesse la Lega”. In che senso? “Nel senso che c’era una associazione culturale che si chiamava Scedno. Società cooperativa editoriale del Nord-Ovest. Era una associazione culturale che editava un giornalino. Io ero amico di Maroni, per cui quando avevano delle grane con i padroni di casa magari si rivolgevano a me. Tanto è vero che Bossi mi fece la prima proposta di candidatura nel 1987, quando lui venne eletto al Senato”» [Massa, cit.]. «Nel 1987 Bossi mi chiese di candidarmi, ma rinunciai. Poi nel ’92 Maroni mi chiese di fare l’assessore, ma la mia risposta arrivò troppo tardi. Finché nel 1995 venni presentato a Induno e diventai sindaco». Nel 2000 l’ingresso nel Consiglio regionale lombardo, di cui fu eletto presidente. «Nel 2006, quando era presidente del Consiglio regionale della Lombardia, al suo secondo mandato, Fontana era impegnato a portare a termine un compito che considerava storico. La riscrittura dello Statuto della Regione. Ci era quasi, aveva messo tutti d’accordo. Ma un suo compagno di partito, Ettore Albertoni, era destinato a concludere quella storia. Perché nel frattempo a Varese, la sua città e soprattutto la città natale della Lega, il sindaco Aldo Fumagalli, un fedelissimo di Bossi, finì sotto inchiesta per uno scandalo “rosa”. La roccaforte era in pericolo: lo stesso Bossi insieme a Maroni chiese a Fontana il grande sacrificio. Lasciare la Regione, lasciare Milano per tornare a casa e garantire la riconquista del Comune commissariato. Si trattava di un profilo giusto, per la Lega, ma anche di un volto rassicurante per la città: Fontana è un avvocato molto conosciuto a Varese, uno di quelli che contano a prescindere dall’incarico politico. […] Fontana è rimasto dunque per dieci anni un sindaco pragmatico. E lontano dal folklore dei sindaci-sceriffo. Se si voleva cercare una città leghista senza ordinanze shock e senza strisce pedonali verdi bastava andare a Varese, dove tutto era cominciato. Dove esiste ancora la primissima sede aperta da Bossi negli anni Ottanta, prima del trasferimento a Milano di tutto il potere del partito. Una Lega che lì è stata quasi democristiana. Questo non ha impedito però a Fontana di entrare in rotta di collisione, su alcuni temi trasversali, coi vertici del partito. Non solo il sindaco non è mai entrato nel “cerchio magico” bossiano, ma, quando il governo di Berlusconi-Tremonti ha iniziato la pratica dei tagli lineari ai Comuni, lo ha contestato. Anche nei panni di presidente lombardo dell’Anci, in cui è stato apprezzato non solo dai colleghi di centrodestra. Memorabile, in questo frangente, uno scontro con l’allora ministro Roberto Calderoli» [Alessandro Franzi, Linkiesta 9/1/2018]. «Nel 2011 l’Anci critica la manovra Tremonti per l’Imu e per le tasse locali: i sindaci organizzano una protesta a cui Fontana aderisce, e la Lega lo induce prima alla retromarcia poi alle dimissioni dall’associazione. “Mi sono trovato mio malgrado di fronte a un bivio”, ammise lui, che quella volta scelse la fedeltà al partito. La ribellione gli valse comunque l’ostilità di Umberto Bossi e del suo cerchio magico (ma non quella del suo antico mentore Maroni)» [Senesi, cit.]. «Dieci anni dopo il ritorno a Varese, Fontana ha lasciato la città senza eredi. La Lega nel 2016 ha perso dopo 23 anni la guida del Comune, passata a Davide Galimberti, Pd. Fontana si è eclissato. Maroniano per amicizia e consuetudine, non è mai stato particolarmente salviniano. Anzi, con il giovane e arrembante segretario della Lega i rapporti non sarebbero stati buoni sin dall’inizio. Troppo distanti, i due, per temperamento, anagrafe e approccio alla politica. Ma un anno e mezzo dopo è stato Salvini a doversi avvalere delle doti di Fontana come uomo che arriva a risolvere i problemi» [Franzi, cit.]. Quando, infatti, nel gennaio 2018 Roberto Maroni annunciò di non volersi ricandidare «per motivi personali» alla presidenza della Regione Lombardia, il governatore e il segretario federale fecero immediatamente il nome di Fontana quale successore designato, riuscendo a farlo rapidamente approvare anche dagli alleati del centrodestra. «L’ex sindaco di Varese […] mai si sarebbe immaginato di essere il candidato del centro-destra tutto, Parisi e centristi compresi, per la Regione Lombardia. E però, era già pronto, con tutte le credenziali in ordine: […] la barba fatta come piace al Cavaliere, la Cinquecento da campagna elettorale, in stile Meloni, e la Russia e Putin, così cari a Salvini: Fontana era pronto per l’uso fin da prima del primo giorno. […] “Anche se io non immaginavo nulla, da un anno e mezzo ero tornato a lavorare nel mio studio legale e a vivere la Lega solo come militante. Pensavo che al massimo mi avrebbero candidato in Senato. Invece il 28 dicembre mi telefona Salvini: ti devo parlare, però a voce. Io ero in vacanza a San Pietroburgo, la città di Putin. Torno e, ai primi di gennaio, la notizia: Bobo non si ricandida, in Lombardia tocca a te”, sentenzia il segretario. […] “Ho smesso di fare il sindaco più di un anno fa [nel 2016 – ndr] e poco dopo mi sono tagliato la barba perché mia figlia minore diceva che stavo male. Solo che poi non mi ha più fotografato nessuno: così il taglio è parso fatto apposta per la candidatura, ma non è così”» [Giulio Bucchi, Libero 28/1/2018]. Grande rumore, pochi giorni dopo l’ufficializzazione della sua candidatura, per una frase da lui pronunciata durante un intervento a Radio Padania Libera, a proposito di immigrazione: «Noi non possiamo accettarli tutti. Perché se dovessimo accettarli tutti vorrebbe dire che non ci saremmo più noi come realtà sociale, come realtà etnica. Perché loro sono molti più di noi, perché loro sono molto più determinati di noi nell’occupare questo territorio. […] Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se la nostra società dev’essere cancellata». Poco dopo lo stesso Fontana definì tali parole «un lapsus, un errore espressivo», ma fu comunque da più parti (a cominciare dal suo principale avversario, il democratico Giorgio Gori) imputato di razzismo, senza tuttavia perdere il sostegno del centrodestra. «“È stata un’espressione infelice, ma ascoltando tutta la frase si capiva che il mio non era un discorso razzista ma logico. Tant’è che, dopo, nei sondaggi sono salito, e più di una persona mi ha fermato per strada per spronarmi ad andare avanti e non mollare. La gente è stanca del politically correct e di sentirsi dire come deve parlare e pensare dai soliti benpensanti che credono di essere i soli a conoscere la verità e ciò che è giusto o sbagliato nel mondo”. Come la riformulerebbe oggi? “Userei l’espressione ‘popolo italiano’ al posto della parola ‘razza’. Ma guardi che quello scivolone ha fatto sì che il mio ragionamento venisse compreso immediatamente da tutti. E poi, c’è da ammettere che ha risolto in un secondo il problema di farmi conoscere”. L’ha fatto apposta, ammetta. “Non ho uno staff della comunicazione tanto diabolico da inventarsi una cosa simile. E poi la gente lo sa: non sono razzista e non mi sarei mai fatto volontariamente pubblicità in questo modo”» [Bucchi, cit.]. «Quella frase è stata un errore. Non la ripeterei nemmeno per diventare presidente della Repubblica» [a Mattioli, cit.]. Il 4 marzo 2018, la sua vittoria fu più ampia del previsto: Fontana fu infatti eletto presidente della Regione Lombardia con il 49,75% dei consensi, distaccando di oltre venti punti percentuali Gori, fermo al 29,09% • «Purtroppo per il sughero di Varese, che avrebbe continuato a galleggiare tra appalti e identità antirisorgimentale, è arrivata l’onda anomala del Covid-19, insieme con il naufragio anche psicologico di Salvini sulle pupe del Papeete. Sapendo poco o nulla di emergenza, ha sbagliato i consulenti scientifici, si è fidato dei sorrisi di Giulio Gallera, l’assessore alla Sanità, e addirittura di Guido Bertolaso richiamato dal Sudafrica per riprendere il filo dei suoi trionfi. Risultato: 80 mila contagi, 15 mila morti, la metà di tutta Italia. Un record» [Corrias, cit.] • «La pandemia si è abbattuta sulla regione top e anche sulla sua testa, adesso non basta andare a Lodi al bar con il “paziente uno” Mattia Maestri, “grazie a lui siamo riusciti a far partire l’allarme in tutto il Paese, in tutta Europa”. Maestri ci ha quasi lasciato la pelle, sappiamo come è andata nel resto della regione» [Brunella Giovara, Rep 25/9/2020] • Criticatissimo. Il centrodestra lombardo è accusato di aver smantellato la sanità pubblica per favorire quella privata. Alla sua prima conferenza stampa con la mascherina, Fontana è accusato di diffondere allarmismo. «Si era coalizzato un mainstream sconcertante. Non si era mai visto che in presenza di un evento così drammatico invece di scattare la solidarietà…» • «Attilio Fontana è un sughero che ancora galleggia, nonostante i molti disastri che assediano la sua Regione, e forse anche il suo sonno, vista la quantità di bare che da tre mesi di pandemia fuori controllo transitano, nottetempo, dentro i telegiornali, prima della buonanotte. Errori, improvvisazione, confusione. Corto circuito tra i reparti ospedalieri assediati dai malati, e smaltimento nelle Residenze per anziani. Molta impreparazione, tamponi insufficienti, nessun controllo digitale dell’infezione. Zone rosse chiuse con ritardo. Naufragio clamoroso della pluripremiata Sanità Lombarda, “quella che il mondo ci invidia”, in verità costruita sulla sabbia che il Celeste Formigoni, signore illibato della cattolicissima Comunione e liberazione, portava alla fine di ogni estate passata a scroccare vacanze sarde, bagni e aragoste. Tutto sul conto spese della sanità privata, finanziata con soldi pubblici a fin di bene, il suo. Chiaro che a forza di tagliare letti e reparti, il castello longobardo dei nuovi feudatari non poteva reggere l’emergenza e infatti la sabbia è scivolata negli ingranaggi. Ma quando gli Ordini dei medici della Lombardia – chirurghi, primari, medici di base – hanno denunciato i molti errori della Regione, Attilio Fontana invece di cospargersi la mascherina di cenere, fa sapere che quel documento tecnico in realtà era “propaganda politica”, cioè a dire comunista, non di leale collaborazione, come lui si aspettava “in un frangente tanto drammatico”. Ne era dispiaciutissimo, anzi così tanto addolorato da non degnarsi di rispondere. Un sughero» [Corrias, cit.] • Ma non sono solo i giornali a prenderlo di mira. Fontana viene coinvolto in una serie di inchieste: per i camici forniti alla Regione durante la pandemia dal cognato, per uno scudo fiscale sull’eredità di 5,3 milioni illecitamente detenuti in Svizzera dalla madre, prima ancora per una consulenza regionale assegnata a un suo ex socio di studio legale. «La palla di neve che dall’aprile-maggio 2020 rischiava di rotolare sino a diventare valanga» [Luigi Ferrarella, Cds 13/5/2022]. «E niente, non si riesce a stargli dietro. Questo Fontana è un’iradiddio: spara più balle delle macchinette automatiche lanciapalle con cui si allenano i tennisti» [Marco Travaglio, Fatto 30/7/2020] • Tra il 2020 e il 2023 verrà prosciolto in tutti e tre i processi, «un en-plein assolutorio con pochi precedenti» [Ferrarella, cit.] • Nonostante tutto, e con un astensionismo ai massimi storici, alle regionali del 14 febbraio 2023, viene rieletto con il 55% delle preferenze. Pierfrancesco Majorino, candidato del centrosinistra, si ferma al 33,93%; Letizia Moratti, di Azione e Italia Viva, non supera il 9,87% • «Non ci credo, non ci credo…», sono le sue prime parole da presidente riconfermato. La sua rielezione era pronosticata da tutti i sondaggi, senza eccezioni e con ampio margine. Ma nessuno si immaginava che sarebbe andato addirittura meglio della prima volta. «È la rivincita di Fontana. Contro tutti: contro gli avversari, e va bene. Ma anche contro alcuni pronostici e contro chi negli ultimi anni ha cercato di mangiarselo vivo. Forse un po’ anche contro il suo stesso partito, la Lega, che, come racconta un suo amico di Varese “in lui ha creduto a intermittenza”. Persino contro quella bufera rappresentata dal Covid. Ma, anche, contro “la Signora”, Letizia Moratti, che lui da tempo ha smesso di nominare. Il fatto di essere stata la sua vice per anni prima di candidarsi contro di lui sarebbe stato quasi perdonabile. No, quello che davvero Fontana – al fondo, un gentiluomo della provincia profonda – ha fatto più fatica a digerire è stata l’accusa di aver mancato alla parola data quando, secondo il racconto di Moratti, lei fu chiamata nella giunta regionale con la promessa di “un passaggio di testimone” al termine del mandato di Fontana. E così, quando lei ieri lo ha chiamato per congratularsi, lui non ha risposto: “Ma no” dice lui “non c’entra nulla. Avevo lasciato il telefono a un collaboratore e appena ho visto il suo messaggio ho provato a richiamarla. Ma a quel punto non ha risposto lei. D’altronde è stata una giornata convulsa. Bella ma convulsa”» [Cremonesi, cit.]. Unico problema: all’interno del centrodestra i rapporti di forza sono cambiati: la Lega ha il 16%, Fratelli d’Italia arriva al 25% • Il ministro del Turismo Daniela Santanché si materializza davanti al governatore appena riconfermato e, a davanti alle telecamere, gli dà un bacio. Un clima ben diverso rispetto alla vigilia, quando la Pitonessa lo aveva messo in guardia sulla spartizione dei posti nella futura giunta. «Abituati a noi… Siamo il primo partito anche in Regione Lombardia». I Fratelli d’Italia vogliono otto assessori e Romano La Russa, fratello di Ignazio, alla vicepresidenza della regione. Il governatore taglia corto: «Valuteremo a bocce ferme. Per ora mi concederò 48 ore di vacanza» • Il nuovo Consiglio regionale si riunisce per la prima volta il 15 marzo. «Presidente dell’assemblea viene eletto Federico Romani, figlio dell’ex berlusconiano Paolo. […] Vittorio Sgarbi è riuscito a strappare un seggio, anche se ancora non gli va giù quella storia dell’assessorato alla Cultura: “La Ronzulli riteneva che i miei titoli non fossero sufficienti. È colpa sua”. Ci vorrà qualche ora perché i due facciano pace. In quel momento una signora si avvicina a Sgarbi: “Ciao Vittorio! Noi ci siamo conosciuti tanti anni fa, ti ricordi? Ero amica di Gianni Castellaneta”. “Ah, l’ambasciatore. È morto?” (spoiler: no). Pierfrancesco Majorino si gira e trova Sgarbi con in mano un libro di Tiepolo, pittore del Settecento veneziano: “Vittorio, questo devi fare. A te t’ha rovinato la politica…”. Quando si parla di palazzi del potere Sgarbi è un’autorità: “Be’, il Parlamento è più bello, ha i soffitti più alti, è più solenne. Qui però può darsi che la compagnia sarà migliore»” […] Dal Consiglio passa Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini finito invischiato nel pasticciaccio dell’hotel Metropol […] Poi c’è Giulio Gallera, un altro che ce l’ha fatta: “Ho fatto una campagna contro corrente”, si sfoga con un collega. Non era stato eletto, ma l’ingresso in giunta di Gianluca Comazzi lo ha fatto ripescare in Consiglio, dove dovrà sopportare ancora per qualche anno il pensiero di Guido Bertolaso nel suo caro vecchio ufficio di assessore al Welfare. Poco male, ché già esser qui è un successo. Gallera abbraccia tutti, pianifica corsette e camminate, insomma è un bel sospiro di sollievo. Ma il vero vincitore della lotteria è Jacopo Dozio, 31 anni, poltrona da consigliere agganciata grazie ai misteri della legge elettorale, visto che gli sono bastate 93 preferenze con la lista Fontana. Per questo Dozio è in evidente stato di grazia, non lo tiene più nessuno, ormai parla solo di miracoli: “Mi piacerebbe arrivare al completamento della Pedemontana […] Vittorio Feltri, eletto con Fratelli d’Italia, alle 10.58 si concede un bianchino alla buvette. Ha l’aria di chi è appena tornato da un safari. I cronisti lo assediano, lui non molla la presa sul bicchiere. “Direttore, una prima impressione?”. “Ne ho già le palle piene”» [Lorenzo Giarelli, Fatto 16/3/2023].
Amori Sposato in seconde nozze con Roberta Dini, tre figli (Maria Cristina, Giovanni, Marzia). «Lei, Roberta, ha un curriculum di tutto rispetto: arriva dalla famiglia che ha fondato Paul & Shark a Varese nel 1975, marchio conosciuto in tutto il mondo. Una storia di famiglia che parte molto prima, negli anni Venti, grazie a Gian Ludovico Dini, che con la società Dama spa produceva tutto, dal filato alle scatole utilizzate per confezionare i capi, destinati anche alla moda internazionale grazie a collaborazioni prestigiose con Christian Dior e Balenciaga. Roberta Dini Fontana, molto semplice, di classe, mocassini e maglione, è nipote del famoso architetto Claudio Dini e cugina di Francesco, noto manager. Ora in azienda (che esporta il 90% all’estero) c’è la terza generazione ma non più Roberta, liquidata anni fa» [Paola Bulbarelli, Foglio 11/3/2018].
Religione È cattolico? «Per metà. Perché per l’altra metà sono laico…» [Massa, cit.].
Curiosità Milanista • Grande tifoso della Pallacanestro Varese • Gioca a tennis e a golf • Appassionato di montagna • Ama la buona tavola e il buon bere • La Porsche Carrera l’ha venduta • Già avvocato di Renato Pozzetto («Oggi mi segue sua figlia, che è bravissima») • Film preferiti: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri e C’era una volta in America di Sergio Leone • «Ho un unico merito: quello di essere estremamente determinato» • Il suo ufficio a palazzo Lombardia, «forse uno dei più belli d’Italia, circondato da tre lati su quattro da vetrate con vista sul Monte Rosa che sembra di poterlo toccare» [Cremonesi, cit.] • Prima del Covid era stato in vacanza in India e in Giordania • Nel marzo 2019 si era opposto all’ingresso dei sauditi nel consiglio di amministrazione della Scala di Milano • Innamorato della Russia. «È un luogo del cuore per me. Nel 2003 ci andai come presidente del Consiglio regionale. Dovevo solo fare un intervento, poi ho visto Putin e ho attraversato tutto il salone per stringergli la mano. Lui non sapeva chi fossi. Mentre correvo verso di lui pensavo: speriamo che un cecchino non mi faccia secco. Però l’obiettivo era troppo ghiotto, e ho rischiato».
Titoli di coda Nel 2022, alla morte dell’amico Bobo Maroni, gli intitolò la sala della giunta di palazzo Lombardia. «Se devo trovargli una descrizione, dico che è stato il miglior gestore della cosa pubblica: da governatore, da ministro. È stato il più bravo di tutti» [Massa, cit.].