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 2025  aprile 09 Mercoledì calendario

Biografia di Caterina Caselli

Caterina Caselli, nata a Modena il 10 aprile 1946 (79 anni). Cantante (13 album, di cui 7 in studio, 6 raccolte. Canzone più famosa: Nessuno mi può giudicare, 1966). Produttrice discografica (lancia Francesco Guccini, Paolo Conte, Andrea Bocelli, Elisa, Malika Ayane, i Negramaro). Attrice (12 film).
Titoli di testa Non ne sbaglia una, anzi uno. «Ma no. Come diceva mio suocero, grande discografico: sbagliamo tutti, vince chi sbaglia di meno». Diciamo allora che Caterina Caselli le sue scelte le azzecca quasi tutte [Alberto Mattioli, Sta].
Vita «Ero proprio consapevole che avevo voluto, volevo, e avrei voluto fare la cantante. Mia mamma me l’aveva detto: guarda che il cantante non è un mestiere da donna. Ma io, appena bambina, avevo deciso che avrei fatto la cantante. Per questo sogno ho rinunciato alla scuola. Lavoravo nelle balere per tirar su i soldi per pagarmi la scuola di canto. Bella voce ma grezza, dicevano. Andava affinata. Intanto suonavo il basso e il vibrafono. Mia mamma faceva la magliaia. E insegnava alle ragazze a farlo. Così le ragazze potevano comprarsi le calze e la crema per la faccia senza pesare sulla famiglia. Papà era stato segnato dalla guerra: era del genio telegrafisti, quante ne ha passate… Poi al salumificio lo pagavano poco e in nero. Intanto io andavo per la mia strada» [Cevasco, Lettura] • «L’ambiente di provincia le sta stretto, è solo una ragazzina ma la musica le scorre già nel sangue e con il gruppo Gli Amici si esibisce come cantante e bassista nelle balere locali, finché, a metà degli anni ’60, ha l’occasione di partecipare al Festival di Castrocaro e di salire sul palco di due locali romani molto noti, prima il Capriccio e poi il leggendario Piper, dove viene notata da Ladislao Sugar – suo futuro suocero – che la ingaggerà per la Cgd. L’anno della svolta arriva nel 1966, quando la casa discografica decide di farla partecipare a Sanremo e la vita di Caterina cambia per sempre, come ricorda lei stessa: “Daniele Pace, un autore importante, mi portò Nessuno mi può giudicare, dicendomi che era per Adriano Celentano, che però stava incidendo qualcos’altro, potevamo approfittarne. Poi ho saputo che stava incidendo Il ragazzo della via Gluck, quindi meglio così, per tutti e due. Solo che la canzone era un tango – allora si portavano –, e io dissi che non se ne parlava proprio, avevo tutt’altro temperamento. La incidemmo alla mia maniera e andammo a Sanremo. Da lì è partito tutto”. Sul palco delle kermesse la Caselli si presenta insieme all’allora popolarissimo Gene Pitney. Con quel caschetto d’oro inventato per lei dai parrucchieri milanesi Vergottini e con il suo entusiasmo travolgente non sfugge né al pubblico, né agli addetti ai lavori. Il successo è immediato» [Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi, Io Donna]. • «Il direttore artistico mi aveva suggerito di andare dai Vergottini a Milano, un parrucchiere storico. Io ero davanti allo specchio con loro sette dietro e mi dissero: “Non ti vergogni ad andare in giro così?”. Io avevo i capelli mossi castani, gli risposi: “Fate di me quello che volete”» [Maria Laura Giovagnini, Io Donna] • «Dopo tre serate in televisione era cambiato tutto. Allora Sanremo aveva il monopolio, lo guardavano tutti. […] Mi ricordo che appena finito Sanremo avevo degli impegni presi precedentemente e decisi di onorarli. Allora successe che avevo una data alle Rotonde di Garlasco, dove ero già stata, con pochi spettatori, e quando arrivai vedemmo chilometri di macchine parcheggiate, e io non capivo, pensavo ci fosse stato un incidente, allora qualcuno mi disse: ma guarda che sono tutti qui per te. Di sicuro è stato il momento più sorprendente. Ancora oggi mi sembra assurdo, perché io venivo dalla provincia e allora la provincia era veramente distante dalle grandi città dove avvenivano le cose» [Gino Castaldo, Rep] • «Furono, i suoi, successi strepitosi fra un Festivalbar e un Cantagiro: Perdono, 100 giorni, cover come Sono bugiarda, Il cammino di ogni speranza, Il volto della vita e quel gioiellino di Paolo Conte ripreso massicciamente ancora oggi che s’intitola Insieme a te non ci sto più. Già allora era una pasionaria: trasportava un entusiasmo naturale, arietino, nell’interpretazione; sembrava credesse sempre a ciò che cantava, sembrava dovesse durare per sempre. Finì invece con il matrimonio con Piero Sugar, e la nascita nel ’71 del figlio Filippo [Marinella Venegoni, Sta] • Quando vi eravate conosciuti? «A settembre del 1965, mentre cantavo a Milano all’Intra’s Club, sotto le Tre Gazzelle: venivano a sentirmi Monica Vitti con Antonioni, Corrado Corradi con sua moglie, Mina. Piero era diverso dagli altri, molto loquaci: lui invece parlava poco, ma la sua presenza era importante. E io sono sempre stata affascinata da chi parlava bene l’italiano. Con un’intuizione incredibile aveva perfino fondato una casa editrice a vent’anni, con il compagno del Berchet Massimo Pini. Avevano un catalogo insolito, coraggioso: per dire, pubblicarono con loro Samuel Beckett, Andrej Sacharov... Però Piero non ostentava la sua grande cultura» • Quando le chiese di sposarlo? «Dopo la Grecia, a Cortina. Mi disse: questa è una decisione importante di vita. Io ero molto innamorata, ma conoscevo solo matrimoni molto faticosi. Ci siamo sposati il 30 giugno 1970. Tutti pensavano: durerà un mese al massimo due. E invece abbiamo festeggiato i 50 anni di matrimonio a Venezia, dopo il lockdown, godendoci piazza San Marco, Palazzo Ducale e cose mai viste prima, senza turisti, in una città nuda e di strabiliante bellezza» [Elvira Serra, Cds] • «In auto, mentre tornavo da Cosenza a Milano, ho deciso di smettere di cantare. Mi ero sposata che avevo appena ventiquattro anni, avevo avuto un figlio. Avrei fatto la moglie e la madre, ho buttato sul sedile posteriore della macchina il calendario al quale ero inchiodata: stasera qui, domani sera là. Ho detto basta» [Dario Cresto-Dina, Rep] • «Ero stanca. Mi sono fatta cullare. Io avevo sempre lavorato, da quando avevo sedici anni. Col matrimonio e la maternità ho scoperto il mio lato femminile che avevo trascurato molto. […] Ci sono stati momenti difficili, ma soprattutto perché non capivo ancora bene come avrei potuto rimanere a contatto con la musica, poi ho trovato la mia strada» [Balzarotti e Miccolupi, cit.] • «Volevo cercarmi un ruolo in azienda, allora contava cinquecento dipendenti. Non facile ritagliarmi uno spazio, poiché certi dirigenti mi vedevano come la “signora Sugar”, una che per quel lavoro non aveva altra virtù che il nome che adesso portava. Perciò mi sono impegnata a creare un’etichetta mia che percorresse vie inesplorate in Italia. Musica popolare, però di ricerca. Mi accaparrai gli Area. Con Mauro Pagani anticipammo la world music. Feci conoscere un cantautore straordinario come Pierangelo Bertoli, che in tv nessuno voleva perché, dicevano, un disabile mette tristezza alla gente. L’Ascolto, era il nome dell’etichetta, si disinteressava all’esito commerciale (anche se Bertoli fece bene al fatturato), puntando l’attenzione su ogni musica esistente, senza pregiudizi» [Gregorio Moppi, Rep] • «Lancia personaggi come Enrico Ruggeri, Raf e Francesco Baccini, oltre a lavorare con Ornella Vanoni e Paolo Conte, e a “inventarsi” il trio Tozzi-Morandi-Ruggeri, che vincerà nel 1987 il Festival di Sanremo con Si può dare di più. […] Nel 1989 fonda l’etichetta Insieme-Sugar (in realtà si tratta della ricostituzione della prima casa discografica fondata nel 1932 dal suocero Ladislao Sugar, decisa nel 1989 dopo la vendita della Cgd all’americana Wea), e da direttore artistico inanellerà un successo dopo l’altro, a partire dalla scelta del brano Un’estate italiana, cantata da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato come sigla ufficiale dei mondiali di calcio del 1990, per nove mesi ai primi posti delle classifiche internazionali. «Da vera talent-scout scopre e lancia artisti come Paolo Vallesi, Geraldina Trovato e soprattutto Andrea Bocelli. […] Altro gioiello della scuderia di Caterina […] è la giovane cantautrice friulana Elisa. […] E poi verranno gli Avion Travel, i Negramaro, Malika Ayane, Raphael Gualazzi e, infine, […] Giovanni Caccamo. Conferma ulteriore della capacità di Caterina Caselli di conciliare i gusti del pubblico e la qualità musicale con le richieste del mercato discografico, grazie a una modalità di fare impresa tutta italiana che guarda alla tradizione come a un valore, come riconosce lei stessa: “Mi piace pensare a noi come a una bottega del Rinascimento. Noi siamo prima di tutto artigiani, poi diventa un discorso industriale”» [Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi, cit.] • Da quando si è ritirata dalle scene musicali (1975), sono state due le principali occasioni in cui è tornata a cantare in pubblico: al Festival di Sanremo del 1990, con Bisognerebbe non pensare che a te, e al Concerto per l’Emilia tenuto a Bologna il 25 giugno 2012 a sostegno delle popolazioni colpite dal terremoto di poche settimane prima, in cui reinterpretò Insieme a te non ci sto più • «Quando nel 1967, con Giorgio Gaber, presentammo Diamoci del Tu, avevamo artisti importantissimi». Be’, per esempio sei tu che hai lanciato Guccini no? «Sì, esatto, bravo. E mi ricordo che all’ottava puntata io dissi a Gaber: “Scusami, io c’ho un artista che ha un solo difetto: non è popolare. Si chiama Francesco Guccini, ti assicuro, è un contemporaneo di Bob Dylan”. E lui mi fa: “Anche io ce ne ho uno!”. “Ah – faccio io – e il tuo come si chiama?”. E lui: “Franco Battiato”. E quindi mi ricordo che dissi all’allora direttore artistico della Ricordi, che era Franco Crepax, “Ma prendetelo questo ragazzo! Mica vorrete scartarlo perché ha l’erre moscia?!?”» [Demented Burrocacao, Vice] • «Prendete Paolo Conte: sapete che cosa ha detto di me, affettuosamente? “Ho sempre amato la sua voce non-lirica; cantava come una lavandaia”: nel senso – napoletano – di verace. Comunque io sono un contralto. A proposito di Paolo Conte. Gli ho fatto la corte due anni per portarlo a lavorare con noi. Lui diceva – dice – sempre di no a tutti. E poi non era straconosciuto come adesso: lo amavano solo le persone più intelligenti. Ma io ho registrato una cassetta analogica al telefono. Chiedevo a Celentano, Benigni, Brera eccetera un pensiero su Conte e poi la giravo alle radio locali che allora imperversavano. Il più sorprendente fu Mario Soldati che, urlando come sempre, esclamò: è bravo perché le sue parole non contengono volgarità, è come Mozart!» [Cevasco, cit.] • «Bocelli è stato una grande intuizione. Mi ero accorta che Mario Lanza, tenore di grazia, aveva un fanclub pazzesco e ancora attivo. Ero andata ad accompagnare Gerardina, che apriva il concerto di Zucchero, e in Miserere sento questa voce e penso a Lanza. Poi lo vedo, somigliava anche a Omar Sharif che era bellissimo, avrò visto 7 volte Il dottor Zivago per lui. Rimasi colpita, cercai un pezzo e con Zucchero arrivò Il mare calmo della sera per Sanremo. La vita è l’arte dell’incontro, diceva Vinicius» • Ha avuto un occhio speciale per i talenti femminili, che nel suo periodo d’oro artistico erano assai più rilevanti che non oggi, a Sanremo soprattutto. «Non ho mai fatto distinzioni, un talento è un talento. Poi con le donne c’è un’affinità diversa. Quando Vivarelli mi mandò la Trovato, che venne a Milano con la chitarra, sentivo quella grinta... devi ascoltare dal vivo, non sempre la cassetta. Che buffo, dico ancora “cassetta”. Ma quel che lei dice è vero, l’r’n’b è un genere dominato dai maschi, questo ha nuociuto. Ma oggi ci sono nuove ragazze, mi piace Ariete». • Ma allora resta sempre all’ascolto... «Ora ho meno continuità d’ufficio, ci sono Filippo e mia nipote Greta, ma non è mai un problema di genere, si va a cicli. C’è molta omologazione, il mercato va così. Però penso sempre che l’artista che non si uniforma a quello che c’è, è quello che mi piace di più, anche a costo di non aver rientro immediato come si fa oggi. Noi avevamo il tempo e la possibilità di sbagliare, un progetto lungimirante poteva darti un fatturato importante, anche se facevi degli errori. Ho cominciato a 19 anni, ho sempre imparato dai miei errori» • Anche la sua Madame è un tipo alquanto originale. «Ha una bella personalità, una buona scrittura. È curiosa, legge, rischia... Nei Sessanta si faceva così» [Venegoni, cit.].
Titoli di coda «Se c’è un sogno bisogna resistere e coltivarlo».