ilfattoquotidiano.it, 12 dicembre 2025
Elezioni FIA, una farsa annunciata: Ben Sulayem resta il capo mondiale dei motori, i rivali fatti fuori per regolamento
Farsa sub iudice, ma sempre farsa. Il voto di oggi per eleggere il presidente della FIA ha avuto l’esito già scritto, ovvero la riconferma di Mohammed Ben Sulayem. Non c’erano infatti altri candidati in corsa, ma non perché nessuno abbia voluto sfidare l’emiratino. Tutt’altro: gli sfidanti erano tre, tutti eliminati a causa di una norma del regolamento che sembra fatta apposta per favorire la conferma del presidente uscente. Si tratta della scelta dei vicepresidenti: ogni candidato deve dichiarare in anticipo quali saranno, pescandoli da una lista fornita direttamente dalla federazione, e dovranno provenire da sei diverse aree (Europa – due, Asia e Pacifico, Africa, Medio Oriente e Nord Africa, Sud America e Nord America). L’inghippo nasce dalla presenza di una sola persona per il Sud America, Fabiana Ecclestone, moglie dell’ex patron della F1 Bernie, che ha dichiarato il suo appoggio a Ben Sulayem. Gli altri candidati si sono quindi ritrovati con una casella bianca che non possono riempire.
Le reazioni sono state diverse. L’americano Tim Mayer, figlio dello storico team manager della McLaren nonché ex commissario di gara, si è ritirato dalla competizione parlando di “illusione della democrazia”. Era il candidato più temibile per Ben Sulayem, vista la sua lunga esperienza nel mondo della Formula 1, dal quale è stato cacciato proprio dall’attuale presidente, nel corso della sua campagna di epurazione interna volta alla repressione di qualsiasi voce contraria al proprio operato. La belga Virginie Philippot, per contro, era la candidata più debole (ma anche la più improbabile) ed è rimasta in silenzio. Ex modella e giornalista, molto attiva nel sociale attraverso l’organizzazione Drive for Hope, la sua era apparsa più come una mossa per sfruttare lo spirito dei tempi, dominati dal politically correct e dall’ossessione per l’inclusività, ma povera nella sostanza. Più addentro nel mondo dei motori era invece Laura Villars, passaporto svizzero e francese, pilota nelle formule minori e dotata di ampia esperienza nel campo della gestione aziendale.
Villars è stata l’unica a non arrendersi, presentando un procedimento d’urgenza alla Corte di Parigi chiedendo il congelamento delle elezioni, previste appunto per oggi 12 dicembre in Uzbekistan, in attesa di un pronunciamento definitivo sulla questione. Ma il verdetto non è stato a lei favorevole, con la Corte che ha deciso di rinviare il caso al giudizio di merito, senza convalidare le argomentazioni della FIA né bloccare l’iter elettorali. Le elezioni quindi si sono svolte “regolarmente” e velocemente, visto l’unico candidato, che però dovrà attendere il 16 febbraio, data in cui è stata fissata la prima udienza, per vedere pienamente confermata la sua vittoria. Villars parla apertamente di irregolarità procedurali, argomentando come le regole attuali sembrano costruite appositamente per chi può già contare su reti di supporto consolidate in tutte le aree mondiali, rendendo problematica una vera competizione, basata sui programmi più sul proprio network personale, per la guida dell’organismo che governa tutti gli sport motoristici a livello mondiale.
Dei metodi da tiranno di Ben Sulayem ilfattoquotidiano.it ha già parlato, e questo colpo di mano permette di vedere sotto un’altra prospettiva anche le mancate candidature di Susie Stoddart (moglie di Toto Wolff) e Carlos Sainz (padre dell’attuale pilota della Williams), i cui nomi erano circolati senza però mai concretizzarsi in un annuncio ufficiale. L’attuale boss della F1 Academy fu vittima di un’accusa, totalmente infondata, di aver passato al marito informazioni riservate, che provocò un’alzata di scudi di tutti i team contro l’illazione proveniente, con tempismo singolare, da ambienti della FIA. Il campione di rally e Dakar Sainz, invece, fece retromarcia quando sembrava oramai imminente la sua discesa in campo, senza spiegarne i motivi. Oggi però non è difficile tirare delle conclusioni.
Va detto che anche in passato la FIA non ha mai brillato per democrazia e tendenza al ricambio, accendendo la competizione solo quando il presidente in carica era arrivato a completare il suo terzo mandato e quindi, da regolamento, non era più eleggibile. Basta ricordare i lungi regni di Jean-Marie Balestre e di Max Mosley, quest’ultimo abbattuto dallo scandalo sessuale a sfondo nazista, non nell’urna. Ma anche il suo successore Jean Todt dovette battere un solo avversario, l’ex campione del mondo Ari Vatanen, alla prima tornata, per poi viaggiare tranquillo per altri otto anni a causa della mancanza di avversari nelle due elezioni successive, nonostante una gestione disastrosa che creò un buco colossale tra le finanze della FIA. Per questo motivo nel 2021 il suo delfino, Graham Stocker, fu battuto da Ben Sulayem, all’epoca visto come il nuovo che avanzava. Solo che talvolta sono proprie le novità a nascondere le peggiori sorprese. Basti pensare, cambiando sport ma non livello di popolarità, alla FIFA di Gianni Infantino.