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 2025  dicembre 12 Venerdì calendario

Zelensky scopre le carte Usa: vogliono che ceda il Donbass

Mentre i Volenterosi si riuniscono ancora, mentre Mark Rutte, il segretario generale della Nato, arriva a Berlino e dice di prepararsi a una guerra come quella «dei nostri nonni», mentre chiunque conti qualcosa in Europa è impegnato in vorticosi incontri e telefonate – e mentre a Parigi si prepara un altro round di incontri – le parole più chiare e piane le pronuncia da Kiev Volodymyr Zelensky. Che convoca i giornalisti e annuncia: gli americani chiedono di cedere il Donbass.
Vogliono, spiega Zelensky, che l’Ucraina si ritiri dalla parte che ancora controlla, dove Washington intende poi creare una «zona economica libera». «Chi governerà questo territorio, che loro chiamano free economic zone o zona smilitarizzata? – chiede retoricamente – Non lo sanno».
Lui pretende garanzie, perché i russi non si impossessino subito dei nuovi territori. Ragiona: «Se le truppe di una parte devono ritirarsi e quelle dell’altra restano dove sono, cosa impedirà a queste altre truppe – i russi – di avanzare? O cosa impedirà loro di travestirsi da civili e prendere il controllo di questa zona economica libera? È tutto molto serio. Non è affatto certo che l’Ucraina accetterà, ma se si vuole parlare di compromesso, deve essere un compromesso equo». Si rifugia nella Costituzione. Ricorda che se l’Ucraina dovesse accettare un simile accordo, sarebbe necessario un referendum, perché solo «il popolo ucraino» può prendere decisioni su eventuali concessioni territoriali. Stretto nell’angolo dagli americani, che sembrano aggiungere un nuovo giro di pressa ogni giorno, a Zelensky non resta che smascherare le loro richieste, per provare a contenerle.
L’ultimo piano ha almeno tre parti, spiega: «È un processo costante e ancora in corso». Accanto al documento principale, ci sono due addenda: uno sulle garanzie e un altro sulla ricostruzione economica. Intanto Putin si mostra sicuro: «L’iniziativa strategica è completamente nelle mani russe». E ancora: «Avanziamo a ritmo sostenuto».
A Berlino ieri è arrivato il segretario generale della Nato, Mark Rutte, per un incontro con Friedrich Merz. Ha tenuto un discorso cupo. Ha ammonito che, se Putin ottenesse ciò che vuole, la prospettiva di una guerra in Europa sarebbe concreta; ha affermato che parte del continente è «quietamente compiacente»; ha ipotizzato che, in cinque anni, è immaginabile una guerra scatenata dalla Russia «su una scala pari alle guerre che i nostri nonni e bisnonni hanno vissuto». Per aggiungere: «Troppi pensano che il tempo giochi a nostro favore. Non è così».
Merz, da parte sua, è apertamente un avvocato di Zelensky, anche con gli Usa. Il cancelliere ha parlato con Trump e ha ipotizzato dopo gli incontri di Parigi una possibile seduta la prossima settimana a Berlino: «Se il presidente parteciperà dipenderà molto dai documenti su cui lavoriamo. Sono abbastanza fiducioso che ci si riesca». Ma la grande partita che la Germania si è intestata è quella sugli asset russi. Se la guida militare dei Volenterosi spetta più a Francia e Gran Bretagna, sugli asset il cancelliere ha messo la faccia. La scorsa settimana è andato a cena dal premier belga Bart De Wever: non farcela a vincere le sue resistenze, sarebbe un personale fallimento. Oggi a Bruxelles si farà un primo passo: gli asset russi da 165 miliardi sottoposti a sanzioni – che finora si dovevano rinnovare ogni sei mesi – saranno permanentemente immobilizzati. Si voterà a maggioranza, privando Orbán del suo classico veto. Una volta immobilizzati, i beni saranno impossibili da reclamare anche per gli americani. Però il tempo stringe, mancano pochi giorni al vertice Ue del 18 dicembre, il Belgio recalcitra ancora. E allora, scrive Politico, si profila anche una soluzione choc: isolarlo dagli altri Paesi, ignorarlo sulle questioni di bilancio. Trattarlo, insomma, come fosse l’Ungheria.