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 2025  aprile 19 Sabato calendario

Biografia di Massimo D’Alema

Massimo D’Alema, nato a Roma il 20 aprile 1949 (76 anni). Politico (Pd; già Articolo 1, Pd, Ds, Pds, Pci) • Uno dei più grandi esponenti della sinistra italiana, detto «il leader Massimo» • Sette volte deputato, tra il 1987 e il 2013, con un intervallo da europarlamentare tra il 2004 e il 2006 (Pse). Presidente della Federazione Giovani comunisti italiani, cui si era iscritto all’età di 14 anni. Direttore dell’Unità dal 1988 al 1990. Presidente del Consiglio tra il 1998 e il 2000, primo e unico post-comunista a presiedere un governo in Italia. Già ministro degli Esteri (2006-2008). Già presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (2010-2013). Cofondatore (nel 1998) e presidente della fondazione di cultura politica Italianieuropei, attiva «nel campo della politica nazionale e internazionale, della cultura, dell’amministrazione pubblica e dell’impresa». In ambito mediorientale, è da sempre schierato su posizioni filoarabe e filopalestinesi (celebre la foto che nell’agosto 2006, quando era ministro degli Esteri, lo ritrasse a braccetto con un esponente di primo piano di Hezbollah) • «Del “conte Max” si ricorda l’arroganza, la spocchia, la presunzione, l’antipatia per i giornalisti (“iene dattilografe”), il veliero Ikarus, le scarpe da un milione e mezzo di lire (perché “fatte a mano su misura”) e Palazzo Chigi trasformato nell’“unica merchant bank in cui non si parla inglese”, secondo la fulminante definizione di Guido Rossi, avvocato d’affari ed ex senatore indipendente del Pci. Ma al suo nome non è associata una riforma, una legge, un lieve segnale tangibile dell’azione politica e di governo, se non l’aver staccato Umberto Bossi da Silvio Berlusconi e aver creato la strana alleanza ulivista che nel 1996 elesse Romano Prodi, abbattendolo nel 1998» (Stefano Filippi) • «È competitivo su tutto, e con chiunque. Se prende un caffè al bar, deve spiegare al barista come si fa un buon caffè, e al suo commensale quanti cucchiaini di zucchero servono» (Peppino Caldarola). «Ci sono tre luoghi comuni: è intelligente, ha i baffi, ha la barca» (Roberto Benigni) • Tra i vari soprannomi assegnatigli nel corso del tempo, «la volpe del Tavoliere» (Luigi Pintor), «Togliattino» (Corrado Stajano), «un serial killer della politica» (Achille Occhetto), «il mercante fenicio» (Gianni Agnelli), «Baffino di ferro» (Giampaolo Pansa), «Sarcasmo da Rotterdam» e «lo scorpione» (Giuliano Ferrara) • Famoso per aver detto: «Se la pensate come me, siete inutili. Se la pensate diversamente, siete dannosi». E anche: «Capotavola è dove mi siedo io».
Titoli di testa «“Forse è stata colpa mia”, dice a un certo punto Massimo D’Alema quando l’intervista arriva al tasto più dolente, e cioè a quella grande distanza tra il come D’Alema dice di essere e il come lo vedono gli altri, tra l’immagine riflessa allo specchio e quel gigantesco percepito di una parte dell’opinione pubblica che in mille momenti del suo mezzo secolo in politica l’ha messo su un banco degli imputati o chiamato in correità. Le ultime, di chiamate in correità, arrivano a riguardare persino presunti interessi in traffici di ventilatori cinesi durante pandemia (“Ho tutto documentato, legga qui: i ventilatori funzionavano e il nostro governo li ha pagati anche poco”) e la retribuzione da presidente della Fondazione dei socialisti europei (“Sono vittima di un attacco meschino”). Ma non ci si arriva subito, a quest’ammissione» [Tommaso Labate, 7 28/6/2021].
Vita «Abbiamo origini arabe. I miei antenati, che in origine si chiamavano Halema, si trasferirono dal Maghreb in Italia al tempo di Federico II ed entrarono nella guardia imperiale: Federico II era in guerra col Papa, e loro, come musulmani, approvavano caldamente» • «Comunista era la sua famiglia. Il padre Giuseppe fu una figura di spicco della Resistenza nel ravennate e poi nel ferrarese, e poi deputato rosso per cinque legislature. La madre, Fabiola, era soprannominata anche in casa “il generale”. […] All’età di dieci anni, Massimo chiese di essere ricevuto da Palmiro Togliatti in quanto membro dell’Associazione pionieri italiani. L’aneddoto narra che il piccoletto chiese al burbero dirigente una stanza dove riunirsi coi compagni. Pare che al termine del colloquio il Migliore rimase tanto stupito dalla determinazione e dalla disciplina del ragazzo da esclamare: “Ma questo non è un bambino, è un nano!”. La svolta della sua vita politica arriva nel 1975, quando a Pisa [dove aveva studiato Filosofia alla Normale, ritirandosi poco prima di discutere la tesi – ndr] incontra Enrico Berlinguer. In quell’anno viene nominato segretario della Fgci, carica che manterrà fino al 1980. La stagione di crescita e sofferenza della Fgci di quegli anni segna molto il giovane D’Alema, e già allora, come nota il politologo Andrea Romano in Compagni di scuola (Mondadori), emerge quella che diverrà una delle caratteristiche fondanti del personaggio, la “rappresentazione della politica come tattica della realtà e navigazione lungo tutte le piccole e grandi insenature della costa”. Entra per la prima volta in Parlamento nel 1987. […] Archiviato Occhetto con l’esordio vincente in politica di Silvio Berlusconi nel 1994, D’Alema diventa segretario del Pds, anche se lo stesso Occhetto si era speso per Veltroni, che godeva di un più ampio consenso popolare. […] La bicamerale arriva nel 1997. Presieduta dallo stesso D’Alema, la Commissione ha il compito di riformare la seconda parte della Costituzione, ma dopo meno di due anni il tavolo salta. A tirarsi indietro è Berlusconi, ma lo stesso D’Alema sconterà il discredito della sconfitta. Più ancora porterà il peso di aver concesso un’immeritata apertura di credito al nemico. Una certa sinistra non glielo perdonerà mai (Gherardo Colombo parlò di “bicamerale figlia del ricatto”). Una certa destra comincerà a guardarlo con occhi diversi. Nel 1998 il nostro sale a Palazzo Chigi, fino ad oggi unico postcomunista a farlo. Peccato che ci vada senza voti, ma con l’incarico dal capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro dopo la caduta del primo Prodi, che spezza i sogni del centrosinistra italiano. “Per noi fessi – scriveva Edmondo Berselli in Sinistrati (Mondadori) –, per noi ulivisti è più o meno una tragedia. Perché noi non abbiamo niente da spartire con D’Alema, che è un comunista realista, il quale probabilmente non crede più in niente tranne in ciò che al momento pensa lui”. Non per niente la caduta di Prodi, pur se avvenuta per mano di Fausto Bertinotti, è uno dei fatti che vengono imputati al famigerato “complottone” dei dalemiani. […] A Palazzo Chigi D’Alema si trova a gestire il bombardamento del Kosovo da parte della Nato e non fa una piega. In quegli anni con lui ci sono due spin doctor, Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi, considerati le menti dell’operazione simpatia del premier che culmina nel risotto cucinato davanti alle telecamere di Vespa. La comunicazione politica italiana è rivoluzionata, e l’indignazione radical chic è servita. […] In quegli anni avventurosi Rondolino e Velardi si dedicano anche a pianificare il futuro del leader. In un memorandum riservato, pubblicato per la prima volta nel 1999 in appendice al saggio di Alessandra Sardoni Il fantasma del leader (Marsilio), i due spiegano come lavorano alla costruzione del personaggio per il ruolo che più gli si addice: quello di capo dello Stato. […] Le cose vanno diversamente. D’Alema si dimette nel 2000 in seguito alla sconfitta della sinistra alle Regionali, da lui stesso trasformate in un test politico, e il sogno del Quirinale svanirà una prima volta con l’elezione di Giorgio Napolitano nel 2006 e una seconda volta poche settimane fa [nell’aprile 2013 – ndr]» [Laura Borselli]. Negli anni successivi, soprattutto in seguito al mancato sostegno di Renzi alla sua candidatura ad Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, divenne uno dei più accesi oppositori interni del fiorentino: fu infatti il primo del partito a schierarsi apertamente sul fronte del «no» al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, per poi festeggiare l’esito della consultazione e la conseguente caduta del presidente del Consiglio. Pochi mesi dopo, a fine febbraio 2017, insieme ad altri esponenti del Pd tra cui Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza ed Enrico Rossi, abbandonò il partito per costituirne un altro, Articolo 1 – Movimento democratico e progressista. Dopo cinque anni di volontaria assenza dal Parlamento, in vista delle elezioni politiche del 2018 accettò di candidarsi (come sempre in Puglia) per il Senato tra le file della nuova formazione, senza però riuscire a essere eletto. Amareggiato dalla sconfitta, affermò: «È finita una stagione. Ora è il tempo di dedicarsi allo studio e alla formazione. È stata l’ultima battaglia in prima linea». «Io sono Massimo D’Alema: una carica importante che nessuno mi può togliere».
Amori Divorziato da Gioia Maestro (sua compagna degli anni Settanta, sposata dietro richiesta del partito per regolarizzare la loro convivenza), è sposato in seconde nozze con l’archivista Linda Giuva, da cui ha avuto due figli, Giulia e Francesco.
Denari «L’ex premier presiede oggi l’Advisory Board di Ernst Young, società di consulenza globale, pezzo da 90 del capitalismo anglosassone, ma è anche consulente dei think tank organizzati intorno alla Silk Road Initiative del governo cinese, e molto assiduo a Pechino. Il suo mestiere è dare consigli a chi glieli richiede. Il tratto umano, di solito spigoloso, sembra addolcito e appagato dal nuovo lavoro. Osserva la politica italiana con distacco ecumenico» [Antonio Polito, Cds 19/12/2020].
Tifo Romanista, è presidente onorario del Roma Club Montecitorio (carica «ereditata» da Giulio Andreotti).
Curiosità Tiene ancora nel suo ufficio, seppur pudicamente poggiato per terra, un ritratto del «piccolo padre», Iosif Stalin • Ascolta soprattutto musica classica («Un’eredità di mio papà, che aveva studiato fagotto al Conservatorio»), poi Battiato, Dalla, De Gregori e Paolo Conte • La grande, e celebre, passione per la barca a vela («È un insegnamento per la vita: se non ti curvi, non vinci») • Nel 2002, subito dopo la vendita del vecchio Ikarus, acquistò un nuovo veliero: «Grigio, a righe bianche e blu, albero in carbonio e deriva a forma allungata, interni in legno di ciliegio, coperta in tek, chiglia in mogano. Tra gli optional, una passerella idraulica all’esterno, lavatrice e aria condizionata all’interno. Valore totale: un milione di euro circa» [Libero 20/8/2002] • Appassionato d’origami e barchette di carta. Durante le riunioni si concentra piegando fogli • Oggi ha rinunciato alla vela e produce vino. «Sono una persona tutto sommato normale, anche se guadagno bene. Quando voglio andare in barca, adesso, la affitto» • Lui e Berlusconi si davano del lei. «Ma lui mi chiama col nome di battesimo. Tipo “guardi, Massimo”. Nel Pci succedeva il contrario. Ci si dava del tu ma chiamandosi per cognome» • «D’Alema piace a destra perché, come la destra, disprezza la sinistra delle emozioni e dei tortellini, dei moralisti e dei giustizialisti. Ama D’Alema chi non ama Benigni e Nanni Moretti (tranne quello berlusconidipendente del Caimano), chi non legge Paul Ginsborg e Camilleri, chi non ascolta Vecchioni e Piovani» [Aldo Cazzullo] • Ai tempi del Conte II si disse che lui, assieme a Goffredo Bettini, Marco Travaglio e Rocco Casalino, fosse uno dei consiglieri occulti del premier. «Mi capita di sentire Conte, ma io non faccio più politica attiva. È un uomo che ascolta e valuta e ha anche un tratto di grande civiltà personale. Per esempio se viene a sapere che stai male ti chiama e ti chiede: “Come stai?”. Qualità rara oggi» • Quando la Meloni vinse le elezioni, fece notare che nel 2006 l’Unione aveva vinto con 19 milioni di voti e un margine risicatissimo, mentre il centrodestra con solo 12 milioni di voti si è preso il controllo delle istituzioni. «Sono elezioni che mostrano una profonda crisi del sistema democratico. I vincitori dovrebbero mostrare una certa prudenza. Non sono la maggioranza del Paese» • Il 10 giugno 2023, archiviata l’era Renzi, Articolo Uno si sciolse e tornò nel Pd. «Sono un militante di base, farò quello che deciderà il compagno Speranza…». Non mi prenda in giro. «Bisogna ricostruire il Partito democratico nel suo rapporto con il Paese. Il Pd è figlio di una stagione in cui si teorizzava che le ideologie erano finite, e servivano partiti aperti, senza strutture. Tutte queste idee erano sbagliate. Nello stesso tempo, la destra prendeva forza perché, al contrario, era ideologica e strutturata». Ma anche lei ha sostenuto la nascita del Partito democratico. «C’è stato un momento in cui si scongelava la guerra fredda, era giusto liberarsi di un certo bagaglio ideologico. Ma quando il Pd è nato, tra il 2007 e il 2008, la fase dell’ottimismo sul mondo globale era già finita; cominciava la grande crisi, in cui si perdono certezze, prevale la paura. Oggi c’è una minoranza che vede la globalizzazione come opportunità, e che vota a sinistra. Ma c’è una maggioranza che vive il presente con un senso di timore. Nel mondo la destra vince perché manda forti messaggi ideologici di appartenenza, di identità, di riaffermazione delle radici etniche e religiose» E la sinistra? «La sinistra deve tornare ad avere un messaggio ideale, anzi direi proprio ideologico: il riscatto sociale. L’eguaglianza. Un mito progressista, da contrapporre a quello regressivo della terra e del sangue» [Cazzullo, Cds 6/11/2021] • Le capita di piangere? «Sì. Non spesso. Però mi capita. Ora non saprei quantificarle il numero di volte che è successo negli ultimi anni ma è capitato. Con l’avanzare dell’età succede più di frequente. Ma questo credo che lei possa immaginarlo, è abbastanza comune». Certo che sì. «Forse però ho sbagliato a dirlo. Non vorrei che si facesse l’idea che piango più volte di quelle che in realtà piango davvero» [Labate, cit.]. «I combattenti possono vincere o perdere. Solo gli ignavi non perdono mai».
Titoli di coda Scompare anche il “forse” della prima frase, quando l’intervista è finita. “È stata colpa mia. O anche mia. Non mi sono mai preoccupato troppo della mia popolarità e in questo ho sbagliato. L’aver lasciato che venisse veicolata un’immagine così sbagliata della mia persona, arricchita spesso da menzogne, è stata una colpa. Snobismo, noncuranza, in certi casi sottovalutazione. Sono colpe”» [Labate, cit.].