La Stampa, 12 dicembre 2025
"Pasolini era anarchico, non conservatore. La destra cerca padri, ma lui odiava il potere"
Sul palco di Atreju, martedì sera, all’incontro “Pasolini e Mishima: poeti fuori dagli schemi”, di Pier Paolo Pasolini è stato detto di tutto: che era conservatore, mishimiano, un eretico, un reazionario. Che sarebbe stato felice di essere lì, a suo agio nello spazio creativo e liberale della destra che non vuole più costruire egemonie culturali ma fare operazioni di sintesi. E che non intende tanto arruolare Pasolini nel proprio pantheon quanto liberarlo da quello della sinistra.
Maraini, lei che lo conosceva bene ed è stata sempre sua amica, ci dica: Pier Paolo Pasolini era un conservatore? Il ministro Giuli ha detto ad Atreju che La Russa ha avuto ragione a definirlo così.
«Partiamo da un punto essenziale: tutto si può interpretare, anche arbitrariamente. Ogni interpretazione è legittima, e però deve poter essere discussa e confrontata, nel rispetto della diversità delle opinioni, anche quando le formulano gli avversari. Ciò premesso, secondo me, Pasolini non era né un reazionario né un conservatore: era un anarchico, e basta leggere le sue poesie per rendersene conto. Era contro ogni forma di potere, in senso anarchico e non conservatore».
Come va inteso il “conserva” del verso “ama, conserva, prega” di La Nuova Gioventù? Secondo Giuli, quella poesia “anticipa la svolta di Fiuggi di vent’anni”. Ed è un verso che da sempre è stato usato da chi strattona Pasolini per portarlo a destra.
«Sì, non è una novità. Ma Pasolini non voleva conservare le tradizioni. Non credeva nell’antichità: cercava una purezza, e non la cercava di certo nelle tradizioni o nel passato, altrimenti non saremmo andati in Africa. Sognava una società diversa e migliore e non per fare un passo indietro, ma per andare nel futuro, nel mondo nuovo. Era un omosessuale che credeva nell’omosessualità, ha avuto 84 denunce per questo, ed è stato accusato migliaia di volte di essere un violento. Lo ricordo benissimo: negli anni Cinquanta essere gay era un delitto e una perversione proprio per i conservatori, che tuttora non mi risulta che guardino con favore ciò che non rientra nella famiglia tradizionale eterosessuale, mi risulta invece che gli è inviso tutto ciò che tradisce quel modello. Pier Paolo era dichiaratamente omosessuale, e questo faceva parte di un modo di vivere che non ha mai negato».
La ministra Roccella ha detto che PPP non è mai diventato un’icona del movimento omosessuale ed LGBTQ+ perché lì vige un «conformismo della diversità» e invece lui era un «irregolare con un’utopia dell’alterità».
«No. Pasolini, molto più semplicemente, pensava che qualsiasi movimento potesse sfociare in una forma di potere. E lui era contro la concentrazione del potere, un altro punto che lo distingue nettamente dai conservatori. Quando il Fuori provò a coinvolgerlo, lui si negò e non perché fosse contrario all’omosessualità ma perché temeva che quell’organizzazione finisse con l’esercitare un potere. Non amava il femminismo per lo stesso motivo, e non perché osteggiasse l’emancipazione delle donne: del resto le sue amiche eravamo Laura Betti, Elsa Morante, e io, non proprio tre casalinghe. Non amava l’organizzazione della protesta, tutta, qualsiasi fosse: la critica agli studenti sessantottini, anche questa da sempre manipolata e trasfigurata nelle riletture, va letta in questa chiave. Pier Paolo pensava in termini di immediatezza. Diceva: i ragazzi hanno ragione adesso ma a lungo andare faranno parte della classe dirigente, e anzi ne sono già parte, mentre i poliziotti no, non lo saranno mai, perché vengono da famiglie povere. E questa è un’idea socialista, se proprio dobbiamo etichettarla, non conservatrice».
Camillo Langone ha detto che Pasolini va liberato dalla prigione della sinistra, che lo avrebbe sottoposto o portato a una specie di “costrizione politica": una cosa che avrebbe voluto fare e che però non ha fatto perché gli avrebbe danneggiato la carriera.
«Questo è incredibilmente offensivo. Pier Paolo non ha mai pensato in termini di carriera. Aveva una grande voglia di esprimersi e farsi leggere da più persone possibile, ma la carriera era proprio una preoccupazione che non aveva. La carriera è cosa per burocrati, e lui era, invece, un passionale».
A proposito di passionalità, Pasolini è stato accostato a Mishima. Secondo Giuli, entrambi hanno fatto coincidere la vita con l’opera, sono entrambi morti molto giovani, e hanno entrambi scritto di un sogno che vedevano svanire, della nostalgia di un mondo che tramontava ma che volevano salvare.
«Non li avrei mai messi in correlazione. Mishima si è suicidato seguendo un rituale samurai; Pasolini è stato ucciso per le sue idee e per aver detto la verità, perché era un uomo e un intellettuale impegnato nella ricerca della verità: alla verità lui credeva. Mishima si è tolto la vita per fede a una tradizione arcaica, violenta e lontanissima. Io l’ho conosciuto, ed era un uomo terribilmente, drammaticamente diviso. Aveva due case, una tradizionale, con il tatami, il cibo giapponese, i genitori che ci vivevano dentro, e un’altra, attaccata a quella, dove viveva lui, che era arredata in stile pienamente moderno, europeo e occidentale. Pasolini non era scisso tra due realtà: ne voleva una nuova».
Giuli ha detto che entrambi hanno lasciato “magnifici testamenti fondati sulla poetica del gesto rituale.
«Secondo me non è così, lo ha fatto solo Mishima. Pasolini non voleva morire: voleva vivere. E chi dice che in fondo lui voleva morire, sbaglia: lui sfidava la morte, ed è diverso. Quelli che fanno sport estremi non vogliono morire, sanno che fanno una cosa difficile e pericolosa e che possono morire, ma non lo vogliono. Pier Paolo era un uomo coraggioso e appassionato della vita».
Appassionato anche alla terra: in questo, Giuli ha visto una vicinanza a Gabriele D’Annunzio.
«No, direi proprio di no. D’Annunzio si mise d’accordo con Mussolini, come poteva apprezzarlo? Pier Paolo era convintamente antifascista. E non lo amava neanche come poeta. Lo so perché ne abbiamo parlato più di una volta. Amava, invece, e tanto, Pascoli, e fu in grado di farmi cambiare idea su di lui: per me, era il poeta sdolcinato che si insegnava a scuola, ma Pier Paolo me lo fece leggere in modo diverso, in Africa mi recitò più volte le sue poesie a memoria».
Mollicone, Roccella, Giuli: tutti, sul paco di Atreju, hanno detto che Pasolini sarebbe stato felice di essere tra loro. Che ne pensa?
«Penso che cercano dei padri, dei punti di riferimento. Lo capisco, è una cosa comune, un bisogno, direi. Ed è legittimo, solo che poi quelle giustificazioni devono avere un fondamento nella realtà. E quel fondamento, in questo caso, non lo vedo».