Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  dicembre 12 Venerdì calendario

Gianni Bugno: "Smettere è da coraggiosi. Capisco Jacobs. A me successe lo stesso"

Dopo il Giro di Lombardia nel 1998 Gianni Bugno, corridore straordinario, l’unico italiano capace di vincere due Mondiali consecutivi nel 1991 e 1992, decise di lasciare. In bacheca aveva 72 vittorie, tappe al Tour, alla Vuelta, successi sia nelle classiche che nelle corse a tappe e un Giro d’Italia, quello del 1990 dominato e quindi in maglia rosa dall’inizio alla fine. «Ma non ero più lo stesso, si era spenta la passione». Come sta succedendo a Marcell Jacobs. L’oro olimpico nei 100 metri a Tokyo nel 2021 che, tra accuse alla federazione di atletica leggera e mancanza di risultati, dice: «Contro di me un’invidia fuori controllo, mi hanno spento la scintilla».
Bugno, che cosa pensa della frase di Jacobs?
«Dire basta è apprezzabile. Io ho smesso di correre a 34 anni. Quando senti di non aver più voglia di allenarti è il momento di voltare pagina. Lo capisci perché quando non sopporti più la fatica, la compagna inseparabile della tua carriera, vuol dire che hai raggiunto il limite. Per me è andata così e non me ne sono pentito. L’essere umano va avanti a stimoli, a obiettivi. Io in quel momento nel 1998 non ottenevo risultati. Ma non avevo neppure la volontà di trovare le energie per migliorare. Così ho lasciato».
Rimpianti?
«No. La vita non finisce a 30 anni. Anzi. Per chiudere devi avere un piano di uscita. E io ce l’avevo. Non so che cosa abbia in mente Jacobs, quella è una questione personale, ma per tutti è fondamentale avere un piano B, una via d’uscita».
Molti lasciano e si deprimono. Lei?
«Ma no! Ci sono mille progetti, piani. Cade in depressione chi non sa cosa fare da grande. L’importante è avere obiettivi chiari».
Ci racconti la sua seconda vita, il suo secondo sogno realizzato.
«Sono diventato pilota di elicotteri e del 118, ho fatto soccorso. L’ho pensato e pianificato mentre ero corridore: guardavo l’elicottero della Rai che passava sopra il Giro d’Italia e pensavo che quello sarebbe stato il mio nuovo mondo. La mia attrazione per quel tipo di lavoro risale alla gioventù. Volevo entrare in Aeronautica ma il ciclismo mi ha conquistato prima, così ho iniziato con la bicicletta. E, verso la fine della carriera, ho preso il brevetto da pilota».
I ricordi e i momenti più belli della sua carriera da sportivo?
«Sono tutti uguali, tutti belli. È come un padre che ha due figli, uno bruno, l’altro biondo, non scegli, li ami tutti e due. A me poi piacciono i momenti difficili, quelli che ti mettono in discussione, che ti fanno pensare e ti permettono di capire dove hai sbagliato. Dal mio punto di vista sono fondamentali nella vita di un uomo. Solo così cresci e ti formi. Questa è la vita. Quando cadi devi lottare per rialzarti, sempre».
Tra passato e futuro che cosa sceglie?
«Il futuro. Mi piace guardare avanti, progettare, avere nuovi obiettivi. Personalmente, quando mi dedico a qualcosa non penso che a quello. Mi immergo in ciò che faccio, nel presente, ma guardo avanti. E poi amo cambiare, l’uomo è fatto così, sopravvive solo chi sa adattarsi. Adesso sono in pensione e il prossimo salto è l’eternità. Scherzo! In realtà lavoro ancora, non mi sentirei utile altrimenti. Sono cresciuto così e lo sport mi ha insegnato a lottare e a non accontentarmi mai. Mi occupo di come migliorare la sicurezza durante le corse per i ciclisti, i miei ex colleghi».
Ci spieghi.
«Sono stato presidente dell’Associazione corridori professionisti. Da presidente, tra il 2010 e il 2023 mi sono impegnato a difendere i diritti degli atleti in un periodo di grandi cambiamenti per il ciclismo. Ho lavorato per migliorare le condizioni di gara, garantire maggiore sicurezza e dare voce ai corridori nei confronti delle istituzioni sportive. Ho portato avanti battaglie importanti per un ciclismo più moderno e responsabile».
Che cosa pensa del mondo di oggi?
«Non mi piace, è tutto basato sull’apparenza, sui social. Una moda. Vediamo fino a quando durerà».
Va ancora in bicicletta?
«Sì, quando capita ma il comportamento degli automobilisti mi fa sempre arrabbiare. Però la bici è la bici, regala libertà. L’amore vero resta».