7 aprile 2025
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Biografia di Francesco Merlo
Francesco Merlo, nato a Catania l’8 aprile 1951 (74 anni). Giornalista • Ha scritto per L’Ora di Palermo, per La Sicilia di Catania, per il Corriere della sera (per 19 anni, di cui 13 da corrispondente a Parigi) • Dal 2003 è a Repubblica, dove fa l’editorialista e dove «ogni mattina tira sganassoni micidiali a destra e a manca nel rispondere ai lettori della Repubblica che lo stuzzicano sull’uno o sull’altro personaggio» [Mughini] • «C’è chi lo chiama “l’Indignato speciale”, per quel tratto rigorista e un po’ velenoso della sua penna feroce. Per altri rimarrà sempre “il Maestro di Parigi”, il bon vivant che sa quale champagne consigliare a un gentiluomo per le diverse occasioni della giornata e che riconosce i filati di cachemire». [Guida Bardi, 2024, il Centro].
Titoli di testa «Mio padre era convinto che esistessero solo tre autorità in Italia: Il Papa, Il Procuratore Generale e il Direttore del Corriere della Sera. Uno dei miei fratelli ha fatto il magistrato, io l’inviato del Corriere» [ibid.].
Vita «Il nonno materno, Rodrigo Buonocore, è stato sindaco del comune di Castiglione di Sicilia negli anni 30, mentre il nonno paterno, Gaetano Merlo, fu segretario comunale negli anni 20 e 30. […] Il padre, avvocato Salvatore Merlo, sposò Anna Buonocore e si trasferì a Catania nell’immediato dopoguerra, dove fu cofondatore del quotidiano La Sicilia» [CataniaToday] • La dedica del suo libro Sillabario dei malintesi è per sua madre, Anna detta «Nennella» • I genitori di Merlo si sposarono nel 1946, anno del referendum per scegliere tra repubblica e monarchia. «Papà, che era di destra, il 2 giugno 1946 votò per la repubblica. Mamma, che era di sinistra, votò per la monarchia. Un giorno, a tavola, mentre rompevamo le noci con le mani, papà disse che mamma l’aveva fatto “perché la monarchia è il libro di tutte le favole”, e mamma spiegò che papà aveva scelto la repubblica perché “tra il nemico e il traditore aveva preferito il nemico”. Mamma, che nella sua lunga vita ha quasi sempre votato comunista, precisò con un sospiro: “Io che il brav’uomo l’aveva sposato e il gentiluomo l’aveva perduto”. Suo marito, prima avvocato di paese e poi direttore di tipografia, era il brav’uomo, repubblicano di destra. Il gentiluomo, monarchico e socialista, era suo padre, nonno Rodrigo, nobile napoletano barbuto e con un occhio di vetro, che era morto nel 1942, durante la guerra ma non in guerra, dopo una vita avventurosa, libertina e magari affascinante, certamente dispendiosa. Quando voleva rimproverare a mia madre una qualche spesa di troppo, papà parlava di questo nonno. Cominciava dicendo che aveva le mani bucate, poi che aveva sperperato almeno tre patrimoni e infine che aveva il fallimento nel sangue e che non sarebbero bastate tre generazioni a guadagnare quello che lui da solo aveva sprecato. Quando litigavano era come nelle opere liriche» [da Il Sillabario, come tutte le lunghe citazioni che seguono] • «Ho molto studiato le foto del nonno Rodrigo. […] Una corporatura e un accenno di pancia da signore nato, la barba riccia e completamente bianca, “altero per istinto il portamento”, l’occhio di vetro e la faccia larga e forte, malinconica, che sembra ripetere con ostinazione il giuramento di non voler essere felice. […] Era arrivato nel paese di Castiglione di Sicilia in un pomeriggio di novembre, perché aveva ferito, o forse addirittura ucciso, un uomo a duello; era stato condannato all’esilio e mandato in Sicilia dove, per intercessione del sindaco e dell’arciprete, gli avevano trovato moglie. Aveva sposato una ricchissima donna di paese, fredda, infelice, taciturna, di nome Maria. Questa signora, piena di terre e di merletti, aveva rinunziato al matrimonio d’amore, ma pregava tanto e a testa alta perché Dio la rendesse madre. Era il suo unico interesse. Non si curava, invece, dei feudi e dei palazzi che aveva avuto in eredità e si lasciava tranquillamente spogliare dal nonno che, del resto, lo faceva con eleganza circondandola più di rispetto che di affetto. E con rispetto, spegneva la luce e la metteva incinta, proprio come lei voleva. Ma attorno alla decima settimana le venivano forti dolori al ventre, febbre alta; cadeva per terra ed espelleva il feto. Sempre senza un lamento, povera nonna. Conservava i suoi aborti dentro barattoli di vetro che teneva nascosti in soffitta come i fiori secchi tra le pagine dei libri. Rischiava la vita, ma non si arrendeva e, quando sentiva di avere l’ovulazione, si aggrappava al marito che la fecondava. E così avrebbe continuato sino alla fine se il nonno, la cui barba intanto si era appunto fatta tutta bianca, non le avesse un giorno portato una bambina, riuscendo persino a non ferirla nell’orgoglio. Aveva il nome di una giovanissima fanciulla che, due mesi dopo il parto, era morta d’infezione. Era mia madre, figlia abusiva, non autorizzata, senza biglietto d’invito. […]. Mio padre, sotto sotto, amava questa storia, anche se del mondo di mio nonno disprezzava l’estetica da sogno che invece seduceva mia madre: le sciabole e i lampadari, il bel portamento, il tintinnio dei cristalli. “A te piacciono troppo i lampadari”, le diceva […]. Mia madre li aveva ereditati insieme a qualche mobile di legno prezioso intarsiato, lampadari luccicanti e splendenti che pendevano dal soffitto proprio sopra la testa di papà, a ribadire una meravigliosa identità, la luce per diritto di nascita. A mio padre piaceva che il nonno fosse stato socialistoide. […] benché lui fosse figlio del segretario comunale, un uomo delicato che aveva avuto il torto di morire troppo presto, lasciando alla vedova il carico di sei figli (altri tre erano morti). Allevato da due zii preti, mio padre annuiva quando mia madre spiegava che la nobiltà del nonno significava l’onore della parola data, il rispetto per gli avversari e i nemici, la generosità fatta di bei gesti, qualche volta estremi, il coraggio come sentimento di purezza spinto sino al coraggio di aver torto. […] La monarchia per cui voto la mamma era sì la voglia di unità nazionale, ma era anche la voglia di uno stile, lo stile del nonno, che mio padre, pur privo di una sola goccia di sangue blu, pensava, senza spocchia, di possedere e non di aver avuto in dote» • «Da ragazzo, passava i pomeriggi in tipografia, alla Sicilia, dove il padre, Salvatore, era entrato come correttore di bozze e ne era uscito da amministratore unico» [Foglio]. «I tipografi sono stati i miei primi maestri» • «Ho davanti agli occhi Radames, il tipografo figlio di un melomane che, con la sigaretta in bocca e le manone nere, impaginava il mio giornalino: l’Aquilone. Il primo numero uscì nel 1961, l’anno del centenario dell’Unità d’Italia. Ero in quinta elementare e avevo dieci anni. Firmavo l’articolo di apertura: 1861-1961: abbiamo fatto l’Italia parlando male di Garibaldi» • «Per uno dei tanti giornalini scolastici che ho inventato preparammo, non nello stesso numero, due inchieste: Monarchici in famiglia e Onanismo segreto. Andavamo in giro col taccuino per stabilire quanti, come me, avevano almeno un genitore che aveva votato monarchia. Con l’altra inchiesta compilammo invece la classifica dei masturbatori, veri o presunti. Vinse L.V.: sette volte al giorno» • Andava a scuola con il suo vicino di casa Carlo Alberto, il primo della classe. Diventarono amici, e «lo saremmo ancora se non fosse morto di Aids, a Pinerolo, quando aveva solo trent’anni. Finché rimase in Sicilia frequentai la sua casa e la sua famiglia. Devo a suo zio Antonio, un comunista che libro su libro e conversazione su conversazione formava comunisti, la lettura del Manifesto di Marx ed Engels: ce la giocammo a carte, in una partita a scopa che vinse grazie al settebello. Era il 1964, io avevo tredici anni e lo zio Antonio ventidue». Fu sempre Carlo Alberto a fargli leggere i libri sulla guerra partigiana • «Ero bambino negli anni del rotocalco […]. Appartengo alla generazione del Sessantotto, quella che cominciò presto a comprare libri, a rate, a credito, a peso, Mondadori, il Saggiatore, Einaudi, ma poi soprattutto Adelphi […]. Divoravamo libri, dunque. […] E diventammo tutti fotografi. Io attrezzai lo scantinato e ne feci la mia lavorò oscura: bacinelle di acidi, carta lucida, luci rosse» • Durante gli anni del ginnasio lavorava come correttore di bozze • Ancora molto giovane, inizia a scrivere sul quotidiano del pomeriggio Espresso Sera, giornale di cronache siciliane. Il capocronista era Giuseppe Fava, detto Pippo, che fu ucciso dalla mafia • Nel 1973 si trasferisce a Milano per studiare Filosofia all’università. «Sognavo lo smog, avevo la sciagurata voglia di inalarlo a pieni polmoni. Al punto che il giorno in cui – credo nei primi anni settanta – a seguito della eruzione vulcanica, per la prima volta erano apparse le scritte “Forza Etna”, noi ragazzi che volevamo distruggere l’estetica e l’etica del sottosviluppo avevamo replicato scrivendo sul muro del porto, preso a simbolo di tutti i muri della Magna Grecia di mare e di vento: “Forza smog”» • «Andai a vivere in un piccolo appartamento alla fine di viale Monza, quasi a Sesto San Giovanni, metro Precotto. L’intero palazzotto di quattro piani era un alveare di miniappartamenti gestito da un vecchia portiera pugliese che si chiamava donna Carmela. La strada era via Val di Non. Abitavo al secondo piano. Di fronte a me un altro giornalista squattrinato e in cerca di lavoro. E ancora: un giovane ingegnere al suo primo stage alla Siemens, qualche tipo losco, alcuni pensionati, coppie malandate, prostitute. Ogni giorno scoppiavano liti, risse, botte, e intanto sul giradischi una signora metteva ossessivamente: “Grazie alla vita / che mi ha dato tanto / mi ha dato il sorriso / e mi ha dato il pianto”. Al terzo piano, proprio sopra di me, abitava un nero, un brasiliano che di mestiere diceva di fare il ballerino, ma la sera si vestiva da donna e non so dire se fosse un trans» • Viene assunto al Mondo, ma «fu licenziato per un articolo “troppo di sinistra”. “Ma imparai il mestiere alla Domenica del Corriere”» [Foglio] • Nel 1984 viene assunto al Corriere della sera, per il quale passerà 13 anni a Parigi da corrispondente. «La Francia è bella, è la versione riuscita dell’Italia» • Nel 2003 passa a Repubblica, dove scrive ancora oggi. Perché passasti a Repubblica? «Perché il Corriere teneva una linea politica ambigua. Via Solferino è sempre stata filogovernativa, ma bisogna farlo con chiarezza. I lettori sono molto attenti e vanno sempre rispettati» [Guida Bardi, cit.] • Nel 2016 è stato assunto in Rai (compenso: 240 mila euro) come consulente del direttore editoriale Carlo Verdelli, che voleva ridimensionare l’influenza della politica sui telegiornali • Era in una squadra composta in tutto da sette persone: oltre a lui, Pino Corrias, Diego Antonelli e 4 giornalisti Rai selezionati attraverso il job posting: Frediana Biasutti, Cristina Bolzani, Paola D’Angelo e Valentina Dellorusso • Per rinnovare i tg, avevano un piano: trasferire il Tg2 a Milano, creare le «macroregioni», integrare Rainews e Tgr, far nascere un Tg Sud e un Tg Mondo in inglese. Non riuscirono a fare nulla di quanto progettato. Dopo più o meno cinque mesi, Merlo e Verdelli diedero le dimissioni • «È andata male, e lo dico con malinconia, con amarezza, perché è una cosa alla quale ho creduto, nonostante io sia un vecchio scettico che ne ha viste tante, che sulla Rai veramente avevo anche le idee chiare. Ci convinse Antonio Campo Dall’Orto che si poteva fare, che si poteva allontanare la politica, o per lo meno alleggerire il dominio della politica sull’informazione. Ci abbiamo creduto. Carlo Verdelli, che aveva questo incarico, ha chiamato anche me. È stato un tentativo in cui abbiamo creduto. Io dopo cinque mesi ho capito che era come nelle grandi ritirate, una cosa scenografica, persino pittorica, perché ci trattavano come un’erbaccia che voleva disboscarli. Cominciarono a dire “ma no, la televisione, non ne sanno di televisione”, come se il giornalismo non fosse uno solo» [diMartedì, 2018] • «Ci consideravano degli intrusi, hanno fatto di tutto perché ci dimettessimo: io e Verdelli siamo stati vittime di stalking corporativo, da parte di sindacato, cda e commissione di Vigilanza» [In mezz’ora] • Perché sei così cattivo quando scrivi? «Un pochino di cattiveria è necessaria. Una modica quantità, però, altrimenti diventa una cosa brutta. Bisogna essere sinceri e la realtà è spesso cattiva» [Guida Bardi, cit.] • Meloni. «Sta crescendo a livello internazionale. Suggerisco di promuoverla da Regina a Imperatrice di Coattonia». Bruno Vespa. «Cito Massimo Bordin: Stampa e Regime». Lilli Gruber. «Da 8 e1/2 a 8menomeno […]». Dagospia. «Il vero genio del giornalismo italiano, quello che ha capito tutto». Papa Francesco. «Mi pare Aldo Fabrizi, il prete buono, quello che condanna la prostituta Anna Magnani, ma la abbraccia con dolcezza. C’è un Papa per la dottrina e uno per la carne e il sangue». Donald Trump. «Un monello, perché gli piace fare ciò che nessuno si aspetterebbe; ha una sua genialità e per questo ha vinto contro la prevedibilità della Harris. Un mattoide». Putin è un altro mattoide? «No, quello è un tiranno». Netanyahu un altro tiranno? «No. Non sono la stessa cosa. Senza difenderlo, ma non merita di essere giudicato un tiranno come Putin. Non è assimilabile». Fedez? «Fedez chi?» [ibid.] • Rai. «La sintesi hegeliana di tutti i giornali di partito» • Jean-Marie Le Pen. «Nel corpo era Obelix alla Depardieu e nell’anima era la canaglia alla Belmondo» • Mussolini. «Mezzo vero e mezzo finto, autocelebrativo, declamatorio e un po’ ridicolo» • Italiani. «Quasi africani, quasi europei, quasi isola, quasi moderni, quasi filopalestinesi e quasi filoisraeliani» [Catalano, MeridioNews] • Roma. «È un disastro meno grave ma più imbarazzante di quello siciliano» [ibid.] • Ha paragonato Giuseppe Conte ad Agilulfo, cioè il finto cavaliere di Calvino che era in realtà un’armatura vuota.
Amori È vedovo di Hilary, inglese, morta a dicembre 2023 dopo una breve malattia. «Caro Merlo, mi è dispiaciuto molto leggere sul giornale l’annuncio della morte di sua moglie. Spero che tutte le nostre lettere la facciano sentire un po’ meno solo. Letizia Cosentino - Urbino. Risposta di Francesco Merlo. Non riesco a immaginare un dolore più grande e non ho avuto parole migliori delle sue» [Rep, 16 dicembre 2023] • Dice che i suoi figli – Thomas, Francesca e Rodrigo, attorno ai vent’anni – sono «inglesi» (e che riguardano periodicamente Harry Potter) • Ha un cugino cardiologo all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo • È fratello del procuratore Rodrigo Merlo • È zio di Salvatore Merlo, che scrive sul Foglio.
Curiosità Catanese, ha detto di essere «pacificato con la mia città. C’è una bella umanità, ci sono le donne più libere del mondo […]». Qual è il primo pensiero quando arrivi a Catania e l’ultimo quando te ne vai? «Mia madre, la mia famiglia, i miei amici più cari sono i miei pensieri costanti. Poi mi piace la gente, la granita. Senza essere arcisiciliano. Non entro in comunicazione con i miei avi quando mangio una granita. C’è un senso di odori, il modo in cui i ragazzi scherzano» [Catalano, 2009, MeridioNews]. Ma non gli piace l’«ossessione identitaria» di certi siciliani (tipo quello che a Parigi invitava a cena solo corregionali, o quello che a Milano cercava di fargli abbassare i toni dicendogli «Ma come, proprio lei che è siciliano come me?»), ed è per l’abolizione dello statuto speciale • Passa molto tempo nella sua casa di Monteverdi, un paese di 700 abitanti in Toscana, nei boschi sopra Castagneto Carducci. «Il bar è il gossip, il municipio rappresenta l’autorità politica e l’ufficio postale è la vita. Tempo fa, in un paese vicino c’è stata una rapina all’ufficio postale: e per mesi tutti eravamo preoccupati del nostro. In apprensione» [Telese, TgPoste]. Nel 2015 anche lui firmò una lettera al sindaco del paese perché si muovesse a sistemare una strada semifranata • Ha scritto i libri Faq Italia (2009), Brunetta il fantuttone (2011), il giallo Stanza 707 (2014), Il Sillabario dei Malintesi. Storia sentimentale d’Italia in poche parole (2017), Grand Hotel Scalfari con Antonio Gnoli (2019) • Ha un sito, francescomerlo.it, che non aggiorna dal 2019, e una pagina Instagram, che non aggiorna dal 2023 • Nel 2019 è stato denunciato da Giorgia Meloni per l’articolo Meloni la peronista dell’altra destra più amata di Salvini • È cittadino onorario di Castiglione di Sicilia, paese di origine della sua famiglia • Ha potuto vedere gli affreschi della Cappella Sistina da molto vicino, «percorrendo in quota, a bordo di un accrocco che somiglia a una Smart, la Cappella più bella del mondo. Imbragato dentro cinghie legate con un moschettone alla parete dell’elevatore che chiamano ragno ho dunque visto quel che vedono i restauratori: i peli delle barbe e i fili d’erba, i diademi che fermano le vesti e il grigio intonaco degli occhi, particolari come la geometria degli intagli delle chiavi di San Pietro, le sfumature del tratteggio in rilievo, i segni della divisone per “giornate” della pittura a buon fresco, gli ovali delle orecchie sin quasi al timpano, l’appiccicaticcio delle ascelle» [2018, Rep] • «Sei europeista? Mi sento europeo, senza dubbio, ma l’ista non mi piace» [Guida Bardi, cit.] • I giornalisti che gli piace leggere: Paolo Valentino, Sebastiano Messina, Rosalba Castelletti, Tonia Mastrobuoni, Roberta Iannuzzi, Tommaso Labate, Antonello Guerrera, Guia Soncini, Anäis Ginori, Marco Imarisio, Giordano Bruno Guerri, Pietrangelo Buttafuoco, Marcello Veneziani, Carmelo Caruso • Una volta disse ad Andreotti che non riusciva a ridere della sue battute. Quello rispose «Neppure io», e Merlo si mise a ridere • La pasta alla norma, «che è la mia madeleine».
Titoli di coda «La mia identità era il mare di Acitrezza. Quando ero ragazzo ogni mattina, se il mare lo permetteva, uscivo con la mia barchetta a remi, una tinozza bianca e rossa che ad Acicastello chiamavano “la merla” […]. Sono diventato anziano e ancora in quel paesaggio e in quell’acqua vedo il principio e la fine di ogni cosa».